Corte Costituzionale ordinanza n. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 maggio 2010 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 36 del 8-9-2010

IL GIUDICE DI PACE

Ha pronunciato la seguente ordinanza.
Nel processo penale a carico di Cuolibaly Karamouko, nato in
Costa D’Avorio il 26 marzo 1976, elettivamente domiciliato presso il
difensore d’Ufficio Avv. Roberta Liguori con studio in Saronno, via
Sabotino n.45. Imputato del reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. n.
286/98 poiche’ essendo cittadino straniero di paese non appartenente
all’U.E., faceva ingresso ovvero si tratteneva sul territorio dello
stato senza essere munito del prescritto visto di ingresso e/o
permesso di soggiorno in violazione delle disposizioni del d.lgs. n.
286/1998 e successive modifiche. Accertato in Ferno (Varese) il 28
gennaio 2010.
Premesso che:
Coulibaly Karamouko, giunto in pari data con volo da
Casablanca, sottoposto a controllo da parte del personale della
Polizia di Frontiera Aerea di Malpensa (Varese) e’ risultato
sprovvisto di qualsiasi documento di identificazione, ha dichiarato
le generalita’ di cui sopra; indagato in stato di liberta’ previo
fotosegnalemento e comparazione fotodattiloscopica A.F.I.S. con esito
negativo, e’ stato fatto entrare in TN per istaurare la pratica per
Asilo Politico.
All’udienza del 30 marzo 2010, dichiarata la contumacia
dell’imputato non comparso, sull’eccezione di
illegittimita’ costituzionale dell’art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, come
introdotto dall’art. 1, comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94,
formulata dal suo difensore, il giudice si riservava e invitava lo
stesso a produrre memoria. All’odierna udienza preso atto della
questione ivi sollevata, tenuto conto della varie ordinanze gia’
emesse da altri giudici sul medesimo tema, aderendo in particolare
alle argomentazioni dedotte dalla Procura della Repubblica del
Tribunale di Torino che fa proprie, osserva e ribadisce che:
l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286/98 introdotto dall’art.
1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 prevede la nuova
fattispecie criminosa dell’«ingresso e soggiorno illegale nel
territorio dello Stato» sanzionando con l’ammenda da 5.000 a 10.000
euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico
nonche’ di quelle dell’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68»;
tale norma appare in contrasto con l’art. 3 della Cost.,
sotto i1 profilo dell’irragionevolezza della scelta legislativa di
criminalizzare l’ingresso e la permanenza dei clandestini nello Stato
italiano;
pur riconoscendo che compete al legislatore un generale
potere «di regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai
molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi
connessi ai flussi migratori incontrollati» (Corte Cost. sent.
5/2004) facendo buon uso della sfera di discrezionalita’ sua propria,
l’azione di tale organo costituzionale trova limiti insuperabili
nell’osservanza dei principi fondamentali del sistema penale
stabiliti dalla Costituzione e nell’adozione di soluzioni orientate a
canoni di ragionevolezza e di razionalita’ finalistica;
la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e’
chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento
giustificativo: la penalizzazione di una condotta dovrebbe
intervenire come estrema ratio, in tutti i casi in cui non sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello
scopo. L’obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice
e’ costituito dall’allontanamento dello straniero irregolare dal
territorio dello Stato: tale misura e’ prevista come sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell’art. 16,
d.lgs. n. 286/98 appositamente modificato per comprendervi tra i
presupposti la sentenza di condanna per il reato di cui all’art.
10-bis (cosi’ alterando anche con l’espressa introduzione dell’art.
62-bis il sistema sanzionatorio designato dal d.lgs. n. 274/2000 che
prescriveva all’art. 62 l’espresso divieto di applicazione delle
altre misure sostitutive di pene detentive brevi); inoltre la
effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa
costituisce causa di non procedibilita’ dell’azione penale, il che
rende evidente quale sia l’interesse primario perseguito dal
legislatore; infine non e’ richiesto alcun nulla osta dell’Autorita’
Giudiziaria per l’esecuzione dell’espulsione, al chiaro scopo di non
creare intralci alla predetta operazione. L’evidente finalita’ della
nuova fattispecie incriminatrice, strumentale all’allontanamento
dello straniero irregolare dal territorio dello Stato ne sottolinea
la mancanza di una ratio giustificatrice, perche’ lo stesso
obbiettivo era perfettamente raggiungibile prima della introduzione
della nuova figura di reato, mediante l’adozione dell’espulsione
coattiva in via amministrativa ai sensi degli artt. 13, comma 4,
d.lgs. n. 286/98. L’ambito di applicazione della nuova fattispecie
coincide perfettamente con quella della preesistente misura
amministrativa della espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti
destinatari, sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che
significa che c’era gia’ nell’ordinamento italiano uno strumento
ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (che non e’ stato
oggetto di alcuna modifica normativa) e l’adozione dello strumento
penale resta privo di ogni giustificazione;
l’irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge
anche sotto il profilo sanzionatorio; che comprende non solo la pena
dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, ma anche il divieto di
applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena
e della facolta’ concessa al giudice di pace di sostituire la pena
pecuniaria con una sanzione piu’ grave, quale quella dell’espulsione
dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di
misura sostitutiva piu’ grave della sanzione principale sostituita);

