Cons. Stato Sez. VI, Sent., 19-04-2011, n. 2422 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nza;
Svolgimento del processo

A seguito di alcune richieste di intervento, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi: "l’A.G.C.M.’) comunicava alla soc. M. s.r.l., nella sua qualità di operatore pubblicitario, l’apertura di un procedimento per pubblicità ingannevole ai sensi del Tit. III, Capo II, Sez. I (artt. 1927) del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (‘codice del consumo’, nella formulazione ratione temporis vigente) in relazione ad alcuni messaggi diffusi da tale società sul proprio sito internet e attraverso pubblicità televisive.

Il procedimento veniva avviato anche nei confronti della soc. Zero9 s.p.a. (in qualità di committente dei messaggi oggetto di indagine) e dell’appellante T. I. s.p.a. in qualità di presunto operatore pubblicitario, coautore dei messaggi oggetto di contestazione.

In particolare, l’A.G.C.M. contestava all’operatore pubblicitario, al committente e al gestore telefonico di aver diffuso messaggi ingannevoli per i propri potenziali fruitori in relazione alle effettive condizioni economiche cui sarebbe stata subordinata l’offerta di servizi di incontri al buio, nonché di trasmissione di suonerie e contenuti per telefoni cellulari.

In concreto, era accaduto:

– che la società M. (nella sua qualità di autore e su incarico della soc. Zero9) avesse pubblicizzato su alcuni siti internet e attraverso alcune pubblicità televisive l’offerta di servizi c.d. "a valore aggiuntò (es.: relativi allo scaricamento di loghi o suonerie per telefoni cellulari), veicolati attraverso una numerazione telefonica "a decade 4" (ossia, attraverso un’utenza telefonica condivisa e gestita direttamente dagli operatori telefonici, titolari delle utenze in questione rispetto alla propria utenza finale);

– che la soc. M. avesse svolto il ruolo c.d. di "content provider" (fornendo il contenuto ideativo del servizio offerto al pubblico), mentre ciascuno dei gestori telefonici aveva svolto il ruolo di "carrier" dei messaggi, mettendo a disposizione (dietro compenso) le risorse di banda necessarie a veicolare i messaggi pubblicitari oggetto di indagine;

– che il meccanismo di remunerazione del servizio era basato sul c.d. "revenue sharing’, con la conseguenza che ai gestori telefonici venisse versata una percentuale del fatturato telefonico complessivo generato dalla vendita di contratti multimediali da parte della soc. M., anche a titolo di remunerazione per le attività svolte in sede di offerta dei servizi.

Con provvedimento adottato nell’adunanza del 3 agosto 2007, l’Autorità così decideva:

– riteneva che la soc. M. e la committente dei messaggi Zero9 avessero effettivamente realizzato un’ipotesi di pubblicità ingannevole (sanzionabile ai sensi degli articoli 20 e segg. del d.lgs. 206 del 2005), avendo omesso in maniera sostanzialmente decettiva di informare in modo adeguato i propri clienti effettivi e potenziali circa la tipologia dei servizi offerti e i relativi costi.

La condotta in tal modo posta in essere, quindi, concretava gli estremi dell’ingannevolezza ai sensi della lettera b) del comma 1 dell’art. 20, d.lgs. 206, cit.

Sul punto non vi è contestazione nell’ambito del presente giudizio;

– riteneva, altresì, che nell’ambito della complessiva vicenda anche gli operatori telefonici (e, in particolare, l’odierna appellante) avessero assunto la qualifica di "operatori pubblicitari’, in quanto sostanzialmente coautori dei messaggi contestati ai sensi dell’art. 20, d.lgs., cit.;

Sotto tale aspetto, l’Autorità riteneva che sussistessero tre elementi/indici rivelatori della richiamata qualificabilità come coautori dei messaggi contestati:

a) in primo luogo, l’esistenza di un potere (preventivo e successivo) di verifica sul contenuto dei messaggi pubblicitari, riconosciuta (sia pure, secondo modulazioni diverse) dai contratti stipulati con il content provider M. (primo elemento di responsabilità editoriale);

b) in secondo luogo, la circostanza per cui i gestori telefonici avessero espressamente consentito l’utilizzo dei propri loghi e segni distintivi nell’ambito delle operazioni pubblicitarie relative ai servizi reclamizzati, in tal modo palesando il proprio coinvolgimento diretto nell’ambito delle operazioni reclamizzate (secondo elemento di responsabilità editoriale);

c) in terzo luogo, il fatto che i gestori telefonici avessero tratto un diretto vantaggio economico dalle operazioni contestate dal momento che (in base al meccanismo del c.d. "revenue sharing’) i proventi derivanti dal traffico telefonico sulla numerazione a decade 4 nella specie utilizzata (numero 48282) venivano ripartiti fra il fornitore di contenuti e gli stessi operatori telefonici.

