Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 20-04-2011, n. 15724

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 17.7.2010, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di S.M.A., indagato per i reati di cui agli artt,. 416 bis, e di concorso nell’ipotesi di estorsione di cui al capo 7 con l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 di cui al capo 7).

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale del riesame di Catanzaro con ordinanza del 8.10.2010, la respinse.

Il Tribunale nelle prime pagine dell’ordinanza impugnata ripercorreva lo sviluppo dell’attività criminosa legata alla cosca di Corigliano e le indagini che avevano portato ad identificare la sua struttura organizzativa. Si richiamavano i contrasti che avevano portato alla contrapposizione tra B.M. e M.P.S., il primo rimasto legato al gruppo degli "zingari" che negli anni 90 erano assunti al rango di locale in posizione preordinata rispetto alla ‘ndrina di Corigliano e il M. che invece si era mosso in autonomia, contrasti scoppiati in relazione a problemi di controllo del traffico di stupefacente.

L’esistenza di un’associazione di stampo mafioso in Corigliano era stata accertata con diverse sentenze passate in cosa giudicata. Il Tribunale rammentava le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia A. circa l’operato in particolare del B., lo scontro con il M. ed il controllo da parte dei clan del territorio attraverso la sistematica imposizione del cosiddetto "pizzo". A pag. 10 si ricordavano le dichiarazioni rese dal C. che riferiva che i fratelli S. nel settembre 2007 gli avevano detto di un furto al cantiere non denunciato e che gli avevano imposto l’assunzione di un certo " T. dei polli" come sorvegliante. L’ordinanza ricordava che riguardo all’associazione in Corigliano sussisteva senza dubbio un’associazione definibile come di stampo mafioso caratterizzata dagli elementi dell’intimidazione, dell’assoggettamento e dell’omertà.

L’ordinanza osservava che, a fondamento dell’impianto accusatorio, sussistevano il contenuto di molteplici intercettazioni di colloqui telefonici e tra presenti, sequestri di armi e di sostanze stupefacenti nonchè le dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia come R.S., + ALTRI OMESSI la cui attendibilità era fuori discussione. Per l’ A. in particolare il Tribunale rilevava l’assenza di motivi di rancore; le dichiarazioni provenivano da soggetti saldamente inseriti nell’organizzazione criminale in posizioni di rilievo ed avevano i caratteri della precisione, della coerenza, costanza e spontaneità.

Circa i gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione all’associazione contestata si ricordavano le dichiarazioni rese dal R.T. per cui i fratelli S. erano dei "contrasti onorati", soggetti che segnalavano agli uomini d’onore le nuove imprese al fine di imporre il pagamento del pizzo; il Co.

G. aveva confermato la frequentazione dei fratelli S. della cosca coriglianese e dell’attività svolta dal clan per far avere alla ditta degli S. lavori di appalto; ancora venivano richiamate le dichiarazioni del Cu.Vi. confermative di tali rapporti, ribadite in un nuovo interrogatorio del 7.1.20100 con particolare riferimento alla collaborazione tra il ricorrente ed il B.. Gli S. avevano fornito soldi al B. in quanto necessari per i detenuti; il F. risultava legato all’organizzazione dal 92-93.

Ancora gli stretti rapporti tra i fratelli S. (che venivano indicati come gli imprenditori di riferimento della cosca coriglianese) emergevano dalle dichiarazioni di A.C., ulteriormente circostanziate nell’interrogatorio del 8.1.2010 anche in ordine alle consegne di denaro al B. ed anche al c.. Ba.An. asseriva dei rapporti tra i fratelli S. l’associazione che procurava alla loro ditta sistematicamente appalti in cambio di una percentuale.

Ulteriori conferme provengono dalle dichiarazioni del Ci.

G. secondo cui i fratelli S. si accaparravano commesse di lavori edili attraverso gli uomini d’onore della cosca di Corigliano in cambio di una partecipazione agli utili, dichiarazioni ribadite dall’ Ci.An..

Circa il capo 7), estorsione ai danni della società Airone il Tribunale richiamava le dichiarazioni rese dal C.G. che aveva richiesto un’autorizzazione ed un finanziamento per eseguire un villaggio turistico con la propria società Airone. Il B. aveva preteso che gli S. eseguissero i lavori di sbancamento ed anche che le ditte incaricate dei lavori fossero scelte dagli S. che avevano indirizzato alla parte offesa fatture per lavori mai eseguiti o per importi del tutto esorbitanti. Si elencano nell’ordinanza gli atti intimidatori subiti e la consegna di somme ed anche di oggetti preziosi per cercare di tacitare le pretese degli S.. Il Tribunale rilevava che le dichiarazioni del C. erano precise, coerenti e circostanziate e che trovavano riscontro nelle propalazioni dell’ A. e del Cu.Vi.. Ancora si erano raggiunti riscontri obiettivi come l’effettiva occupazione abusiva da parte del S.F. di un terreno demaniale come dichiarato dal C., il fatto che alcuni lavori erano state eseguiti da ditte vicine agli S. con un aggravio del 23% su quello preventivato, nonchè ulteriori riscontri circa i pagamenti effettuati da parte dell’Airone srl a " T. dei polli", la minaccia di uno sciopero di cui aveva parlato il C. ed ancora l’avvenuto incendio sempre riferito da quest’ultimo.

