Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-02-2011) 20-04-2011, n. 15732

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 27.7.2010 il GIP presso il Tribunale di Genova respingeva l’istanza avanzata nell’interesse di A.D. di revoca della misura cautelare della detenzione in carcere in atto per rapina aggravata. Riteneva il giudicante non modificato il grave quadro indiziario a carico dell’indagato anche all’esito delle dichiarazioni rese dai coindagati in interrogatorio finalizzato proprio ad escludere la responsabilità dell’ A. nella rapina in argomento. A fondamento del quadro indiziario il GIP richiamava le dichiarazioni rese da uno dei coindagati nell’immediatezza, il riconoscimento della parte offesa.

Avverso l’ordinanza presentava appello l’indagato ribadendo l’estraneità nella rapina e richiamando le dichiarazioni dei coindagati.

Il Tribunale riteneva sussistente il grave quadro indiziario sulla scorta delle dichiarazioni e del riconoscimento della parte offesa, riscontrate dal fatto che l’ A. alla vista delle forze dell’ordine si era dato a repentina fuga. Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo che il provvedimento impugnato:

– è incorso in erronea applicazione di legge per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza;

– presenta una motivazione contraddittoria. Contesta il ricorrente la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito.

Le doglianze sono manifestamente infondate perchè versate in fatto e comunque generiche. Ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c) l’obbligo di specificare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono la richiesta esige, a pena di inammissibilità, che siano ben individuati i punti della decisione cui si riferiscono le doglianze con l’indicazione precisa delle questioni che, relativamente ad essi si intendono prospettare e l’esposizione in maniera concreta, se trattasi di ricorso per cassazione, dei motivi di diritto che si intendono sottoporre al sindacato di legittimità e con cui si intendono sostenere le censure dedotte. Nel caso in esame il ricorrente non solo non ha mosso specifiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche sviluppate nell’ordinanza, ma non ha nemmeno sostenuto il suo assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare.

In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della c.d.

"autosufficienza" del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08).

Nel caso in esame il ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti. In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una ordinanza, come quella impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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