Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 20-04-2011, n. 15687

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.S. e L.L. ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano, in data 11.6.2009, confermativa della sentenza del locale tribunale del 24.6.2008, che li condannava alle pene come in atti per il delitto di rapina pluriaggaravata.

A parte quanto si dirà in ordine alla commisurazione della pena, il ricorso del R. è infondato. Al riguardo è opportuno esaminare partitamene le varie doglianze, alle quali ha dato congrua risposta la Corte di merito: 1) nullità dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. per notifica al difensore a mezzo telefax. E’ principio affermato da questa Corte che la notificazione a mezzo telefax rientra tra le forme ordinarie che non richiedono, a differenza delle forme particolari di notificazione di cui all’art. 150 c.p.p., un previo decreto motivato del giudice (v. Cass. Sez. F, sentenza n. 34028 del 14/09/2010 Rv. 248184); per altro nessuna lesione del diritto di difesa si è verificato; 2) nullità della rimessione in termini della parte civile. Si tratta di un istituto processuale di carattere generale volto ad impedire la celebrazione di un processo in assenza di una parte che non ha potuto rispettare i termini per determinate ragioni. Nel caso di specie correttamente la Corte milanese ha ritenuto causa di forza maggiore "la provata grave situazione di salute che ha attinto L.F. in sovrapposizione temporale con l’avvio del presente giudizio, situazione che gli ha impedito l’esercizio delle sue prerogative di natura civile"; 3) vizio di motivazione. Se ne parlerà unitamente all’analoga doglianza dell’altro imputato; 4) errato trattamento sanzionatorio. Il motivo è fondato. La Corte territoriale, infatti, ha confermato la condanna inflitta in primo grado ad anni 6 e mesi 9 di reclusione così quantificata dal Tribunale: "valutate le circostanze tutte di cui a all’art. 133 c.p., la pena da infliggersi nei confronti del R. S. in relazione al reato contestato sub 2) può essere determinata, pertanto, nella misura di anni 6 e mesi 9 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa (p. b. anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa, aumentata, per effetto della recidiva di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa)", è evidente che sommando anni 4 e mesi 6 con l’aumento determinato (in misura di un terzo) per la recidiva ad anni 1 e mesi sei la pena finale della reclusione è di anni 6 e non di anni 6 e mesi 9 di reclusione. Sul punto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla quantificazione della pena detentiva, potendo questa Corte di legittimità operare direttamente il calcolo esatto, come da dispositivo, rigettandosi nel resto il ricorso.

Manifestamente infondato è, invece, il ricorso di L.L., che deduce soltanto il vizio di motivazione, ripetendo, per lo più, doglianze già proposte in sede di gravame ed adeguatamente esaminate e respinte dal giudice di secondo grado, con ragionamento immune da vizi logico – giuridici.

Il ricorso, per altro, implicherebbe una mera rilettura in fatto di taluni passaggi della sentenza impugnata, inammissibile in sede di legittimità.

Al riguardo è noto che la mancanza o manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento stesso e l’indagine di legittimità è necessariamente circoscritta a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo svolto dal giudice di merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto già vagliati e posti a fondamento della decisione impugnata, non potendo integrare il vizio di legittimità soltanto una diversa ricostruzione delle risultanze processuali, magari prospettata in maniera più utile per il ricorrente.

Non è d’uopo, quindi, ripercorrerre in sede di legittimità le corrette e congrue valutazioni della sentenza impugnata in ordine al cospicuo materiale probatorio acquisito, con particolare riferimento alle conversazioni intercettate; questo discorso vale anche per il motivo sub 3) del R..

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del L. – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso stesso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) – consegue per il L. stesso l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di R. S. limitatamente alla commisurazione della pena detentiva che ridetermina in anni 6 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso del R. e dichiara inammissibile il ricorso di L.L., che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di 1.000,00 Euro.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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