Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-01-2011) 20-04-2011, n. 15680 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.L., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza 25.2.2010 con la quale la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della decisione 19.3.2008 del Tribunale di Lucca – sezione distaccata di Viareggio, lo ha condannato alla pena di mesi otto di reclusione e 100,00 Euro di multa per la violazione degli artt. 81 cpv. 640 c.p..

La difesa dello imputato ricorre per Cassazione chiedendo l’annullamento della decisione impugnata e deducendo:

p.1.) violazione della legge penale, perchè le querele sono state proposte tardivamente e conseguentemente il giudice del merito avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.. p.2.) erronea applicazione dell’art. 640 c.p., perchè in difetto degli elementi costitutivi della fattispecie contestata, il fatto doveva essere diversamente qualificato come ipotesi di violazione dell’art. 641 c.p.;

p.3.) mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in riferimento alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 640 c.p..

Dalla lettura della sentenza impugnata, in fatto si apprende che in epoca compresa tra il gennaio e il giugno del 2004, l’imputato, affermando di essere un procacciatore di affari, attraverso tale G. prendeva contatto con V.M. e T.A. ai quali prospettava la possibilità dell’acquisto di orologi Rolex, dal prezzo assai conveniente. Le persone suddette, convinte dalla bontà dell’affare pagavano rilevanti somme di denaro, con assegni che lo stesso imputato provvedeva ad incassare, promettendo loro la successiva consegna della merce nel giro di un mese.

Trascorso il tempo, il P. non consegnava la merce promessa, rassicurando di volta in volta le vittime con false affermazioni circa la avvenuta spedizione della merce.

Passando quindi alla disamina delle questioni prospettate, il Collegio osserva pertanto quanto segue. p.1.) Con il primo motivo di ricorso, la difesa sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la estinzione dei reati di cui ai capi A) e B) essendo tardiva la proposizione delle rispettive querele.

La doglianza è formulata in modo generico. Infatti la difesa non fornisce alcun elemento dal quale sia desumibile la tardività della proposizione della querela, poichè non indica quale sia il momento nel quale le parti offese hanno avuto piena e completa conoscenza del fatto illecito compiuto a loro danno. Come già affermato in precedenti pronunce, il termine per la proposizione della querela decorre dal momento in cui la parte offesa ha conoscenza certa e completa (sulla base di elementi seri) del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (Cass. pen., sez. 5, 9.7.2008, n. 33466, Ladogana). Pertanto, perchè la difesa possa dedurre efficacemente la tardività della proposizione della querela, è necessario che, sulla base di specifici elementi di fatto, desumibili dagli atti del procedimento, da indicarsi in modo puntuale, metta in evidenza l’esatto momento in cui le parti offese hanno avuto contezza di tutti gli elementi costitutivi del fatto-reato. In difetto della suddetta indicazione (come nel caso di specie), che è specifico onere di chi la deduce, la doglianza ha carattere di genericità e come tale è inammissibile (v. in tal senso: Cass. pen., 22.6.1988, Artioli; Cass. pen. (ord.), sez. 4, 1.7.1992, Pasta; Cass. pen., sez. 5, 14.1.1994, Yallop; Cass. pen., sez. 5, 10.11.1998, Poli; Cass. pen., sez. 1, 21.1.1999, Batzella; Cass. pen., sez. 5, 21.2.2006, De Arcangelis).

La decisione della Corte territoriale è pertanto corretta sul piano giuridico e il motivo dedotto è manifestamente infondato.

Con il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente, la difesa denuncia la erroneità della qualificazione giuridica del fatto, perchè, secondo il deducente, la condotta integrerebbe il diverso reato di insolvenza fraudolenta di cui all’art. 641 c.p. e non quello di truffa, di cui mancherebbero gli elementi costitutivi.

La Corte territoriale, investita della questione relativa alla qualificazione giuridica del fatto, ha evidenziato come lo imputato non avesse dissimulato una propria condizione di "insolvenza", elemento qualificante il reato di cui all’art. 641 c.p., ma ha rappresentato una realtà negoziale non vera con susseguente induzione in errore delle parti offese. La Corte territoriale ha applicato in modo corretto il principio di diritto per il quale: "Il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perchè nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell’agente (Cass. pen., sez. 2, 11.11.2009, n. 45096 in Ced Cass., rv. 245695).

La fattispecie concreta ritenuta dalla Corte territoriale appare corretta sul piano giuridico astratto e in relazione al fatto; la difesa, invece, non pone in evidenza nè errori specifici nella applicazione della fattispecie astratta nè tantomeno vizi specifici della motivazione, ma formula una serie di affermazioni (il P. non ha cercato le persone offese; il P. non ha posto in essere alcuna scena; il P. svolge effettivamente la attività di procacciatore di affari, il P. acquistava presso le gioiellerie Ungheria e Morini) che riguardano aspetti di fatto nel tentativo di prospettare una diversa ricostruzione della vicenda. Le censure sono pertanto inammissibili perchè tese ad introdurre un inammissibile (in questa sede) giudizio di merito, senza introdurre e sviluppare argomenti che nell’alveo della fattispecie processuale di cui all’art. 606 c.p.p., consentano di cogliere aspetti di erroneità nella decisione impugnata.

Per le suddette ragioni il ricorso è inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ex art. 616 alla Cassa delle Ammende, attesa la pretestuosità delle ragioni di gravame.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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