Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-01-2011) 20-04-2011, n. 15679 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.M. e D.F., tramite il difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza 12.2.2010 con la quale la Corte d’Appello di Firenze, confermando la decisione 29.2.2008 del Tribunale di Livorno li ha condannati alla pena di anni uno mesi due di reclusione, 450,00 Euro di multa, nonchè, in solido a risarcire in favore della parte civile i danni nascenti dal reato, da liquidarsi in separata sede competente.

La difesa degli imputati richiede l’annullamento della sentenza impugnata deducendo per entrambi gli imputati:

p.1) l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3, art. 442 c.p.p., comma 3 (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), perchè la Corte territoriale non avrebbe proceduto alla riduzione della pena per effetto della scelta del rito abbreviato già richiesta con i motivi di appello aggravando la pena con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius;

p.2) la mancanza di motivazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e violazione degli artt. 56 e 640 c.p. (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), perchè la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla richiesta di derubricazione del delitto in truffa tentata, siccome non provata la circostanza che la parte offesa S.J. abbia consegnato la somma di Euro 1.520,00 Euro;

p.3) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), perchè la Corte d’Appello, negando la concessione delle attenuanti generiche non ha tenuto conto di una serie di circostanze favorevoli agli imputati.

Per la sola D.:

p.4) l’inosservanza degli artt. 110 e 494 c.p. (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)), la violazione degli artt. 530 e 533 c.p.p. (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)) e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Esaminando i singoli motivi di ricorso il Collegio osserva quanto segue:

p.1.) Il Tribunale, a seguito di giudizio svolto con il rito abbreviato ha condannato (secondo quanto indicato in dispositivo) gli imputati alla pena complessiva di anni uno e mesi due di reclusione e 450,00 Euro di multa, senza fornire in modo specifico e dettagliato indicazioni circa: la entità della pena base, gli effetti derivanti dall’applicazione dell’art. 81 cpv. c.p. e gli effetti derivanti dall’applicazione della diminuente per il rito di cui all’art. 442 c.p.p.. Sulla base del tenore della motivazione di primo grado la difesa desunto che il Tribunale non aveva applicato la diminuente di pena prevista per il rito abbreviato.

La Corte d’Appello, accogliendo il motivo di impugnazione ha ridefinito la sanzione, indicando in modo dettagliato e puntuale la pena relativa al reato ritenuto più grave, procedendo a due successivi aumenti di pena (per gli ulteriori illeciti contestati in continuazione) ed operando quindi la diminuzione di un terzo della pena complessiva, per effetto dell’applicazione della diminuente di cui all’art. 442 c.p.p.. La difesa sostiene ora che la pena determinata dalla Corte d’Appello (prima della applicazione della diminuente del rito) sarebbe superiore a quella comminata dal Tribunale (anni uno e mesi due di reclusione) che non teneva conto della diminuente di cui all’art. 442 c.p.p..

Il motivo è manifestamente infondato. La difesa degli imputati parte dall’assunto che il Tribunale abbia commisurato la sanzione senza riconoscere la diminuente per il rito abbreviato. Ciò è errato poichè nel dispositivo della sentenza di primo grado il Tribunale richiamando in modo espresso gli artt. 438 e ss. c.p.p., mostra di avere tenuto conto, nella definizione della pena, senza dettagliatamente esplicitarli, di tutte le componenti utili. La Corte d’appello, in virtù del potere integrativo della motivazione del giudice di primo, sulla scorta delle doglianze sollevate dalla difesa, si è limitata a descrivere, in modo dettagliato e puntuale, le modalità di calcolo della sanzione senza peraltro aggravare la pena finale. Pertanto non può affermarsi che sia stato violato il principio di cui all’art. 597 c.p.p.. p.2.) Il Secondo motivo è manifestamente infondato, perchè, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte territoriale, con motivazione implicita, ha ritenuto che la truffa commessa in danno della S. fosse da ritenersi "consumata" indicando quale fonte di prova il contenuto della querela (utilizzabile nel rito abbreviato) dalla quale si evince che il giorno in cui è stato formato il falso contratto di locazione, la S. ha consegnato all’imputato la somma di Euro 1.520,00. La decisione della Corte di merito, adeguatamente motivata, non è illogica alla luce anche della considerazione che nel corpo del contratto di locazione (cui la querela fa riferimento), come si desume dal contenuto dello stesso ricorso della difesa, era stato dato atto che la S. aveva consegnato al C. la somma di Euro 1.400,00 a titolo di caparra. Sulla base di detti elementi la Corte territoriale ha desunto motivi per ritenere che la parte offesa fosse credibile nelle sue affermazioni, proprio perchè riscontrate da un dato documentale ed inoltre, il giudice di merito ha desunto come il reato dovesse essere ritenuto consumato, avendo gli imputati conseguito lo ingiusto profitto. La complessiva motivazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie contestata rende superflua una ulteriore motivazione circa la insussistenza della ipotesi del delitto tentato, così come prospettato dalla difesa. p.3.) Il terzo motivo è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha indicato le ragioni per non accordare il riconoscimento delle attenuanti generiche: a) i precedenti giudiziari degli imputati; b) la complessità delle truffe organizzate; c) la gravità del fatto consistita nell’avere leso interessi economici ed esigenze di cittadini extra comunitari in condizioni non agiate; d) la condotta processuale.

