Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-02-2011) 20-04-2011, n. 15690

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 14.6.2010 la Corte d’Appello di Catanzaro in parziale riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Rossano rideterminava la pena inflitta a A.C., B. L.C., M.M.C., BU.Co., BU.Jo. e AM.Va. in ordine ai reati di rapina e lesioni in danno di N.C. e di tentata violenza in danno di S.D. nella misura di anni 3 mesi 4 di recl. ciascuno, confermando nel resto la sentenza.

La Corte territoriale riteneva che le doglianze dedotte dagli appellanti non presentavano persuasiva consistenza considerato che il primo giudice aveva fatto buongoverno dei criteri di valutazione della prova dando conto del ragionamento motivazionale ancorato alle risultanze processuali. Considerava le parti offese pienamente credibili e riteneva riscontrata la responsabilità penale di tutti gli imputati a titolo di concorso. Correttamente il giudice di primo grado aveva qualificato il fatto come rapina aggravata in quanto i pregressi diverbi in ordine all’utilizzo dell’energia elettrica si appalesavano come mero antefatto non in grado di incidere, sotto il profilo soggettivo, sulla successiva aggressione posta in essere ai danni della persona offesa laddove il concorsuale e pervicace utilizzo della violenza nei confronti del N. culminò nel possesso della catena che lo stesso teneva al collo, oltre che nel precedente tentativo di sottrazione del telefonino. Il giudice d’Appello condivideva anche la non configurabilità dell’attenuante della provocazione, riteneva invece che il trattamento sanzionatorio dovesse essere ricondotto a maggiori criteri di proporzionalità.

Ricorrono per Cassazione personalmente tutti gli imputati presentando identici motivi. In particolare deducono che la sentenza impugnata è:

1. nulla per mancata traduzione degli atti in una lingua conosciuta dagli imputati 2. viziata per mancata assunzione di una prova decisiva. Lamentano di avere richiesto al GUP la celebrazione del giudizio abbreviato condizionato all’audizione della persona offesa N.C..

Richiesta che venne respinta dal GUP senza idonea motivazione.

3. viziata per mancata concessione dell’attenuante della provocazione.

4. incorsa in violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena. Contestano la determinazione della pena con riguardo alla pena base stabilita per la rapina.

1. Il solo B.L.C. contesta la sua affermazione di responsabilità a titolo di concorso contestando le vantazioni della Corte Territoriale che avrebbe travisato le dichiarazioni del N. che ha distinto l’aggressione in due fasi. Ha parlato infatti di una prima aggressione cui avrebbero partecipato tutti gli imputati, quindi dopo la sua fuga presso la sua abitazione sarebbe stato aggredito solo da 4 soggetti, fra i quali non c’era il B.L. C., che si sono appropriati della collana.

I primi due motivi sono inammissibili per la presenza di questioni non dedotte con i motivi di appello. Questa Corte di legittimità non può prendere cognizione – giusta l’art. 606 c.p.p., comma 3, – di asserite violazione di legge non portate prima a conoscenza del giudice di secondo grado; I motivi sono comunque manifestamente infondati.

Con riguardo al primo motivo deve osservarsi che gli imputati presenti in stato di detenzione all’udienza camerale del 10.9.2009, preso atto del rigetto da parte del GUP della precedente richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’audizione della parte offesa N.C., hanno chiesto la definizione del processo nelle forme del giudizio abbreviato semplice immediatamente celebrato. Va a questo punto preliminarmente rilevato che proprio esaminando una situazione analoga a quella in esame le S.U. 12/00 Jakani (CED, rv.

216259) hanno affermato che la mancata traduzione, nella lingua dell’imputato che ignori quella italiana, del decreto di citazione a giudizio configura nullità generale di tipo intermedio ( art. 178 c.p.p., lett. c, art. 180 c.p.p.), sanabile dalla comparizione della parte ( art. 184 c.p.p.). Deve aggiungersi, a prescindere dalla tempestività dell’eccezione, che sempre le SU di questa Corte (sentenza n. 39298/06 Cieslinsky) hanno affermato che l’eccezione in argomento non risulta deducibile ai sensi dell’art. 182 c.p.p..

L’articolo non si occupa della sanatoria strictu sensu, ma esclude che la nullità possa essere dedotta da "chi" (ha dato o concorso a darvi causa o) "non ha interesse all’osservanza della disposizione", fatto che si desume dal suo comportamento contrastante. Perciò, come è avvenuto nel caso di specie, se l’imputato, ovvero colui che è titolare del diritto di difesa, esercita la facoltà riservatagli di richiedere il giudizio abbreviato, non solo accetta gli effetti dell’atto nullo propedeutico, ma innanzitutto dimostra di non avere interesse all’osservanza della disposizione violata. La richiesta pertanto rende indedudicibile l’eccezione.

Con riguardo al secondo motivo si rileva che la circostanza che il processo è stato definito nelle forme del rito abbreviato ordinario richiesto dagli imputati rende irrilevante la dedotta eccezione.

Il terzo motivo riproduce pedissequamente i motivi d’appello.

E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame la pedissequa ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

Anche il quarto motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale, con argomentazione coerente e priva di vizi logici,ha dato contezza, in ordine all’entità della pena, degli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p. pervenendo ad una riduzione della pena rispetto a quella irrogata dal giudice di primo grado. Inammissibile è anche il motivo di ricorso presentato dal solo B.L.C. che contesta le valutazioni della Corte Territoriale che avrebbe travisato le dichiarazioni della parte offesa N.C. perchè versato in fatto e comunque generiche. Ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c) l’obbligo di specificare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono la richiesta esige, a pena di inammissibilità, che siano ben individuati i punti della decisione cui si riferiscono le doglianze con l’indicazione precisa delle questioni che, relativamente ad essi si intendono prospettare e l’esposizione in maniera concreta, se trattasi di ricorso per cassazione, dei motivi di diritto che si intendono sottoporre al sindacato di legittimità e con cui si intendono sostenere le censure dedotte. Nel caso in esame la difesa dell’imputato ha mosso generiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche sviluppate nella sentenza d’appello, e non ha nemmeno sostenuto il proprio assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare.

In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della c.d.

"autosufficienza" del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08).

Nel caso in esame il ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti. In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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