– Secondo l’Autorità, in particolare, "il concetto di operatore pubblicitario. Nell’ambito delle figure di committente, autore e coautore del messaggio, (può) ricomprendere anche i soggetti che hanno partecipato alla programmazione e confezionamento della comunicazione pubblicitaria e che risultano avere un interesse immediato alla sua diffusione, alla luce dei benefìci derivanti dal messaggio stesso".

– Con il provvedimento impugnato in prime cure, quindi, l’Autorità condannava la società appellante a una sanzione pecuniaria, che determinava in euro 43.100.

Il provvedimento in questione veniva impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio dalla soc. T. I. (ricorso n. 10194/07).

Con la pronuncia oggetto del presente appello, il Tribunale adìto così provvedeva:

– respingeva il ricorso dell’odierna appellante in relazione alla parte del provvedimento sanzionatorio con cui era stata riconosciuta la sua qualificabilità come operatore pubblicitario e coautore dei messaggi pubblicitari contestati;

– osservava che l’argomento dell’A.G.C.M. (fondato sulla figura del soggetto "coautorè del messaggio) non avesse introdotto nell’ordinamento una figura di carattere sistematicamente spurio, in quanto la sua enucleazione risultava compatibile con la previsione di cui all’art. 5 della l. 24 novembre 1981, n. 689 in tema di concorso di persone nell’illecito amministrativo;

– riteneva che il ragionamento svolto dall’Autorità fosse scevro da vizi logici e giuridici per la parte in cui aveva ritenuto la sussistenza di tre elementi/indici rivelatori della richiamata qualificabilità delle compagnie telefoniche come operatori / coautori dei messaggi contestati.

In particolare, il Tribunale riteneva complessivamente giustificato il giudizio dell’Autorità per quanto concerne la sussistenza: a) di due elementi di responsabilità di tipo editoriale (il potere di verifica sui contenuti dei messaggi e il consenso all’utilizzo dei segni distintivi), nonché b) di un elemento di responsabilità di tipo economico (derivante dal diretto vantaggio che il meccanismo di remunerazione in concreto utilizzato assicurava ai gestori telefonici).

– per quanto concerne il merito fattuale delle censure avanzate da ciascuno dei ricorrenti, il Tribunale riteneva che l’esame dei contratti intercorsi con la soc. M. e la concreta gestione del rapporto confermasse (e non smentisse) il giudizio circa l’esistenza di un apporto determinante dei gestori telefonici nella realizzazione della condotta illecita.

– per quanto concerne, invece, la quantificazione della sanzione, il primo Giudice riteneva illegittimo e incongruo l’operato dell’Autorità, la quale aveva finito per assoggettare ad una sanzione di ammontare inferiore l’autore principale della condotta (la soc. M.) e a sanzioni addirittura superiori i meri coautori (le compagnie telefoniche), in tal modo palesando una assenza di congruità nella ponderazione dei rispettivi ruoli in relazione alla condotta complessivamente realizzata.

Le sentenza in questione veniva gravata in sede di appello dalla soc. T. I., la quale ne lamentava sotto vari profili l’erroneità e ne chiedeva l’integrale riforma (ricorso in appello n. 2598/09).

La medesima pronuncia veniva, altresì, impugnata dall’A.G.C.M. per il capo relativo all’annullamento della determinazione relativa al quantum della sanzione (ricorso n. 2831/09).

All’udienza pubblica del 21 gennaio 2011, presenti i Difensori delle parti costituite come da verbale d’udienza, i ricorsi venivano trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società operante nel settore della telefonia mobile avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio con cui è stato accolto (ma solo in parte) il ricorso proposto avverso il provvedimento del 2007 con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi: "l’A.G.C.M.’) li ha qualificata come "operatore commercialè e "coautorè di alcuni messaggi pubblicitari ingannevoli assoggettati a sanzione ai sensi degli articoli 20 e segg. del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (nella formulazione ratione temporis vigente), rigettando per il resto il ricorso in questione.

Giunge, altresì, in decisione il distinto ricorso proposto dall’A.G.C.M. avverso il capo della richiamata sentenza con cui è stata annullata per irragionevolezza la parte del provvedimento contestato in cui veniva in concreto determinato il quantum della sanzione irrogata, assoggettando i gestori telefonici (nella loro veste di coautori della condotta) ad una sanzione di importo superiore rispetto a quella disposta per il content provider autore in senso principale della medesima condotta.

2. In primo luogo, il Collegio ritiene di disporre la riunione degli appelli in epigrafe, sussistendo evidenti ragioni di connessione oggettiva e in parte soggettiva (art. 70, c.p.a.).

5. Con il ricorso in appello n. 2598/09, la soc. T. I. chiede la riforma della sentenza n. 10465/08 per i seguenti motivi.

