Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 20-04-2011, n. 15791

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 12 luglio 2010 il G.i.p. del Tribunale della Spezia, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha revocato, su richiesta del Pubblico Ministero, il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso a S.M. con la sentenza del 23 maggio 2003 del G.u.p. del Tribunale della Spezia (irrevocabile il 18 luglio 2003) e con la sentenza del 27 ottobre 2003 del G.u.p. del Tribunale di Massa (irrevocabile il 9 maggio 2004).

A fondamento della decisione, il Giudice osservava che S. in data 10 luglio 2008 aveva commesso il reato di rapina aggravata ai danni di R.G. e per tale reato era stato condannato con sentenza del 24 giugno 2009 del G.i.p. del Tribunale della Spezia (irrevocabile il 30 aprile 2010) alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione e di Euro 2700,00 di multa.

1.1. Secondo il Giudice la richiesta avanzata in via preliminare dalla difesa, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto delle due sentenze del 23 maggio 2003 e del 27 ottobre 2003, che avevano applicato a S. la pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., e delle quali il Pubblico Ministero aveva chiesto la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, non poteva trovare accoglimento.

Osservava, al riguardo, che il diniego del consenso espresso dal Pubblico Ministero, che tuttavia non si era opposto all’introduzione del nuovo argomento di valutazione In sede esecutiva, precludeva ogni diversa determinazione, e che, in ogni caso, l’esclusione della riconoscibilità del vincolo della continuazione tra i diversi fatti, operata dal Giudice della cognizione con la sentenza del 23 maggio 2003, ostava a diversa determinazione ai sensi dell’art. 671 c.p.p..

1.2. Nè, secondo il Giudice, poteva trovare accoglimento l’ulteriore richiesta difensiva di applicazione dell’indulto, attesa la certa immediata revoca del beneficio ai sensi della L. n. 241 del 2006, art. 3, avendo il ricorrente commesso entro cinque anni dalla entrata In vigore della detta legge un nuovo reato non colposo per il quale aveva riportato condanna, con sentenza del 24 giugno 2009, a pena detentiva superiore a due anni.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore di fiducia, S.M. che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale relativamente alla mancata applicazione della disciplina dell’indulto ex L. n. 246 del 2001, art. 1, rilevando che la "prima applicazione" dell’indulto, mai riconosciutogli, non è preclusa dalla commissione di un reato, con pena superiore a due anni, entro cinque anni dall’entrata in vigore del provvedimento (generale e astratto) di clemenza, quando sia pendente, come nella specie, il termine quinquennale dal passaggio in giudicato delle condanne condizionalmente sospese, attesa la sospensione della operatività della L. n. 244 del 2006 per il maggior favore per la sospensione condizionale rispetto all’indulto, fino al verificarsi di una delle cause di revoca di cui all’art. 168 c.p..

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e processuale penale relativamente al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione in executivis ( art. 671 c.p.p.), e al rigetto dell’istanza, formulata ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.p., di riduzione della pena a mesi dieci di reclusione ed Euro 2.600,00 di multa.

Secondo il ricorrente, in particolare, l’ordinanza, che ha omesso ogni disamina degli elementi costitutivi della fattispecie di reato continuato rappresentati con la memoria depositata all’udienza camerale del 7 luglio 2010, è incorsa in violazione di legge, ritenendo preclusivo di tale disamina il dissenso del Pubblico Ministero, che tuttavia non ha vagliato, nè ha superato, ove ritenuto ingiustificato, con decisione di accoglimento della richiesta difensiva.

Anche la ritenuta efficacia preclusiva della sentenza del Giudice della cognizione del 23 maggio 2003 è censurabile, ad avviso del ricorrente, per essere stati trattati i due procedimenti, definiti con le sentenze del 23 maggio 2003 e del 27 ottobre 2003, che hanno applicato la pena su richiesta, da due Giudici diversi (G.u.p. del Tribunale della Spezia e G.u.p. del Tribunale di Massa), e per avere il G.u.p. del Tribunale della Spezia assunto una decisione con effetto limitato alla sola eccezione pregiudiziale di incompetenza per territorio sollevata dalla difesa.

3. Il Procuratore Generale in sede ha depositato requisitoria scritta, concludendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sul rilievo della intervenuta puntuale applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte sia in ordine all’applicazione dell’indulto, sia in ordine alla preclusività della pronuncia negativa del Giudice della cognizione.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo del ricorso è infondato e va rigettato.

1.1. Questa Corte ha costantemente affermato, in relazione all’indulto, concesso col D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, che, operando la causa estintiva del reato, ai sensi dell’art. 183 c.p., comma 1, nel momento del suo intervento, la fruizione del beneficio dell’indulto, anche se necessariamente oggetto di successiva ricognizione giudiziale, deve ritenersi avvenuta all’atto stesso della concessione recata dal provvedimento che lo prevede.

