Cass. civ. Sez. I, Sent., 15-07-2011, n. 15641 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

che M.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati con memoria, avverso il provvedimento della Corte d’appello di Torino, depositato il 16.7.08, con cui veniva rigettato il ricorso ex lege n. 89 del 2001 per il pagamento di un equo indennizzo per l’eccessivo protrarsi di un procedimento insinuazione al passivo di un fallimento conseguente a concordato preventivo svoltosi innanzi al Tribunale di La Spezia; che il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO Con il primo motivo di diritto il ricorrente deduce che la durata eccessiva nel caso di insinuazione al passivo del fallimento debba essere calcolata a partire dalla data della dichiarazione di fallimento e non da quella di presentazione dell’istanza.

Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata di una procedura fallimentare, la durata del procedimento di insinuazione tardiva va determinata avendo riguardo al tempo intercorso tra la proposizione dell’istanza ex art. 101, L:

Fall., con cui il creditore diventa parte della procedura, ed il provvedimento di ammissione del credito , non potendosi cumulare con tale periodo quello precedente di svolgimento della procedura concorsuale, al quale il creditore è rimasto estraneo. (Cass. 8169/10).

Con il secondo motivo censura il decreto laddove ha ritenuto congrua una durata di cinque anni per la procedura fallimentare in questione sostenendo che la Corte d’appello si era discostata dai parametri Cedu. Il motivo è infondato avendo questa Corte ripetutamente affermato che, non essendo possibile predeterminare astrattamente la ragionevole durata del fallimento, il giudizio in ordine alla violazione del relativo termine richiede un adattamento dei criteri previsti dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, e quindi un esame delle singole fasi e dei subprocedimenti in cui la procedura si è in concreto articolata, onde appurare se le corrispondenti attività siano state svolte senza inutili dilazioni o abbiano registrato periodi di stallo non determinati da esigenze ben specifiche e concrete, finalizzate al miglior soddisfacimento dei creditori concorsuali. A tal fine, occorre tener conto innanzitutto del numero dei soggetti falliti, della quantità dei creditori concorsuali, delle questioni indotte dalla verifica dei crediti, delle controversie giudiziarie innestatesi nel fallimento, dell’entità del patrimonio da liquidare e della consistenza delle operazioni di riparto. Secondariamente, chi ritiene che il notevole protrarsi della procedura sia dipeso dalla condotta dei suoi organi ne deve provare l’inerzia ingiustificata o la neghittosità nello svolgimento delle varie attività di rispettiva pertinenza, o nel seguire i processi che si siano innestati nel tronco della procedura. (Cass. 8497/08).

Tutto ciò sta necessariamente a significare che la determinazione del periodo di ragionevole durata del fallimento ben può essere superiore a quella desumibile dai principi elaborati dalla Cedu in ordine alle normali controversie giudiziarie e tale valutazione è lasciata di volta in volta all’accertamento da parte del giudice.

Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che, ai fini della durata del processo, deve ritenersi che la procedura di concordato e quella fallimentare che ad essa consegue costituiscono un’unica procedura quella di fallimento.

L’infondatezza del motivo in esame discende da quella del primo. Una volta infatti che la durata eccessiva vada calcolata in relazione al solo procedimento d’insinuazione al passivo , è evidente che nessun rilievo riveste nel caso di specie la consecuzione della procedura fallimentare a quella concordataria.

E’ appena il caso di rammentare ,comunque, che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto occasione di affermare,sia pure in una fattispecie in tema di immutabilità del collegio giudicante, che la procedura di concordato preventivo è distinta da quella fallimentare, anche se tra le due procedure si può verificare una consecuzione (Cass. 20166/04).

Il quarto motivo, con cui si contesta la mancata compensazione delle spese del giudizio di merito, è inammissibile.

Rientra nei poteri del giudice di merito la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese nei confronti della parte soccombente e la valutazione negativa del giudice non è sindacabile in sede di legittimità.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 1000,00 per onorari spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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