In primo luogo, la società in questione lamenta l’erroneità della pronuncia del T.A.R. per la parte in cui ha ritenuto che essa fosse qualificabile come operatore pubblicitario (rectius: coautore dei messaggi all’origine del procedimento sanzionatorio), sussistendo i due requisiti della responsabilità editoriale e del vantaggio economico connesso alla loro diffusione.

Al contrario, l’esame delle pertinenti circostanze avrebbe certamente portato ad escludere qualunque forma di responsabilità editoriale nell’ideazione e realizzazione dei contenuti vietati.

In definitiva, l’accollo di responsabilità in capo all’appellante sarebbe possibile solo a condizione di plasmare un’ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui.

Con un secondo argomento, T. I. osserva che, laddove i primi Giudici avessero esaminato con sufficiente approfondimento le pattuizioni contrattuali intercorso con la soc. M., non avrebbero potuto che escludere la sussistenza di una qualunque responsabilità di tipo editoriale in capo al soggetto carrier.

Ed infatti, il contratto in questione avrebbe – sì – consentito al carrier di prendere conoscenza del contenuto delle campagne pubblicitarie diffuse dal content provider, ma non avrebbe in alcun modo determinato un coinvolgimento dell’operatore telefonico nell’ideazione, elaborazione e realizzazione del messaggio, limitandosi – piuttosto – ai soli controlli finalizzati alla verifica della corretta esecuzione degli obblighi contrattuali.

Né le richiamate clausole contrattuali (e, in particolare, gli articoli 2, 6 e 8) potrebbero in alcun modo essere intese come conferitive di un obbligo (sostanzialmente pubblicistico e riservato all’Autorità di settore) di generalizzato controllo del contenuto dei messaggi e di prevenzione della commissione di illeciti attraverso il mezzo posto a disposizione.

E ancora, una siffatta forma di responsabilità non sarebbe configurabile in base alle disposizioni di cui all’art. 18, d.m.145 del 2006, atteso che tale decreto (come si è detto in precedenza) si limiterebbe a configurare un’esclusiva responsabilità del content provider per il contenuto dei messaggi oggetti di diffusione, esonerando il soggetto carrier da qualsiasi tipo di responsabilità di tipo editoriale.

Del resto, il decreto in questione limiterebbe il coinvolgimento dell’operatore telefonico ai soli profili di natura tecnica connessi al servizio di trasporto dei dati offerto.

Inoltre, una forma di diretta responsabilità in capo all’operatore telefonico non sarebbe individuabile:

– né in conseguenza del consenso all’utilizzo del proprio logo;

– né in considerazione del particolare meccanismo di remunerazione convenuto (si tratta del più volte richiamato meccanismo del c.d. "revenue sharing’);

– né – più in generale – alla luce delle previsioni di cui all’art. 20 del d.lgs. 206 del 2005, il quale considera "operatore pubblicitariò anche il proprietario del mezzo di diffusione, ma alla sola condizione (che qui non sussisterebbe) in cui il carrier non consenta all’identificazione del content provider.

6. Gli argomenti dinanzi sinteticamente richiamati, che possono essere esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.

7.1. Come si è detto in premessa, l’Autorità ha ritenuto che il complesso delle pertinenti circostanze deponesse nel senso che la società appellante fosse a pieno titolo individuabile quale soggetto coautore delle campagne pubblicitarie in contestazione e che, pertanto, essa fosse responsabile a titolo proprio per la fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 20, d.lgs. 206 del 2005.

Si è, altresì, detto che l’Autorità ha fondato tale affermazione a) sull’elemento di responsabilità editoriale riferito al potere di verifica sui contenuti dei messaggi; b) sull’elemento di responsabilità editoriale derivante dal consenso all’utilizzo dei propri segni distintivi nell’ambito della campagna pubblicitaria; c) dall’elemento di vantaggio economico derivante dal particolare meccanismo di remunerazione del c.d. "revenue sharing’.

7.2. La società appellante ha contestato la richiamata prospettazione osservando:

– quanto all’elemento a), che nessuno effettivo apporto fosse stato arrecato dall’operatore telefonico all’attività di ideazione, realizzazione e diffusione dei contenuti;

– quanto all’elemento b), che l’utilizzo del proprio logo non avesse alcuna finalità pubblicitaria (né avrebbe in alcun modo potuto averla), ma servisse unicamente a fornire un apporto informativo di carattere "neutralè alla clientela circa i servizi offerti;

– quanto all’elemento sub c), l’esistenza di un meccanismo di remunerazione delle risorse di banda poste a disposizione del content provider non testimonierebbe in alcun modo una cointeressenza circa gli obiettivi e i risultati della campagna pubblicitaria, ma rappresenterebbe un’ordinaria operazione svolta a condizioni di mercato, oltretutto resa necessaria dalla necessità (di tipo proconcorrenziale) di rendere possibile l’offerta di servizi informativi che altrimenti non presenterebbero un adeguato carattere di rimuneratività.