Conseguentemente, la revoca "di diritto" dell’indulto, derivante direttamente dalla legge e solo "dichiarata" successivamente dal giudice, opera ogni volta che il delitto non colposo – che ne costituisce causa – sia commesso nei cinque anni dall’entrata in vigore del decreto, sia o meno previamente intervenuto il provvedimento giudiziale di applicazione del beneficio (Sez. 1 n. 1877 del 27/04/1994, dep. 22/06/1994, P.M. in proc. Vecchi, Rv.

198184).

Pertanto, per la giuridica e, ancor prima, logica impossibilità di dichiarare giudizialmente l’applicazione di un condono in relazione al quale si sia già verificata una causa di revoca del beneficio, nei casi di indulto soggetto a revoca per successiva condanna, la già verificatasi condizione risolutiva rende l’indulto inapplicabile anche nelle Ipotesi in cui il beneficio non sia stato ancora formalmente concesso (Sez. 1, n. 5244 del 01/12/1993, dep. 22/01/1994, P.M. in proc. Lupo, Rv. 196138; Sez. 1, n. 1146 del 24/02/1995, dep. 07/04/1995, P.M. in proc. Arrighini, Rv. 201023;

Sez. 1, n. 467 del 24/01/1996, dep. 27/02/1996, Di Giovanni, Rv.

204011).

1.2. A tali principi di diritto, tenuti fermi anche in relazione al condono, concesso in virtù della L. 31 luglio 2006, n. 241 (Sez. 1, n. 15565 del 17/02/2009, dep. 10/04/2009, A.M., non massimata; Sez. 1, n. 15462 del 31/03/2010, dep. 22/04/2010, Jouini, Rv. 246842), e condivisi dal Collegio, si è attenuto il Giudice dell’esecuzione nel ritenere che sarebbe, comunque, inutiliter data l’eventuale declaratoria del condono, seguita dalla doverosa contestuale revoca del beneficio in presenza della condizione di legge per avere il ricorrente commesso il (OMISSIS), nel termine di cinque anni dall’entrata in vigore della L. n. 241 del 2006, un reato non colposo (rapina aggravata), per il quale ha riportato condanna, irrevocabile il 30 aprile 2010, a pena detentiva di anni quattro e mesi sei di reclusione, oltre alla pena di Euro 2700,00 di multa.

La tesi del ricorrente per cui la revoca sarebbe possibile soltanto quando vi sia stata l’adozione di un provvedimento di applicazione dell’indulto in favore di un soggetto determinato e con riferimento a specifiche condanne, dopo la sospensione della operatività della L. n. 241 del 2006 fino al verificarsi di una delle cause di revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, è in contrasto con l’automaticità dell’applicazione e della revoca dell’indulto al momento in cui ne sussistono i presupposti, indipendentemente se, e dal momento in cui, sia intervenuto il provvedimento di applicazione che ha natura meramente dichiarativa della sussistenza dei presupposti, e con la prevista revoca dei benefici della sospensione condizionale della pena già concessi, disposta con la stessa ordinanza, ora impugnata per ragioni diverse.

2. E’, invece, fondato il secondo motivo.

2.1. E’ principio pacifico in giurisprudenza che nella ipotesi che il giudice abbia respinto la richiesta di riunione di più procedimenti, ritenendo non sussistente il vincolo della continuazione tra i reati, che ne formano rispettivamente oggetto, la sentenza di merito non può validamente essere impugnata con ricorso per cassazione sotto il profilo del mancato riconoscimento del suddetto vincolo, atteso che da un lato i provvedimenti che dispongono o negano la riunione di procedimenti, in quanto meramente ordinatori, sono sottratti a ogni forma di impugnazione, dall’altro lato l’invocata continuazione può comunque sempre essere chiesta in sede esecutiva ai sensi dell’art. 671 c.p.p., non ostandovi – per il suo carattere incidentale – la suddetta pronuncia del giudice di cognizione, che, proprio per non aver disposto la riunione, non ha potuto giudicare ex professo della sussistenza o meno della unicità del disegno criminoso, ma si è limitato a una mera delibazione processuale Sez. 1, n. 4794 del 28/01/1997, dep. 22/05/1997, Marrone, Rv. 207579; Sez. 4, n. 676 del 06/11/2003, dep. 14/01/2004, Provenzano, Rv. 227345; Sez. 3, n. 39952 del 03/10/2006, dep. 05/12/2006, Boscaneanu, Rv. 235496).

