Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-02-2011) 20-04-2011, n. 15637 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 2 Ottobre 2008 al termine di rito abbreviato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Oristano, il Sig. L. è stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione, oltre all’applicazione di pene accessorie e della libertà vigilata, perchè ritenuto colpevole dei reati previsti; 1) dagli artt. 81 cpv e 609-bis c.p.; 2) dall’art. 572 c.p.; 3) dall’art. 582 c.p. (fatti reato commessi in danno della moglie fino al mese di (OMISSIS)). Gli elementi di prova posti a fondamento della condanna sono stati individuati nelle dichiarazioni della persona offesa, la cui patologia depressiva non è stata considerata rilevante ai fini dell’attendibilità del racconto, e nei riscontri che esse hanno trovato sia in elementi obiettivi (referti medici;

tentativo di suicidio) sia negli esiti della consulenza psichiatrica effettuata sull’imputato sia, infine, nelle dichiarazioni della sorella G., delle amiche C.P., S. S. e F.M.A..

Il Giudice ha riconosciuto all’imputato la diminuente della seminfermità mentale a seguito di accertato disturbo di personalità di tipo schizoide, accompagnata da insana gelosia riconducibile alla sindrome di Mairet, e valutato sia la continuità dei fatti nel tempo sia la particolare rilevanza delle forme di violenza fisica e psicologia sia, infine, la gravità delle lesioni causate alla vittima in occasione dell’episodio avvenuto in data (OMISSIS).

A seguito di rituale impugnazione, la Corte di Appello ha dichiarato non doversi procedere per il reato di lesioni (capo n. 3) per remissione di querela e, esclusa la sussistenza dell’episodio di violenza sessuale contestato al capo 1 con riferimento alla minaccia di percosse mediante una lampada da tavolo (si veda pag. 12 della motivazione), ha confermato la condanna per i restanti episodi di violenza sessuale di cui al capo 1 ( art. 609-bis c.p.); quindi, ritenuta generica e inammissibile l’impugnazione relativa alla condanna per il reato di maltrattamenti di cui al capo 2 ( art. 572 c.p.), ha ridotto la pena a tre anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione. La Corte di Appello ha ritenuto irrituale (perchè superata dalla richiesta di rito abbreviato non condizionato) e infondata la censura di genericità del capo di imputazione relativo alle violenze sessuali ed evidenziato come l’appellante abbia potuto esercitare le proprie difese avendo a disposizione tutto il materiale d’indagine oggetto del rito abbreviato e avendo come riferimento anche i due episodi specifici del (OMISSIS). La Corte ha, poi, ritenuto che la sussistenza del reato non sia esclusa dal fatto che in alcuni casi le violenze fisiche abbiano seguito e non preceduto il rapporto sessuale, posto che la sistematicità dei gesti violenti e delle minacce hanno posto la vittima in condizione di non poter resistere e di dover accettare le richieste ossessive del marito, così che non vi fu da parte della vittima un consenso libero, ma un consenso "coartato".

Avverso tale decisione il Sig. L. propone ricorso tramite la Difesa, in sintesi lamentando:

1. vizio di motivazione in relazione all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, avendo i giudici di merito omesso di valutare l’incidenza della patologia della persona offesa sulla percezione che il ricorrente poteva avere dell’assenza di valido consenso ai rapporti sessuali;

2. violazione di legge per avere la sentenza impugnata omesso di affrontare le censure mosse alla condanna per il reato di maltrattamenti e omesso di disporre in merito, nonchè per avere erroneamente considerato inammissibile il relativo motivo di appello;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

La Corte ritiene che il primo motivo di ricorso sia infondato e debba essere respinto. Una volta ritenuto che la ricostruzione dei fatti possa fondarsi sul racconto della persona offesa, circostanza che i giudici di merito hanno puntualmente e logicamente motivato anche alla luce dei plurimi riscontri sopra ricordati (e ciò in linea con i principi di valutazione della prova costituita delle dichiarazioni della vittima fissati dalla giurisprudenza: si veda per tutte la sentenza di questa Sezione n. 30422 del 2005, Poggi, rv 232018), non vi sono ragioni per escludere la sussistenza degli estremi del reato di violenza sessuale in capo al ricorrente.

Il Tribunale e la Corte di Appello hanno tenuto conto del deficit intellettuale dell’imputato, ne hanno valutato la gravità e, in linea, con gli accertamenti tecnici in atti, hanno concluso per l’esistenza di un vizio parziale legato al disturbo di personalità di tipo schizoide e alla collegata insana gelosia riconducale alla sindrome di Mairet. Tali conclusioni non trovano efficace censura nei motivi di ricorso, che collegano l’assenza di consapevolezza alla condotta remissiva della moglie, condotta che trova una giustificazione anche nella sindrome depressiva. Osserva la Corte che l’esame della motivazione della sentenza impugnata consente di rilevare con chiarezza le ragioni che escludono l’assenza di consapevolezza in capo al ricorrente; emerge in sentenza che costui si è più volte scusato con la moglie dopo gli episodi violenti o di costrizione e ha tenuto con evidenza condotte ritorsive rispetto al tradimento di cui era venuto a conoscenza. Deve, dunque, concludersi che in modo logico e coerente i giudici di appello hanno ritenuto che si sia in presenza di condotte chiaramente intenzionali e ripetute nel tempo, che escludono l’assenza di consapevolezza.

Rileva, infine, la Corte che i motivi di impugnazione secondo e terzo sono manifestamente infondati.

Quanto al secondo motivo, non solo la Corte di Appello ha espressamente pronunciato in sede di dispositivo sul capo 2 dell’imputazione e non solo ha illustrato le ragioni che conducono al giudizio di inammissibilità del motivo di appello (pag. 19), ma ha fornito nel corso dell’intera motivazione ampie spiegazioni delle ragioni per cui anche il reato di maltrattamenti deve essere ritenuto sussistente, e ciò indipendentemente dalla formale pronuncia di inammissibilità dell’appello. La lettura della motivazione, infatti, consente di accertare che i giudici di appello hanno ritenuto che le lesioni e gli altri episodi violenti accertati concorrano con l’imposizione di rapporti sessuali non graditi e con lo stato di soggezione imposto alla vittima (divieto di uscire di casa e di salutare le persone per strada) a formare un quadro proprio del reato di maltrattamenti come delineato già in primo grado (si veda, ad esempio, quanto affermato nella seconda parte di pag.2() con riferimento al trattamento sanzionatorio). Non sussiste, dunque, il vizio motivazionale lamentato dal ricorrente, con la conseguenza che si è in presenza di censure che concernono il merito della decisione e sono in quanto tali sottratte al controllo del giudice di legittimità (per tutte. Terza Sezione Penale, sentenza n. 41282 del 2006, Agnelli e altro, rv 235578).

Con riferimento, poi, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, si è in presenza di valutazione propria della fase di merito e sottratta al giudizio di legittimità qualora la motivazione sia immune da vizio di manifesta illogicità; è sufficiente leggere le pagine 20 e 21 della sentenza impugnata per verificare che sul punto non sussiste nè carenza nè illogicità della motivazione e concludere che il motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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