Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 20-04-2011, n. 15793 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza del 12 agosto 2010, il Tribunale di Bologna, deliberando in funzione di giudice dell’appello dei provvedimenti in materia di misure cautelari, ha confermato l’ordinanza in data 2 luglio 2010, con la quale il Tribunale di Forlì aveva respinto le istanze di revoca e, gradatamente, di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, applicata a Z.A. e Z. A., condannati in primo grado alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 3200,00 di multa, siccome ritenuti colpevoli delle sole imputazioni di detenzione illegale di arma, ricettazione e detenzione illegale di munizioni.

1.1 – Il Tribunale, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, riteneva infatti, tuttora persistenti le originarie esigenze cautelari, correlate, tuttavia, non già ad un concreto pericolo di fuga, dovendo considerarsi gli imputati ormai saldamente radicati sul territorio italiano ove risiedono anche i loro più stretti congiunti, quanto, piuttosto, al pericolo di reiterazione criminosa, quale desumibile dalla particolare gravità dei fatti- reato di cui alla condanna, apprezzabile anche a ragione dall’entità della pena inflitta. In particolare, con specifico riferimento alla contestata adeguatezza della misura applicata, i giudici di appello ritenevano che il suddetto pericolo, da qualificarsi come "elevato", non poteva ritenersi superato a ragione del lasso di tempo (poco più di un anno) intercorso dall’accertamento dei fatti e trascorso dagli imputati in stato di detenzione, nè comunque contenibile con l’applicazione di una misura meno affittiva, tenuto conto della disponibilità da parte di entrambi gli imputati di un’abitazione e di familiari disponibili ad accudirli in caso di concessione degli arresti domiciliari, e ciò in considerazione della già evidenziata gravità dei fatti oggetto di imputazione – disponibilità di una pistola calibro 38 special munita di ben sedici proiettili, e per ciò di immediata utilizzazione – ritenuta sintomatica "quantomeno del loro collegamento con ambienti malavitosi di notevole spessore" e comunque indicativa di un difetto di autodisciplina, tale da indurre a formulare una prognosi negativa, non solo in relazione alla futura astensione dal commettere nuovi reati, ma anche in relazione al rispetto delle prescrizioni che verrebbero imposte, in caso di adozione di misura non custodiate. Gravità dei fatti contestati, che il tribunale riteneva in alcun modo attenuata dalla circostanza che sull’arma non erano state rinvenute impronte utili per effettuare un confronto con quelle degli imputati, trattandosi di evento scarsamente significativo in quanto determinato dalla insussistenza di condizioni (sudore, grasso, vernice) favorevoli all’impressione di dette impronte, ma semmai accresciuta dalle inverosimili spiegazioni fornite dagli indagati, secondo cui l’arma era stata dimenticata da un non meglio identificato cittadino italiano, a nome R., attribuendo in particolare i giudici di appello ulteriore valenza negativa, in relazione alla richiesta di concessione degli arresti domiciliari, al dato che l’arma fosse detenuta dagli imputati all’Interno della loro abitazione, deponendo detta modalità della condotta nel senso che quel luogo era la base della loro attività delinquenziale.

2. – Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il comune difensore di A. ed Ze.Al., articolando due motivi di impugnazione.

Più specificamente il ricorrente deduce la illegittimità dell’ordinanza impugnata:

– con il primo motivo di gravame, per violazione di legge ( art. 275 c.p.p., comma 3), risultando confermata l’applicazione nei confronti degli imputati di una misura eccessivamente gravosa in relazione al "principio di extrema ratio" della misura custodiate carceraria, avendo il tribunale omesso di valutare gli "elementi nuovi" prospettati nell’istanza, quali il proscioglimento da ulteriori più gravi imputazioni, il consenso dei familiari all’applicazione della misura degli arresti domiciliari, il tempo trascorso in custodia cautelare;

– con il secondo motivo di gravame, per violazione di legge ( art. 273 c.p.p., lett. c), laddove i giudici dell’appello, hanno ritenuto sussistere un pericolo di recidiva, illogicamente ed arbitrariamente affermando l’esistenza di una familiarità degli Imputati con te armi, malgrado la mancata rilevazione di sulla pistola impronte ad essi riferibili, svalutando di contro, la loro incensuratezza, lo svolgimento di regolare attività lavorativa.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso proposto nell’interesse di A. ed Ze.Al. non può trovare accoglimento.

Rileva il collegio che il giudice di merito ha dato conto, con puntuale e adeguato apparato argomentativo – perciò incensurabile in sede di controllo di legittimità – delle concrete circostanze dalle quali era desumibile, quantomeno, l’esigenza di tutela della collettività dal pericolo di reiterazione del reato, enunciando analiticamente gli elementi fattuali, in primis la gravità del fatto contestato, significativamente convergenti a tal fine e, nel contempo, disattendendo, siccome soccombenti e perciò irrilevanti rispetto al proclamato periculum libertatis, i dati offerti dalla difesa a sostegno della richiesta sostituzione della misura carceraria con altra meno grave (incensuratezza, disponibilità di un alloggio e di un lavoro), dovendo in questa sede sottolinearsi, in particolare, che il giudice dell’appello, a differenza di quello di prima istanza, più che valorizzare il dato di un’asserita "familiarità" degli indagati con le armi, ha piuttosto evidenziato, che la mancata rilevazione di impronte sulla pistola, valorizzata dalla difesa, costituiva una circostanza scarsamente significativa, e che di contro, l’accertata disponibilità di una arma pronta all’uso, l’inverosimiglianza delle giustificazioni addotte circa il possesso della stessa, la detenzione dell’arma presso l’abitazione degli imputati, costituivano elementi consistenti che inducevano, univocamente, a ritenere non fronteggiabile il pericolo di reiterazione della condotta, in caso di applicazione di una misura cautelare meno grave di quella applicata.

2. – Da quanto sin qui rilevato discende, quindi, che il ricorso, siccome sostanzialmente diretto al non consentito riesame nel merito della vicenda cautelare, in senso più favorevole agli imputati, va dichiarato inammissibile con conseguente condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente determinabile in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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