2.2. Nel caso di specie, il G.u.p. del Tribunale della Spezia, con sentenza del 23 maggio 2003, ha disatteso l’eccezione difensiva relativa alla affermata competenza territoriale del Tribunale di Massa, sul rilievo della commissione in La Spezia dei fatti contestati a S. e sul rilievo della insussistenza di ragioni di connessione tra i due procedimenti pendenti dinanzi a diversi Tribunali a carico dello stesso S., idonee a radicare in Massa la competenza alla stregua dei criteri di cui all’art. 16 c.p.p., per essere i fatti non considerabili uniti dal vincolo della continuazione in vista del radicamento della competenza "davanti al giudice del luogo in cui fu commesso il primo reato".

Emerge chiaro dalla lettura della sentenza che il Giudice della cognizione ha esaminato in via incidentale la questione della continuazione tra i reati, pendenti dinanzi a Giudici diversi, in relazione alla verifica della sussistenza del presupposto della connessione, di cui all’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), per il radicamento della competenza territoriale. Nè il Giudice della cognizione aveva competenza a esaminare i fatti, entrambi sub iudice, in vista dell’applicazione della disciplina del reato continuato, che avrebbe supposto il definitivo accertamento del fatto oggetto dell’altro procedimento.

3. Nel caso in esame la richiesta di applicazione della disciplina dei reato continuato in sede esecutiva riguarda due sentenze di applicazione della pena a richiesta.

3.1. L’art. 188 disp. att. c.p.p. prevede che, fermo restando quanto previsto dal precedente art. 137 in tema di applicabilità del concorso formale e del reato continuato quando concorrono reati per i quali la pena è stata applicata su richiesta delle parti e altri reati, la disciplina del concorso formale e del reato continuato in sede esecutiva assume un carattere peculiare "nel caso di più sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti pronunciate in procedimenti distinti contro la stessa persona".

In tal caso, infatti, la persona interessata e il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, quando concordano sull’entità della sanzione sostitutiva o della pena, sempre che quest’ultima non superi complessivamente cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, o due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria, se ricorrono i casi previsti nell’art. 444 c.p.p., comma 1 bis. Nel caso di disaccordo del pubblico ministero il giudice, se lo ritiene ingiustificato, accoglie ugualmente la richiesta.

3.2. Alla stregua del chiaro disposto della predetta norma, la cui ratio va ravvisata nell’esigenza di evitare il cumulo costante e indiscriminato del trattamento previsto dall’art. 31 cpv. c.p. e di quello previsto dall’art. 444 c.p.p., divenuto intangibile per la formazione del giudicato, non è sufficiente per l’applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. tra più reati, tutti giudicati ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il presupposto dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso.

E’ necessario che l’applicazione della disciplina del reato continuato sia richiesta concordemente dall’interessato e dal pubblico ministero, che l’eventuale disaccordo del pubblico ministero sia ritenuto ingiustificato dal giudice dell’esecuzione e che la pena complessiva concordata (o comunque da determinare in concreto in applicazione dell’art. 81 c.p.) non superi il limite stabilito dall’art. 444 c.p.p., e sia ritenuta congrua.

Questa Corte, nell’affermare con orientamento costante questi principi, ha tenuto conto del fondamento del patteggiamento della pena, rappresentato dall’accordo delle parti, e della necessità che esso sia superato con nuovo accordo tra le medesime parti, salvo che lo stesso non sia raggiungibile per il dissenso ingiustificato del pubblico ministero (Sez. 1, n. 1749 del 26/04/1993, dep. 08/06/1993, Imprice, Rv. 194423; Sez. 1, n. 6208 del 01/12/1995, dep. 12/02/1996, Talevi, Rv. 203658; Sez. 1, n. 474 del 27/01/1997, dep. 25/03/1997, Simone, Rv. 207020; Sez. 1, n. 29678 del 09/07/2003, dep. 16/07/2003, Verardi, Rv. 225541; Sez. 1, n. 20986 del 01/04/2004, dep. 04/05/2004, Adelizzi, Rv. 228984; Sez. 1, n. 12461 del 18/02/2005, dep. 04/04/2005, Liberti, Rv. 231261).

3.3. Nel caso in esame, il ricorrente ha avanzato istanza al Giudice dell’esecuzione per il riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto di due sentenze di applicazione della pena, chiedendo il consenso del Pubblico Ministero.

A fronte del diniego del consenso, il Giudice dell’esecuzione non avrebbe dovuto limitarsi a prenderne atto, ma avrebbe dovuto valutare se il mancato accordo del Pubblico Ministero fosse ingiustificato e procedere, ove tale ritenuto, alla verifica dell’identità del disegno criminoso nel soggetto agente tra i fatti oggetto delle due sentenze in vista dell’applicazione tra gli stessi della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p..

4. L’ordinanza impugnata deve, dunque, essere annullata limitatamente alla continuazione con rinvio per nuovo esame sul punto al G.i.p. del Tribunale della Spezia.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla continuazione e rinvia per nuovo esame sul punto al G.i.p. del Tribunale della Spezia.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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