8. Il Collegio ritiene che tali argomenti non possano essere accolti.

8.1. Ad avviso del Collegio, infatti, la chiave di volta sotto il profilo logico e strutturale nell’esame della questione appena divisata è rappresentata dalla scelta (tradotta in puntuali pattuizioni negoziali) di individuare un meccanismo di remunerazione per la realizzazione delle campagne pubblicitarie oggetto di censura tale da determinare una diretta cointeressenza dell’operatore telefonici che veicolava i messaggi (c.d. "carrier’) nella diffusione dei messaggi e, in ultima analisi, nella migliore riuscita della campagna pubblicitaria in termini di diffusione e remuneratività.

8.2. Il richiamato meccanismo di remunerazione comportava che l’operatore telefonico si impegnasse a riconoscere alla soc. M., a titolo di corrispettivo, una quota del costo addebitato al cliente per ogni contenuto/servizio da questi acquistato. La parte restante del prezzo corrisposto dal cliente per i servizi forniti dal content provider veniva trattenuta dall’appellante a titolo di "revenue share’, ossia di percentuale sul fatturato complessivo generato dalla vendita dei contenuti multimediali da parte della soc. M..

Ebbene, il Collegio ritiene che la scelta di collegare la messa a disposizione delle proprie risorse di banda all’operatività del richiamato meccanismo di remunerazione non si traduca nella pura e semplice cessione delle richiamate risorse a un operatore terzo e distinto secondo normali condizioni di mercato, ma si risolva nella volontaria e consapevole partecipazione a un’iniziativa di tipo imprenditoriale finalizzata alla messa a disposizione dei richiamati servizi e alla massimizzazione degli utili conseguentemente ritraibili.

Ora, l’aver consapevolmente optato per un meccanismo di remunerazione il quale collegava in modo inscindibile l’apporto degli operatori telefonici (indispensabile alla realizzazione e diffusione della campagna pubblicitaria) al ritorno economico dell’iniziativa, mediante un sistema di sostanziale compartecipazione sul ricavato, giustifica appieno il giudizio dell’Autorità, la quale ha ritenuto che in tal modo operando le compagnie telefoniche avessero giustificato un giudizio di riferibilità soggettiva delle campagne pubblicitarie nel loro complesso.

Al riguardo si osserva:

– che la circostanza per cui le compagnia telefonica appellante ritraesse una quota percentuale dei proventi del traffico telefonico generato attraverso la fornitura dei servizi offerti dalla società M. e Zero9 rende chiaro che la prima non si limitasse a cedere risorse di rete a condizioni di mercato (i.e.: secondo un approccio tendenzialmente orientato alla sola copertura del costo marginale della risorsa ceduta), ma che fosse direttamente ed immediatamente interessate alla massima diffusione dei messaggi e alla conseguente massimizzazione del traffico telefonico generato (insomma, che essa fosse a pieno titolo compartecipe dell’iniziativa economica nel suo complesso);

– che l’opzione per un siffatto meccanismo di remunerazione eccedesse di certo il quid minimum reso necessario dalle regolazioni proconcorrenziali di settore (finalizzate a garantire l’accesso al mercato delle risorse di rete a condizioni eque e negoziate secondo buona fede). Al contrario, nessuna regola proconcorrenziale impone agli operatori di TLC di favorire a tal punto le iniziative loro proposte, sino ad assumerne volontariamente i connessi rischi di gestione e a collegare il proprio interesse imprenditoriale alla migliore riuscita dell’iniziativa stessa;

– che, se la scelta del richiamato meccanismo di remunerazione non derivava da obblighi proconcorrenziali resi vincolanti dalla regolazione di settore, essa discendeva invece da una libera scelta imprenditoriale dell’operatore, il quale aveva ritenuto economicamente conveniente partecipare a una determinata iniziativa pubblicitaria attraverso il proprio indefettibile apporto tecnico, convenendo con la controparte negoziale un meccanismo di remunerazione tale da determinare una diretta ed immediata cointeressenza alla più ampia diffusione dell’iniziativa e – in via mediata – una diretta compartecipazione alla sua maggiore rimuneratività economica.

8.3. Per ragioni connesse a quelle appena evidenziate, anche la scelta di consentire l’utilizzo dei propri segni distintivi nell’ambito delle campagne oggetto di contestazione (e, in particolare, del logo d’impresa nell’ambito delle diverse schermate alle quali i potenziali clienti del servizio accedevano attivando i collegamenti resi disponibili sulle pagine Internet), lungi dal rivestire la mera finalità informativa sulla quale insiste la Difesa dell’appellante, costituiva a propria volta un’opzione idonea ad assicurare il miglior successo dell’iniziativa stessa e a rafforzare la diretta partecipazione e cointeressenza dell’appellante stessa alla sua realizzazione.