l’art. 3 Cost. appare violato sotto un altro profilo specifico,
concernente la irragionevole disparita’ di trattamento tra la nuova
fattispecie e quella dell’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286/98 che
prevede la punibilita’ dello straniero inottemperante all’ordine di
allontanamento del Questore solo quando lo stesso si trattenga nel
territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza
giustificato motivo». Due condizioni che non si trovano nella nuova
figura criminosa, cosicche’ e’ sufficiente il venir meno per qualche
motivo del permesso di soggiorno perche’ sia immediatamente ed
automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito,
senza alcuna possibilita’ per l’interessato, di addurre una qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare.
Va richiamata al riguardo la sentenza della Corte Cost 5/2004 che
ha salvato la costituzionalita’ dell’art. 14, comma 5, d.lgs. n.
286/98 proprio grazie interpretazione costituzionale orientata della
clausola «senza giustificato notivo» considerata al pari di altre
simili rinvenibile nell’ordinamento, una «valvola di sicurezza» del
meccanismo repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale scatti
allorche’ – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause
di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente
inesigibile» per i’ piu’ svariati motivi riconducibili «a situazioni
ostative di particolare pregnanza che incidano sulla stessa
possibilita’ soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione,
escludendola, ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa». Il nuovo
reato di immigrazione clandestina non appare conforme alla
Costituzione perche’ punisce indiscriminatamente tutti i soggetti
irregolarmente presenti nel territorio dello stato, senza tenere
conto della eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale
presenza.
Il nuovo art. 10-bis d.lgs. n. 286/98 appare in contrasto con
l’art. 3 Cost nonche’ con l’art. 25, comma 2 Cost., avuto riguardo
alla configurazione di una fattispecie penale discriminatoria,
perche’ fondata su particolari condizioni personali e sociali,
anziche’ su fatti e comportamenti riconducibili alla volonta’ del
soggetto attivo;
infatti la nuova fattispecie incriminatrice sanziona solo
apparentemente una condotta (l’azione dell’ingresso e l’omissione del
mancato allontanamento) in realta’ in se’ e per se’ del tutto neutra
agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto dell’incriminazione
e’ la mera condizione personale dello straniero, costituita dal
mancato possesso un titolo abilitativo all’ingresso e alla successiva
permanenza nel territorio dello Stato, che e’ poi la condizione
tipica del migrante economico e dunque anche una condizione sociale,
cioe’ propria di una categoria di persone; una situazione priva di
una qualche significativita’ sotto il profilo della pericolosita’
sociale, difficilmente riconducibile ad una condotta volontaria e
consapevole dello straniero migrante essendo costui di regola
costretto a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni di
sopravvivenza e a subire la sottrazione dei documenti (ove esistenti)
da parte delle compagini criminali che organizzano i viaggi della
speranza. La criminalizzazione del migrante economico appare in
contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3
Cost. che vieta ogni discriminazione fondata, tra l’altro su
condizioni personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia
costituzionale secondo cui si puo’ essere puniti solo per fatti
materiali (art. 25, comma 2 Cost.).
La Corte costituzionale si e’ gia’ espressa in modo inequivoco
sul punto stabilendo nella sentenza 78 del 2007, in tema di
applicabilita’ delle misure alternative alla detenzione agli
stranieri clandestini, che «il mancato possesso di un titolo
abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce
«una condizione soggettiva» «che di per se’ non e’ univocamente
sintomatica … di una particolare pericolosita’ sociale»; dal che
consegue «l’impossibilita’ di individuare nella esigenza di rispetto
delle regole in materia di ingresso e soggiorno in detto territorio
una ragione giustificativa della radicale discriminazione dello
straniero sul piano dell’accesso al percorso rieducativo cui la
concessione delle misure alternative e’ funzionale». La nuova
fattispecie renderebbe inapplicabile la citata sentenza della Corte
Cost. e inaccessibili le misure alternative alla detenzione a
stranieri clandestini condannati a pene detentive perche’,
sanzionando penalmente la clandestinita’ dello straniero, essa
collega a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e
irrazionale, giudizio di pericolosita’ sociale, che di per se’ e’
incompatibile – come ammesso dalla stessa Corte Cost. – «con il
perseguimento di un percorso riabilitativo attraverso qualsiasi
misura alternativa».
La nuova fattispecie appare infine in contrasto con l’art. 2
Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta’
politica, economica e sociale. Con parole lungimiranti perfettamente
applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la
Corte Costituzionale, con la sentenza 519 del 1995, dichiaro’
l’illegittimita’ costituzionale del reato di mendicita’ di cui
all’art. 670 c.p. non potendosi ritenere necessitato il ricorso alla
regola penale per sanzionare la mera mendicita’ non invasiva che,
risolvendosi in una semplice richiesta di aiuto, non poteva dirsi
porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillita’
pubblica e dell’ordine pubblico. Allo stesso modo lo spirito
solidaristico di cui e’ impregnata la Carta Costituzionale dovrebbe
impedire l’adozione di misure puramente repressive per risolvere il
problema dell’immigrazione; lo straniero migrante non puo’ essere
considerato pericoloso per l’ordine e la tranquillita’ pubblica e
colpevole per il solo fatto di esistere.
Le questioni di costituzionalita’ sopra enunciate appaiono a
questo giudice serie comunque non manifestamente infondate: esse sono
inoltre rilevanti nel processo poiche’ se accolte, con la conseguente
declaratoria di illegittimita’ delle norme denunciate comporterebbero
l’assoluzione dell’imputata essendo lo stessa chiamata a rispondere
del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato
ai sensi dell’art. 10-bis d.lgs. n. 286/98 come introdotto dalla
legge citata.

P.Q.M.

Visti gli articoli 137 della Costituzione, 1 della legge cost. 9
febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la
rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva la questione di’
legittimita’ costituzionale dell’art 10-bis del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286, introdotto dall’art. 1, comma 16 a) della
legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui prevede come reato il
fatto dello straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel
territorio dello Stato in violazione delle norme citate, in relazione
agli artt. 2, 3, comma 1, e 25, comma 2 della Costituzione;
Ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Pronunciata in Gallarate nell’udienza dell’11 maggio 2010.

Il Giudice di pace: Mastrangelo

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

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