Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-02-2011) 20-04-2011, n. 15689 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17.12.2009 la Corte di appello di Catania confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Catania di condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 700,00 di multa per detenzione di arma e ricettazione della stessa.

Ricorre l’imputato che allega l’erronea applicazione della legge penale in quanto si sarebbe dovuto applicare la norma di cui all’art. 697 c.p.. Si trattava di un caricatore monofilare per pistola che per condizioni oltre che per il mancato reperimento di armi di sorta nella disponibilità del ricorrente non poteva rendere un’"arma" più pericolosa per volume o rapidità.

Con il secondo motivo si allega che la sentenza impugnata non era congruamente motivata in ordine alla denegata concessione della concessione della circostanza attenuante prevista dalla L. n. 895 del 1967, art. 5. Il contesto gravemente delittuoso in cui si sono verificati i fatti era stato escluso dagli stessi giudici di merito di primo grado che avevano escluso per tutti gli imputati il reato associativo.

Infine mancava una congrua motivazione in ordine all’entità della pena inflitta.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa il primo motivo la doglianza è del tutto generica in quanto non può esservi dubbio che, come rilevato dai giudici di appello, il caricatore in questione sia una parte di una pistola e quindi di un’arma e che conseguentemente ricorra il reato di detenzione di armi o di parti di essa (cfr. cass. n. 5162/1993).

Parimenti generica è la deduzione di cui al secondo motivo:

l’avvenuta assoluzione dal reato associativo non toglie valore al contesto così come accertato dai giudici di merito e definito "gravemente delittuoso". Manca l’allegazione di specifici elementi a supporto della richiesta attenuante. Non meno generico è l’ultimo motivo con il quale si contesta l’entità della pena irrogata. Non si offrono elementi di sorta per giudicare la pena sproporzionata alla reale entità dei fatti o per valutare positivamente la personalità del ricorrente, che non viene tratteggiata in alcun modo. Risultano peraltro concesse le attenuanti generiche.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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