Si osserva al riguardo:

– che la circostanza per cui i loghi dei principali operatori nazionali di telefonia mobile comparissero sulle pagine Internet dell’operatore pubblicitario conferiva ai messaggi diffusi (e di questo gli operatori coinvolti non potevano non essere consapevoli) una maggiore immagine di attendibilità, tale da indurre i potenziali clienti ad accostarsi all’offerta proposta con un più alto grado di fiducia;

– che non appare persuasivo l’argomento secondo cui l’utilizzo contestuale e congiunto dei (quattro) loghi non potesse sortire alcun effetto pubblicitario favorevole per ciascuno degli operatori, dal momento che nessun operatore economico accetterebbe di accostare il proprio marchio a quello di un diretto concorrente nell’ambito della medesima pubblicità. Al riguardo si osserva: a) che non si è contestato all’appellante di aver partecipato all’iniziativa pubblicitaria in questione al fine di promuovere in modo diretto i propri servizi; ma si è contestata la ben diversa condotta di aver contribuito in modo determinante a favorire l’offerta pubblicitaria delle società M. e Zero9 (condotta, questa, ben compatibile con l’utilizzo contestuale e congiunto dei quattro loghi di impresa); b) che l’interesse immediato e diretto comune alle compagnie telefoniche era comunque quello di garantire la massimizzazione del traffico generato con l’offerta dei servizi a sovraprezzo offerti dalle società M. e Zero9 e che tale massimizzazione (pur "pantografandò le quote di mercato possedute da ciascun operatore e lasciando inalterata la quota percentuale rispettivamente posseduta) avvantaggiava comunque ciascuno di essi attraverso un incremento pro quota del traffico generato e – in via mediata – attraverso una più congrua ritrazione della revenueshare di rispettiva spettanza.

8.4. Concludendo anche su questo punto, si può affermare che il provvedimento sanzionatorio gravato nell’ambito del primo ricorso risulti esente dalle censure rubricate per la parte in cui ha ritenuto la sussistenza di un comportamento attivo da parte della compagnia telefonica (realizzato – inter alia – attraverso la volontaria compartecipazione alla riuscita economica dell’iniziativa e attraverso la messa a disposizione dei propri segni distintivi), tale da individuare l’impresa in questione quale soggetto coautore della campagna pubblicitaria oggetto di contestazione.

9. E’ alla luce di tale impostazione che vanno quindi valutati gli ulteriori argomenti difensivi profusi dalla società appellante.

9.1. In particolare, una volta dimostrata l’esistenza di un comportamento commissivo, idoneo a concretare la fattispecie illecita sotto il profilo oggettivo, occorre domandarsi se il medesimo comportamento possa considerarsi o meno esente da un giudizio di riprovevolezza sotto il profilo soggettivo.

9.2. Al riguardo è noto che un consolidato orientamento giurisprudenziale interpreta la previsione di cui al primo comma dell’art. 3, l. 689, cit. (secondo cui "nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione o omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa") non già nel senso dell’indifferenza in ordine alla sussistenza o meno di un comportamento – quanto meno – colposo, bensì nel senso di porre una praesumptio juris tantum di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che l’abbia commesso, riservando poi a quest’ultimo l’onere di dimostrare di aver agito senza colpa (Cass. Civ., sez. lav., 26 agosto 2003, n. 12391).

9.3. Ebbene, ritiene il Collegio che l’odierna appellante non sia in condizione di vincere la richiamata presunzione, atteso:

– che essa ha coscientemente e volontariamente collaborato alla realizzazione dell’illecito (cfr. infra, sub 8);

– che essa è operatore professionale del settore delle comunicazioni elettroniche, che disponeva di strumenti (contrattuali e conoscitivi) idonei a prendere cognizione ed apprezzare il carattere illecito dei messaggi diffusi attraverso i propri mezzi tecnologici e che, cionondimeno, ha consentito che la condotta illecita si realizzasse in tutta la sua portata lesiva;

– che le giustificazioni addotte, tendenti a dimostrare che essa ha messo in opera ogni accorgimento necessario e sufficiente per evitare il prodursi della fattispecie illecita, non appaiono convincenti.

9.4. L’esame delle pertinenti pattuizioni contrattuali intercorse con il content provider dimostra in primo luogo che l’appellante disponesse contrattualmente di strumenti idonei a consentire un’indagine sul contenuto dei messaggi diffusi e che essa, in quanto operatore professionale del settore delle comunicazioni elettroniche, disponesse di strumenti idonei ad apprezzare il carattere illecito dei messaggi diffusi attraverso i propri mezzi tecnologici.

Il medesimo esame dimostra in secondo luogo che la violazione di tali stringenti pattuizioni aveva quale unico effetto la responsabilizzazione della controparte contrattuale.

Tutto ciò è evidentemente inaccettabile.

