Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 20-04-2011, n. 15796 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. – Il Tribunale di Roma, costituito ex art. 310 c.p.p., con ordinanza deliberata l’8 ottobre 2010, in accoglimento dell’appello del PM presso il Tribunale di Tivoli, ha applicato a B. R., indagato:

(a) per aver illegalmente detenuto una pistola Beretta cal. 7,65, munita di caricatore con sette colpi, da considerarsi arma clandestina per avere il numero di matricola parzialmente abraso;

(b) per ricettazione dell’arma in questione;

la misura della custodia cautelare in carcere, in luogo di quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria quotidianamente, disposta dal GIP. 1.1 – Tale decisione è stata fondata dal Tribunale sul preliminare rilievo che la misura disposta originariamente dal GIP non appariva idonea a contenere la pericolosità sociale dell’indagato – ritenuta "spiccatissima" ed allarmante, in relazione ad un possibile utilizzo dell’arma più o meno immediato – ed a scongiurare, quindi, il pericolo di reiterazione di analoghi reati, valorizzando ai fini di tale giudizio:

1) la obiettiva gravità del fatto, quale desumibile sia dalla circostanza che l’arma, ben occultata nell’abitazione dell’indagato, era completa di caricatore e relativo munizionamento, e da ritenersi per ciò, pronta per una immediata utilizzazione, sia dalle ammissioni del B. in merito all’acquisizione della pistola, ricollegabile ad un furto perpetrato nell’abitazione di un poliziotto in (OMISSIS), commesso personalmente dall’indagato, che aveva provveduto, altresì, direttamente anche all’abrasione del numero di matricola dell’arma;

2) l’assenza di qualsivoglia segnale di resipiscenza da parte dell’indagato, attesa resistenza a suo carico di due precedenti condanne a pena sospesa condizionalmente per furto e ricettazione, nonchè il mancato svolgimento di qualsivoglia stabile attività lavorativa, pure necessaria per provvedere al sostentamento suo e del suo nucleo familiare, composto da oltre cinque figli.

2. – Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato chiedendone l’annullamento per violazione di legge e contraddittorietà ed illogicità della motivazione, evidenziando a sostegno del gravame:

1) che il tribunale, illegittimamente, aveva attribuito rilevanza decisiva, ai fini della valutazione allo stesso demandata, alla gravità dei fatti contestati, senza considerare, per un verso, che in relazione agli stessi non operava alcuna presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3 per altra tipologia di reati, e che la scelta della misura non può prescindere da un’attenta valutazione di tutte le circostanze dei caso, comprensive anche di quelle "relative alle esigenze familiari e personali dell’indagato", correttamente poste dal GIP di Tivoli a fondamento della propria decisione, assolutamente rispettosa, a differenza del provvedimento impugnato, del principio di proporzionalità e di adeguatezza delle misure cautelari.
Motivi della decisione

1. – L’Impugnazione proposta nell’interesse del B. è inammissibile perchè basata su motivi manifestamente infondati.

Osserva in proposito il Collegio che dal contenuto dell’impugnato provvedimento emerge che il Tribunale ha ritenuto l’esistenza delle esigenze di social – prevenzione previste dall’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), e quindi l’esistenza di una prognosi sfavorevole di reiterazione di condotte delittuose, argomentando innanzi tutto dalle specifiche modalità del fatto – detenzione di una pistola con matricola abrasa e pronta all’uso – ritenendo tale elemento indicativo, di per sè, della considerevole pericolosità sociale dell’Indagato, formulando al riguardo una valutazione scevra da profili di illegittimità, atteso che le specifiche modalità e circostanze del fatto costituiscono, in effetti, un elemento fondamentale nella valutazione della personalità del soggetto, in quanto afferenti ad un episodio concreto già effettivamente posto in essere dall’interessato, e ciò a prescindere dal contenuto "formale" delle imputazioni contestate, per altro ancora provvisorie, ed alle ammissione dello stesso relativamente alla commissione di un furto in appartamento.

Sul punto va altresì rilevato come la pericolosità dell’indagato possa essere desunta anche esclusivamente dalle modalità e circostanze del fatto commesso, e cioè dai comportamenti o atti concreti posti in essere dallo stesso in tale circostanza, e possa essere ritenuta anche in assenza di precedenti penali (in tal senso si veda ex multis Cass., sez. 1, sentenza n. 35219 del 21.10.2002), che nel caso di specie, per altro, sussistono effettivamente.

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, ritiene quindi il Collegio che la motivazione del Tribunale in tema di pericolosità dell’indagato e di inadeguatezza della misura originariamente disposta dal GIP, sia corretta e puntuale, e si sottragga, pertanto, ai rilievi ed alle censure proposte con il presente gravame, dovendo rilevarsi, in particolare: (a) che le esigenze cautelari giustificatrici dell’applicazione della custodia cautelare in carcere, sono state ravvisate in concreto e non già, come infondatamente sostenuto In ricorso, in via presuntiva e con riferimento al solo titolo di reato contestato; (b) che l’avere il B. una famiglia numerosa a carico, costituisce una circostanza niente affatto ignorata dai giudici dell’appello, che accogliendo il gravame del PM, hanno evidentemente ritenuto tale elemento, di per sè non ostativo all’applicazione della più gravosa misura coercitiva, così condividendo, sia pure implicitamente, l’assunto dell’appellante, pure riprodotto nell’ordinanza impugnata, secondo cui, in caso contrario, si finirebbe con il riconoscere, paradossalmente, alle esigenze del nucleo familiare dell’Indagato, una sorta di effetto preclusivo "all’applicazione di misure custodiali, nei confronti di soggetti in condizioni analoghe, anche se accusati di reati gravissimi".

E’ evidente, quindi, che correttamente ed in maniera logica, il Tribunale ha ritenuto, sulla base degli elementi indicati precedentemente, che la condotta illecita posta in essere – la detenzione di un’arma, per giunta clandestina – fosse socialmente pericolosa e che le esigenze di decorosa sopravvivenza del nucleo familiare dell’indagato, dovesse ritenersi del tutto subvalente rispetto alla sua ritenuta pericolosità. 2. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), di una somma congruamente determinabile in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al competente Tribunale Distrettuale del riesame di Roma che provveda a quanto stabilito nell’att. 92 disp. att. c.p.p..

Manda alla Cancelleria, per gli immediati adempimenti a mezzo fax.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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