Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 20-04-2011, n. 15632 Esercizio delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’assise d’appello di Cagliari, a seguito di appello dell’imputato e del Procuratore generale, confermò la sentenza 20 febbraio 2009 del GUP del tribunale di Cagliari, che aveva dichiarato G.L. colpevole dei reati di cui: A) all’art. 600 c.p., comma 1 per avere ridotto e mantenuto A.Z. in uno stato continuativo di soggezione, costringendola ad esercitare la prostituzione all’interno di un appartamento, ove veniva sottoposta ad un regime di rigida sorveglianza, anche durante l’esercizio del meretricio, nonchè a reiterate minacce ed atti di violenza, con sostanziale privazione della libertà di movimento; B) alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, nn. 4, 7 e 8, e art. 4, n. 1, per avere reclutato la A. al fine di farla prostituire e per sfruttamento e favoreggiamento della sua prostituzione; C) all’art. 609 bis cod. pen. per avere costretto la A. a subire rapporti sessuali, e lo aveva condannato, con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, alla pena di anni sette di reclusione, oltre pene accessorie.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e artt. 125 e 192 cod. proc. pen.. In particolare lamenta:

a) insufficiente ed illogica motivazione sulla valutazione delle fotografie rinvenute nel cellulare della donna, non avendo la corte d’appello risposto alle considerazioni sul punto svolte con l’impugnazione. Lamenta altresì mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei condomini che non avevano sentito lamenti di sorta nonostante la mancanza assoluta di insonorizzazione. b) ricorda che la parte offesa era stata sentita ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. e quindi non era stata assoggettata ad alcun obbligo di dire la verità. Il Gup però è caduto nell’errore di valutare le sue dichiarazioni alla stregua di una vera e propria testimonianza valutando globalmente la chiamata in reità. La corte d’appello ha poi illogicamente dichiarato attendibile il racconto della donna, nonostante la sua incostanza, incoerenza e propensione al mendacio risultante dai numerosi reati di falso, nonchè le diverse contraddizioni in cui è caduta.

2) erronea applicazione degli artt. 600 e 609 cod. pen.. Lamenta che non sussistevano gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 600, ed in particolare quelli della continuità e della impossibilità di allontanarsi. Nemmeno esisteva la prova del reato di cui all’art. 609 bis.

Il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Cagliari propone ricorso per cassazione deducendo mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla conferma della concessione delle attenuanti generiche (sulla base di un giudizio positivo del comportamento processuale dell’imputato) e della quantificazione della pena.
Motivi della decisione

Il ricorso dell’imputato si risolve in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque infondato perchè la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione, estesa a tutti gli elementi forniti dal processo, sulle ragioni per le quali ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato in ordine ai reati contestatigli.

In particolare, la corte d’appello ha osservato:

a) quanto alle fotografie rinvenute nel cellulare della donna, che esse ritraevano per la maggior parte la vittima con il viso gonfio di botte ed un occhio vistosamente nero o recavano pose sfocate di una donna triste, mentre una sola foto ritraeva l’imputato che accostava le labbra al viso della donna, che peraltro aveva uno sguardo assente, rivolto altrove;

b) quanto alle dichiarazioni dei condomini, che le stesse erano irrilevanti perchè non necessariamente le violenze avvenivano di notte e provocavano rumori anormali, tanto più che la vittima aveva paura dell’imputato ed eseguiva i suoi ordini in silenzio;

c) quanto alla valutazione delle dichiarazioni della donna, che l’erronea affermazione teorica del Gup, non aveva poi in concreto influito sulla correttezza di tale valutazione, dal momento che dichiaratamente la prova era stata esattamente valutata secondo il criterio previsto dall’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, ossia nel modo più favorevole all’imputato;

d) quanto alla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, che il racconto della stessa era stato preciso, coerente, costante e spontaneo, nonchè supportato da tutta una serie di riscontri di natura oggettiva e di grosso spessore, molti dei quali costituivano anzi vere e proprie autonome prove dimostrative della soggezione della donna alla volontà dell’imputato;

e) che detta attendibilità non era inficiata dai reati di falso relativi al passaporto ed ai documenti, perchè da ciò non si poteva desumere una tendenza al mendacio con riferimento ai fatti di cui si tratta;

f) che le denunciate contraddizioni fra il primo sintetico racconto ai carabinieri e il più lungo resoconto in sede di incidente probatorio consistevano in realtà in precisazioni conseguenti al più incisivo esame da parte del Gip, mentre le diversità relative al viaggio da (OMISSIS) (peraltro del tutto irrilevanti) si giustificavano con lo stato d’animo con il quale la vittima aveva reso le prime dichiarazioni, subito dopo essere stata trovata dai carabinieri terrorizzata e nascosta sotto il letto;

g) quanto alla integrazione del reato di cui all’art. 600 cod. pen., che era stata provata la condizione di soggiogamelo in cui si trovava la donna che era stata sottoposta alla volontà dell’imputato, che su di essa aveva esercitato un autorità che investiva gli aspetti e le modalità della vita più importanti, e che le impediva di reagire e di riprendersi la sua volontà, tanto che quando, per una volta, era riuscita a fuggire, era poi rientrata a causa dello stato di soggezione e del terrore di essere ripresa e subire gravissime ritorsioni insieme alla sua famiglia;

h) che la sussistenza del reato di violenza sessuale era provata dal racconto dalla donna, riscontrato dalle foto trovate nel cellulare con i segni delle violenze, ed in particolare dal resoconto di calci e pugni per ottenere i rapporti sessuali ai quali la donna non poteva quindi sottrarsi.

Il ricorso dell’imputato deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il ricorso del Procuratore generale si risolve anch’esso in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali ed è anch’esso infondato perchè la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione anche sull’esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, ivi compresa la concessione delle attenuanti generiche equivalenti, in considerazione della sostanziale ammissione dei fatti tramite la difesa tecnica e della mancata impugnazione in ordine al reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, nonchè in considerazione della mancanza di precedenti penali.

Anche il ricorso del Procuratore generale deve dunque essere respinto.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta i ricorsi e condanna l’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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