Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-01-2011) 20-04-2011, n. 15683

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.N., tramite il difensore ricorre per Cassazione avverso la sentenza 20.4.2009 con la quale la Corte d’Appello di Catania, confermando la decisione di primo grado, lo ha condannato alla pena di anni tre, mesi sei di reclusione e 700 Euro di multa per la violazione dell’art. 628 c.p., comma 3, n. 1.

La difesa richiede l’annullamento della sentenza impugnata deducendo:

p.1.) vizio di mancanza di motivazione (sussumibile in violazione dell’art. 125 c.p.p. rilevante ex art. 606, comma 1, lett. c) in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in misura prevalente, avendo la Corte territoriale, in tesi della difesa, espresso il proprio giudizio attraverso "formule di stile" senza svolgere una adeguata e approfondita analisi sulla personalità dell’imputato.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale, ha esaminato il motivo di appello con il quale la difesa aveva lamentato come il giudice di primo grado avesse ritenuto equivalenti la circostanze attenuanti generiche rispetto a quelle aggravanti, senza prendere nella dovuta considerazione il comportamento processuale del prevenuto (che aveva ammesso il fatto).

In particolare il giudice dell’Appello, con un giudizio non sindacabile nel merito, affrontando la questione inerente al trattamento sanzionatorio, ha preso in considerazione il comportamento processuale dell’imputato, giungendo alla conclusione esso era stato il frutto di una accorta e calcolata strategia difensiva perseguita dal prevenuto una volta emerse in modo inconfutabile le prove della sua responsabilità. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dello imputato si deve quindi escludere che la decisione assunta dalla Corte territoriale sia priva di motivazione o che questa sia meramente apparente, con conseguente violazione dell’art. 125 c.p.p.. Infatti la violazione della suddetta disposizione ricorre solo nel caso in cui il provvedimento sia totalmente privo di motivazione, oppure che lo stesso sia sorretto da una motivazione sostanzialmente vuota di contenuto, cioè priva di riferimenti specifici al caso concreto; in altri termini quando la motivazione "sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente. (In applicazione del principio, è stata annullata la sentenza di condanna che si era limitata ad affermare che la fonte di prova era costituita dalle dichiarazioni della P.O., senza indicarne il contenuto, nè le ragioni della ritenuta attendibilità)" (v. in tal senso Cass. Sez. 5, 19.5.2010 n. 24862, Mastrogiovanni).

Nel caso in esame la motivazione della Corte territoriale denota specificità di riferimento ed è adeguata, essendo stati presi in considerazione, per la comparazione delle circostanze attenuanti (accordate) con quelle aggravanti, una serie di elementi di fatto (condotta antecedente e contemporanea del prevenuto dimostrata dai precedenti giudiziari del prevenuto) che, esaminati dal giudice di primo grado, sono stati comunque riesaminati da quello di appello che ne ha considerato la valenza ai fini del giudizio della pericolosità dell’imputato; inoltre la Corte territoriale ha preso in considerazione anche lo specifico punto (confessione dello imputato) che è stato sottoposto al vaglio con i motivi di gravame. La affermazione circa la portata, la causa e la valenza della confessione è sorretta da una motivazione che appare immune da vizi (peraltro neppure specificati) e si deve affermare che nella sostanza la censura formulata dalla difesa in questa sede, attiene al merito di una valutazione che non è sindacabile nella presente sede secondo il principio per il quale: "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto". (Cass. pen. SU 25.2.2010, n. 10713 in Ced Cass., rv. 245931).

Per le suddette considerazioni il ricorso è inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ed ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa per le ammende attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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