Circa la sussistenza dell’aggravante il Tribunale rilevava che gli atti intimidatori erano stati posti in essere utilizzando la forza di minaccia dell’associazione.

In ordine alle esigenze cautelari ricorreva con certezza il pericolo di reiterazione dei reati stante i collegamenti con vasti e potenti ambienti di delinquenza organizzata e non era stato offerto alcun elemento per vincere la presunzione legale di pericolosità sociale.

Ricorre lo S.M. che deduce la violazione di legge; le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non realizzavano affatto quella convergenza del molteplice richiesta dalla giurisprudenza di legittimità e mancava ogni specificità del riscontro alle dette dichiarazioni.

Si riportano le dichiarazioni del R.T. molto risalenti nel tempo e generiche, astratte e molto confuse. Si parla di un episodio presso contrada Boscarello, ma in modo molto diverso tra l’interrogatorio del 4.11.97 e del 25.1.2010; solo in quest’ultimo interrogatorio si è attribuito un ruolo determinante al S. F..

Le dichiarazioni del B.G. erano a loro volta generiche e sostanzialmente inconcludenti al punto che il B. non distingue tra i fratelli S.. La testimonianza è vaga e non circostanziata. Le propalazioni del Ci.Gi. erano state smentite dagli accertamenti effettuati perchè un subappalto Sirte non era mai stato effettuato dagli S.. Il collaboratori erano stato indotti dal PM a prendere prese di posizioni nette a carico degli S..

Anche il narrato di Ci.An. era generico, inconsistente ed irrilevante; cosi come quello del Co.Gi., del R. T..

Il collaboratore Cu.Vi. era passato da vaghe indicazioni rese nel 2008 ad arricchirle nel 2010, ma senza superare la soglia della genericità, offrendo sole ipotesi congetturali, prive di riscontri e cadendo anche nella confusione tra il ricorrente e un omonimo detto "(OMISSIS)". Solo nel gennaio del 2010 il collaboratore parla dei furti eseguiti dal B. per imporre sub- appalti, mentre nel 2008 sul punto tace del tutto. Il collaboratore A.C. ha offerto a sua volta dichiarazioni generiche ed acritiche, prive di riscontri reali ed effettivi.

Non vi erano fonoregistrazioni di tali dichiarazioni, che pone un problema di utilizzabilità delle stesse. Non sussisteva comunque la genuinità, la coerenza e la costanza di quanto riferito. Si allega da parte del collaboratore un intervento del B. ben 4 anni prima del suo avvento criminale.

Non emergeva comunque in alcun modo che il ricorrente abbia partecipato all’associazione, al massimo che può avervi obtorto collo contribuito economicamente stante le pressioni ricevute.

Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla dichiarata sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Le dichiarazioni del Cu. erano generiche ed astratte; su quelle di A. sono legittimi gravi dubbi in ordine alla genuinità del dichiarato, la specificità dei contesti e la peculiarità dei riferimenti. Nel 2007 l’ A. sembra disconoscere tutto circa gli episodi poi raccontati in particolare sull’episodio del C.. Un anno e mezzo dopo inspiegabilmente l’ A. ricorda particolari mai rivelati del fatto.

Contraddittorie e certamente non lineari era state anche le dichiarazioni del C. che nel 2007 non aveva parlato degli S. ma solo di aver subito estorsioni da parte di associazioni locali a carattere criminale. Non sono stati approfonditi i legami anche commerciali tra gli S. e il C. e la natura dei lavori eseguiti dai primi. Non erano state considerate le dichiarazioni del direttore dei lavori che aveva spiegato i rapporti con il C. e la ragione dei lavori eseguiti. Mancava una ricostruzione puntuale dei lavori, peraltro finanziati, per la realizzazione del villaggio turistico; l’analisi della documentazione contabile e la disamina della rete delle imprese sub-appaltatrici.

Non vi erano elementi (terzo motivo) di sorta a sostegno della contestata aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Mancava inoltre una congrua motivazione in ordine alla esigenze cautelari fondata sul fatto che i ricorrenti sono imprenditori, ma con il sequestro delle società del ricorrente il pericolo di reiterazione nei reati era di fatto impossibile.

Con un ulteriore motivo si allega che il Cu.Vi. aveva sostenuto la sostanziale estraneità del ricorrente da ambiti e contesti criminali (al contrario del fratello F.); il C. aveva parlato solo del fratello F. in relazione alla vicenda dell’edificazione del complesso turistico l’Airone.