9.5. Ora, per quanto concerne le richiamate pattuizioni contrattuali, si osserva che:

– nel contratto intercorso fra T. I. e la soc. M. – art. 8 – era espressamente prevista la previa sottoposizione dei messaggi oggetto di diffusione al carrier, anche se la soc. T. I. osserva che la richiamata previsione contrattuale era finalizzata unicamente a consentire alla soc. T. I. di salvaguardare la propria immagine commerciale, al fine di tutelarsi preventivamente dalla diffusione di contenuti dei servizi ritenuti offensivi o comunque non adeguati alla propria utenza;

9.5.1. L’esame delle richiamate pattuizioni rende palese che, laddove si avallasse in via applicativa il criterio distributivo proposto dalla società appellante, si ammetterebbe la sostanziale disapplicazione in via pattizia dei criteri legali di determinazione della responsabilità da illecito (criteri certamente ascrivibili all’ambito delle clausole di ordine pubblico e in quanto tali sottratti al potere dispositivo dei soggetti privati). Ancora, laddove si consentisse il pieno dispiegarsi delle richiamate clausole di manleva, si ammetterebbe l’introduzione per via pattizia di nuove ipotesi scriminanti destinate ad operare nell’ambito (evidentemente, indisponibile) della disciplina degli illeciti amministrativi;

– che l’odierna appellante non può addurre a propria discolpa la circostanza per cui la controparte contrattuale (i.e: il content provider), contravvenendo alla lettera e allo spirito delle richiamate pattuizioni, non avesse in concreto reso informazioni tempestive e puntuali in ordine al contenuto delle campagne pubblicitarie oggetto di diffusione, in tal modo precludendo la possibilità per il carrier di operare un controllo effettivo sui richiamati contenuti. Ciò, in quanto, l’iniziale previsione di un pervasivo sistema di comunicazioni e approvazioni preventive; il carattere di particolare qualificazione professionale dello stesso carrier (primario operatore del settore delle comunicazioni elettroniche e anch’esso attivo nel settore pubblicitario) nonché l’immediata cointetessenza economica nei risultati delle campagne pubblicitarie in questione (attraverso il meccanismo di remunerazione c.d. di "revenue sharing’), erano tutti elementi tali da innestare in capo all’attuale appellante un onere specifico di prevenire la realizzazione di condotte illecite attraverso gli strumenti tecnologici posti a disposizione delle proprie controparti negoziali;

– che, riguardando la condotta censurata sotto l’angolo visuale dell’illecito di tipo commissivo, la conoscenza (o la conoscibilità) del contenuto delle campagne pubblicitarie costituisce il presupposto sul quale si fonda la condivisione e la cointeressenza nei confronti della condotta illecita;

– che, conseguentemente, anche ad ammettere la violazione da parte del content provider degli obblighi di comunicazione preventiva assunti contrattualmente, ciò non potrebbe determinare un effetto scriminante nei confronti dell’odierna appellante, la quale aveva omesso in modo colpevole di predisporre un adeguato sistema di controlli preventivi (certamente esigibile alla luce delle circostanze del caso concreto) e – in ogni caso – aveva omesso di ricorrere in concreto anche agli stessi strumenti di controllo e prevenzione negozialmente stabiliti;

9.6. Il Collegio osserva, inoltre, che il meccanismo di distribuzione degli oneri di preventiva vigilanza dinanzi richiamato non determina (contrariamente a quanto affermato dall’appellante) una sostanziale traslazione in capo a soggetti privati dei poteri di vigilanza e controllo sugli illeciti sanzionabili, tipicamente spettanti all’Autorità di settore. E’ evidente al riguardo che la prospettazione dell’appellante sarebbe in astratto percorribile solo laddove si condividesse il relativo presupposto logicofattuale (ossia, che l’attività di verifica e controllo imposta al carrier si innestasse su un fatto altrui – lo svolgimento di un’attività pubblicitaria da parte del contentprovider, cui il carrier restava essenzialmente estraneo, senza che su di esso gravassero puntuali obblighi di facere -). Tuttavia, la prospettazione in parola risulta radicalmente da escludere se solo si osservi che l’omissione contestata all’appellante non riguarda in alcun modo un controllo di tipo pubblicistico relativo a una condotta altrui cui il soggetto onerato restava sostanzialmente estraneo, ma riguarda – al contrario – un fatto commissivo proprio, contrario alla condotta possibile ed alternativa, la quale era in concreto esigibile sulla base del concreto atteggiarsi del regolamento negoziale;