La motivazione è adeguata, perchè il giudice dell’appello ha fatto riferimento ad elementi circostanziali richiamati dall’art. 133 c.p. (vita antecedente dell’imputato, gravità del fatto, condotta susseguente al reato) e li ha indicati come elementi presi in considerazione ai fini dell’art. 132 c.p.. La censura formulata dalla difesa è quindi insussistente risolvendosi peraltro in una doglianza di mero fatto che non può essere presa in considerazione nella presente sede. Va infatti ribadito che L’art. 132 c.p., nel prevedere il potere discrezionale nella applicazione della pena, impone al giudice medesimo di "indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale", motivi che vengono successivamente delineati dall’art. 133 c.p.; il collegamento fra le due disposizioni normative evidenzia il conferimento al giudice di un potere discrezionale nella quantificazione della sanzione il cui uso in tanto è corretto e legittimo in quanto "garantito" da una motivazione da cui risulta che i parametri stabiliti dall’art. 133 c.p. siano i stati sostanzialmente e in concreto, come solo formalmente, presi in esame e valutati, quale che sia la misura della pena inflitta; i parametri dell’art. 133 c.p., sono, pertanto, elusi allorquando il giudice, valutando la responsabilità di molteplici imputati, e per reati anche diversi per alcuni di essi e diversamente circostanziati, per tutti indistintamente si limita al generico riferimento "alla circostanza di cui all’art. 133 c.p." e, "alla particolare gravità dei reati e alla personalità degli imputati". (Cass. pen., 14.10.1988, Balestri). Nel caso in esame la motivazione ha connotazioni di specificità posto che la gravità del fatto è stata posta in relazione alla particolare condizione delle vittime del reato stesso. p.4) il quarto motivo di appello, riguardante la sola D. è manifestamente infondato. Si tratta nella specie di doglianze che si limitano a censure attinenti ad aspetti di fatto della vicenda riguardanti la ipotesi di concorso nel reato di cui al capo C). La difesa in particolare lamenta la mancanza di prova della partecipazione della D. nella commissione del delitto di cui all’art. 494 c.p. e conseguentemente la manifesta illogicità della motivazione perchè ad avviso della difesa nessun contributo causale sarebbe stato offerto dalla ricorrente nella induzione in errore del B..

Invero se condivisibile può apparire, prima facie, la censura mossa dalla difesa per quanto attiene la posizione del B., dalla lettura del capo di imputazione si evince che la D. è concorrente con il C. nella commissione dei reati di cui ai capi A) e B), circostanza quest’ultima non contestata dalla ricorrente. La D., come si evince dalla lettura del ricorso ove è riportata la deposizione della R.S., impiegata della Agenzia immobiliare ove il C. si era recato per acquisire la disponibilità dell’immobile, era ben consapevole della illecita condotta del C., per averlo accompagnato proprio presso la suddetta agenzia ove l’uomo aveva dichiarato di chiamarsi " V.".

Pertanto appare non manifestamente illogica la motivazione della Corte territoriale ove ha ravvisato il pieno concorso della D. nella commissione dei reati di cui ai capi A) e B) e conseguentemente in quello di cui al capo C) posto che quest’ultimo è strumentale per la commissione dei primi due. La condotta della D. in relazione al capo C) non si è limitata alla assunzione di una forma esclusivamente passiva, indifferente per l’ordinamento penale. Attraverso il suo comportamento, anche silente, la D. ha rafforzato nei soggetti terzi, il convincimento della veridicità delle affermazioni del C., così dando un proprio contributo causale nella commissione dei reati.

Per le suddette ragioni i ricorsi sono pertanto inammissibili e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, ex art. 616 c.p.p., della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende attesa la pretestuosità dei motivi di doglianza.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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