Con l’ultimo motivo di deduce che emersa a carico dei fratelli S. solo una attività di natura imprenditoriale; pertanto l’avvenuto sequestro di tutte le società facenti capo agli stessi rendeva non configurabile qualsiasi pericolo di recidivanza nel reato. Con motivi aggiunto lo S.M. allegava che il Tribunale non aveva valutato e risposto a quanto dedotto in una memoria defensionale prodotta nel corso del giudizio di riesame.
Motivi della decisione

Il ricorso non appare fondato e pertanto non può essere accolto.

I primi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente ponendo questioni di valutazione degli indizi e di carenza motivazionale del provvedimento impugnato.

Va preliminarmente ricordato che in caso di ricorso avverso un provvedimento di riesame in materia di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato un vizio di motivazione le doglianze attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), se cioè si allega il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Esula, quindi, dalle funzioni della Corte di cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito ed, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l’applicazione della misura e, poi, eventualmente, del giudice del riesame (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, sentenza n. 806, 08/03/1993, Rv. 194139).

In applicazione di tale consolidato principio a questa Corte spetta, quindi, solo il compito di verificare, in relazione ai peculiari limiti che ineriscono al giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario, controllando la congruenza della motivazione in base ai criteri della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie" (Cass. sez. un . 22.3.2000, Andino).

Ciò posto la motivazione del provvedimento impugnato appare del tutto coerente con i principi prima elencati, avendo dettagliatamente indicato i molteplici e convergenti indizi a carico dell’indagato provenienti dalle dichiarazioni rese dal R.S., + ALTRI OMESSI attestanti i collegamenti tra i fratelli S. e i clan operanti nella zona di Corigliano, Le molteplici dichiarazioni appaiono peraltro ricche anche di dettagli e circostanze specifiche i cui riscontri sono stati evidenziati nella motivazione del provvedimento. A ciò si aggiunge l’episodio estorsivo minuziosamente raccontato dal C. costretto a subire minacce ed angherie da parte dei fratelli coindagati per versare somme non dovute e costretto ad accettare ditte gradite a costoro. Il quadro indiziario appare molto solido, corredato da plurime dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia che insistono concordemente sui rapporti tra gli indagati alla associazione contestata con un pieno inserimento nella stessa onde trarre vantaggi nell’aggiudicazione di appalti e nella complessa attività svolta dalla ditta da loro gestita. Tali stretti legami sono stati riscontrati anche in passaggi di denaro a personaggi appartenenti al clan o da questi appoggiati e nelle pressioni esercitate direttamente, come nell’episodio del C., dagli S. per interferire nelle attività di costruzione e negli appalti della zona, ricavandone somme non spettanti e commesse in favore di ditte non scelte dagli imprenditori incaricati dei relativi lavori. Il ruolo degli S. nell’ambito dell’associazione che emerge da tale imponente complesso indiziario è unico e molto nitidamente tratteggiato, rappresentando gli stessi il referente sul piano del mondo degli affari e delle costruzioni edili del clan contestato. La motivazione appare congrua e logicamente coerente; le censure sono meramente di fatto, inconferenti in questa sede. Del tutto generiche sono le doglianze di cui ai motivi aggiunti in quanto non vengono specificate quali censure mosse nei detti motivi siano state trascurate nel provvedimento impugnato che, invece, prende in scrupoloso esame il materiale indiziario, con ampi stralci delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Circa la contestata aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 le modalità riferite in ordine all’episodio estorsivo commesso ai danni del C. attestano senz’altro l’avvenuta utilizzazione del metodo mafioso; a ciò si aggiungono i rapporti assai stretti con il clan contestato di cui si è parlato supra.

Circa le esigenze cautelari gli stretti rapporti tra i coindagati fratelli S. ed un clan potente fortemente radicato nel territorio e capace di imporre le proprie scelte in materia di appalti e ramificato in molti settori rende concreto e plausibile il pericolo di recidivanza nella commissione di reati della stessa specie di quelli commessi. Il sequestro delle società dei coindagati S. non elimina tale pericolo visto gli stretti contatti con organizzazioni criminali ramificate nel territorio e nelle attività produttive e commerciali della zona e l’ampia disponibilità di denaro. La motivazione sul punto appare persuasiva ed immune da vizi logico-argomentativi, mentre le censure sono di mero fatto.

Circa il successivo motivo le censure miranti a distinguere la posizione del ricorrente da quella del fratello F. appaiono infondate avendo la stragrande maggioranza dei collaboratori parlato di entrambi fratelli in relazione agli stretti rapporti il clan malavitoso operante nella zona di Corigliano; emerge poi dall’intera ordinanza che gli affari commerciali ed edilizi erano gestiti in solido dai due fratelli sicchè le acclarate operazioni di aggiudicazioni di appalti grazie ai contatti di cui^Lè parlato o la dazione di denaro ad appartenenti alla malavita organizzata non possono essere, sulla base di quanto sin qui è emerso, del solo F..

Circa l’ultimo motivo si è già detto: l’avvenuta confisca delle società degli indagati S. non esclude il concreto pericolo di recidivanza per quanto osservato supra.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento; inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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