9.6.1. Si osserva, ancora, che non può trovare accoglimento la tesi dell’appellante secondo cui non sarebbe stato esigibile nei suoi confronti un comportamento tale da prevenire ed impedire il verificarsi della condotta sanzionata attraverso un adeguato (ma onerosissimo) sistema di controlli preventivi sui contenuti e le modalità delle campagne pubblicitarie. Ed infatti, pur non potendosi sottacere l’indubbia complessità tecnicoorganizzativa del sistema di controlli reso necessario dalla tipologia e dal numero delle attività pubblicitarie poste in essere, è altresì certo che non sussistesse nella specie alcun impedimento di carattere assoluto alla sua realizzazione. E’ altresì certo che il quantum di esigibilità nell’attivazione di rimedi di tipo preventivo deve essere in concreto modulato tenendo in adeguata considerazione: a) la diretta cointeressenza economica dell’odierna appellante alla riuscita e diffusione dei messaggi pubblicitari oggetto di contestazione; b) la notevolissima dimensione organizzativa dell’appellante (primario operatore di mercato); c) la sua indubbia attitudine (in qualità di operatore del settore delle telecomunicazioni, a propria volta dotato di coacervata esperienza nel settore pubblicitario) ad apprezzare i profili di ingannevolezza contenuti nelle campagne oggetto di contestazione

10. Per le ragioni sin qui esaminate, non risulta determinante ai fini della presente decisione stabilire se uno specifico onere di verifica e controllo spettasse in capo all’odierna appellante anche in applicazione dell’art. 18 del d.m. 2 marzo 2006, n. 145 (‘regolamento recante la disciplina dei servizi a sovraprezzo’).

11. Tracciando alcune conclusioni sui punti sin qui esaminati, è possibile affermare:

a) che l’odierna appellante avesse apportato un contributo efficiente certamente determinante sotto il profilo eziologico al fine di rendere possibile il realizzarsi della condotta illecita oggetto dell’attività sanzionatoria da parte dell’Autorità;

b) che l’apporto concausale riferibile all’odierna appellanti era riconducibile ad un’ipotesi di illecito di tipo commissivo, e quindi alla previsione di cui all’art. 5, l. 689 del 1981 (in tema di concorso di soggetti nell’illecito amministrativo), per avere essa contribuito con un apporto cosciente e volontario alla realizzazione delle campagne informative, condividendone in ultima analisi il contenuto e le stesse finalità imprenditoriali;

c) che, inoltre, il comportamento posto in essere dalla società appellante era altresì riconducibile a un’ipotesi di responsabilità per comportamento colpevole, per non aver posto in essere un adeguato setting di strumenti di verifica e controllo (che, pure, rientrava nella sua disponibilità ed era in capo ad essa concretamente esigibile) tale da impedire il verificarsi dell’illecito amministrativamente sanzionato;

d) che la fattispecie di responsabilità in tal modo posta in essere non assumeva i caratteri tipici di una responsabilità di tipo oggettivo (o per fatto altrui), ma si connotava dei caratteri tipici di una responsabilità per fatto proprio e colpevole, sì da giustificare l’adozione delle determinazioni sanzionatorie impugnate nell’ambito del primo grado di giudizio.

12. In base a quanto sin qui esposto, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

12.1. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

13. In base a quanto sin qui esposto, il ricorso numm. 2598/09 deve essere respinto.

14. Deve, a questo punto, essere esaminato il ricorso num. 2831/09, con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha chiesto la riforma della pronuncia in epigrafe per la parte in cui ha disposto l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori per ciò che attiene la quantificazione delle sanzioni.

Come si è esposto in narrativa, il provvedimento dell’Autorità n. 17209/07, tenuto conto della specifica gravità della condotta posta in essere dalla soc. M., la capacità diffusiva del mezzo tecnico utilizzato, la durata della condotta e l’importanza economica della società in questione, l’aveva condannata a una sanzione pecuniaria pari ad euro 13.100 (al pari del committente Zero9).

Per quanto concerne l’odierna appellante, essa era stata condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria pari ad euro 43.100.

A tal fine, l’Autorità aveva ritenuto che tale misura sanzionatoria fosse congrua in considerazione della posizione e dimensione economica dell’operatore in questione (si tratta del principale operatore nazionale del settore).

La pronuncia in epigrafe ha annullato in parte qua le richiamate determinazioni sanzionatorie, censurando in particolare l’assenza di congruità nella ponderazione dei ruoli rivestiti da ciascuna delle società sanzionate ai fini della quantificazione della sanzione.

In particolare, i primi Giudici hanno osservato che apparisse illogico aver assoggettato gli operatori telefonici (nella loro veste di soggetti carrier e meri "coautorì della condotta sanzionata) a un ammontare sanzionatorio addirittura superiore rispetto a quello disposto nei confronti del content provider M., di cui non poteva comunque essere disconosciuto il ruolo di principale artefice dell’illecito sanzionato.

Il richiamato capo della pronuncia in epigrafe è stato gravato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale ha osservato:

– che l’apporto concausale fornito dagli operatori telefonici alla realizzazione dell’illecito, pur se ontologicamente diverso rispetto a quello realizzato dalla soc. M., non poteva sic et simpliciter giustificare un giudizio di minore gravità dell’apporto fornito dai primi rispetto a quello fornito dall’autore principale dei messaggi;

– che il ruolo di meri "coautorì accertato in capo agli operatori telefonici non poteva giustificare un apodittico giudizio di minore gravità della condotta da questi posta in essere;

– che, in definitiva, il provvedimento sanzionatorio dovesse essere considerato congruo e motivato per la parte in cui aveva attribuito rilievo, ai fini della quantificazione della sanzione: a) al carattere determinante dell’apporto concausale fornito da ciascun compartecipe; b) alla diretta riferibilità della condotta sanzionata anche agli operatori telefonici in considerazione degli elementi di responsabilità editoriale e di cointeressenza economica; c) alla valutazione della determinazione economica di ciascun compartecipe.

15.1. I motivi dinanzi sinteticamente richiamati sono meritevoli di accoglimento.

15.2. Dal punto di vista sistematico occorre premettere che i criteri generali di cui fare applicazione in sede di commisurazione delle sanzioni pecuniarie nelle materie di cui al d.lgs. 206 del 2005 sono rinvenibili nell’ambito dell’art. 11 della l. 689 del 1981, a tenore del quale "nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche".

La disposizione in questione, per le ragioni già richiamate, risulta idonea a governare la vicenda di causa per ciò che attiene alla determinazione del quantum risarcitorio (ed infatti, ai sensi del comma 13 dell’art. 27, d.lgs. 206, cit. – nella formulazione ratione temporis rilevante – per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni in tema di tutela dei consumatori, si osservano -inter alia – le disposizioni di cui agli articoli da 1 a 12, l. 689, cit.).

Ancora dal punto di vista generale, deve essere nel caso di specie richiamato il consolidato – e qui condiviso – orientamento secondo cui l’attività determinativa del quantum della sanzione irrogata (nonché, più a monte, il giudizio di sussunzione delle peculiarità del caso di specie entro i criteri determinativi normativamente indicati) costituisce esplicazione di una lata discrezionalità, con la conseguenza che l’operazione valutativa in tal modo posta in essere non possa essere sindacata in sede di giudizio di legittimità, laddove risulti congruamente motivata e scevra da vizi logici (Cass. Civ., I, 16 aprile 2003, n. 6020).

Impostati in tal modo i termini sistematici della questione, il Collegio ritiene che l’attività determinativa posta in essere dall’Autorità risulti esente dai vizi rilevati dai primi Giudici, se solo si osservi:

– che l’Autorità ha puntualmente tenuto conto, ai fini determinativi, di un complesso di circostanze certamente compatibili con la litera e la ratio dell’art. 11, cit. (ruolo ricoperto da ciascun coautore nell’ambito della fattispecie illecita, specifica gravità dei singoli apporti, rilevanza economica del singolo coautore, sussistenza di specifiche circostanze aggravanti);

– che, in particolare, la motivazione del provvedimento sanzionatorio appare conforme al paradigma di riferimento laddove ha affermato che, a parità di ulteriori condizioni, si sarebbe tenuto conto ai fini determinativi, della consistenza economica di ciascun compartecipe (si tratta di un criterio espressamente richiamato dall’art. 11, cit.);

– che le sentenze in epigrafe non risultano persuasive laddove hanno enfatizzato il dato relativo alla diversa qualità dell’apporto di ciascuno dei coautori del fatto illecito, ritenendo irragionevole la scelta conclusiva di assoggettare a una sanzione di importo maggiore l’autore principale della condotta e a una sanzione di importo inferiore i meri soggetti coautori;

– che le decisioni in questione non tengono in adeguata considerazione la circostanza per cui (per le ragioni dinanzi richiamate sub 8.3.) ciascuno dei compartecipi alla condotta oggetto di sanzione avesse apportato un contributo concausale indefettibile ai fini della realizzazione della condotta decettiva, senza che l’apporto fornito dalla soc. M. potesse essere ritenuto per definizione di maggiore gravità, laddove posto in comparazione con quello fornito dagli operatori telefonici. Al contrario, per le ragioni dinanzi richiamate, detti operatori avevano apportato alla fattispecie un contributo determinante sotto il profilo concausale, avevano agito con azioni e omissioni colpevoli e avevano ritratto dalla complessiva condotta illecita un diretto vantaggio economico di ammontare tanto maggiore, quanto maggiore era la dimensione economica e la quota di mercato detenuta;

16. In definitiva, il ricorso n. 2598/09 deve essere respinto.

Al contrario, il ricorso proposti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e recante il num. 2831/09 deve essere accolto, con conseguente riforma della pronuncia oggetto di gravame, nel senso dell’integrale reiezione del ricorso proposi in primo grado dall’operatore telefonico.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così decide:

Respinge il ricorso num 2598/09;

Accoglie il ricorso num. 2831/09 e per l’effetto, in riforma della pronuncia oggetto di gravame, dispone l’integrale reiezione del ricorso proposto in primo grado

Condanna la soc. T. I. s.p.a. alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 10.000 (diecimila), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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