Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 19-04-2011, n. 312 Comune

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso proposto avanti il T.A.R. Palermo nel novembre del 2007, la società appellante, la quale opera nel settore dell’attività di affissione e pubblicitaria, esponeva di avere in gestione, fin dal 1995, gli impianti pubblicitari di proprietà della SIGE S.p.A., e affermava che gli stessi erano muniti di regolare autorizzazione da parte del Comune di Agrigento.

Esponeva, altresì, di avere, a seguito di una ispezione con relativo verbale di accertamento di violazione edilizia, inoltrato apposita istanza per ottenere il ripristino dell’attività pubblicitaria, alla quale corrispondeva un atto di diniego sulla scorta di una presunta inesistenza di valido titolo abilitativo.

Venivano conseguentemente impugnati il predetto diniego, nonché gli articoli 10 e 14 del vigente Regolamento edilizio applicati dall’Amministrazione comunale di Agrigento. Le doglianze proposte erano del seguente tenore:

1) Eccesso di potere per errore nel presupposto e per illogicità manifesta – difetto di motivazione.

La presunta assenza di autorizzazione sarebbe smentita dall’esistenza dell’atto n. 151/1991 alla installazione degli impianti pubblicitari, rilasciata dal Comune di Agrigento, ancora valido.

2) Eccesso di potere per difetto di attività procedimentale.

Prima di adottare l’impugnato diniego si sarebbe dovuto concludere il procedimento relativo al verbale redatto dai Vigili Urbani.

3) Violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990.

Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune intimato, chiedendone il rigetto.

Con ordinanza n. 1922 del 6.12.2007 veniva accolta l’istanza cautelare.

Con ricorso per motivi aggiunti proposti nell’anno successivo, la Simeto Docks s.r.l. deduceva altresì la elusione del giudicato cautelare e l’eccesso di potere sub specie di difetto di motivazione oltre che la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 e dell’art. 8 della L. n. 10/1991.

Con la pronuncia in epigrafe il Giudice di prime cure ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti.

Ha proposto appello la società soccombente.

Si è costituito il Comune di Agrigento, ma oltre i limiti temporali stabiliti dall’articolo 73 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 così che non possono acquisirsi, a fini decisori, le difese prospettate nei relativi atti.
Motivi della decisione

1) L’appello è infondato.

Con la prima parte del primo motivo l’appellante sostiene che il Giudice di primo grado non avrebbe tenuto nel debito conto la natura economica delle attività espletate così che, per la legittimità delle stesse, sarebbe stata sufficiente la comunicazione di inizio attività.

L’argomento non tiene conto della fondamentale circostanza che l’attività economica in questione avrebbe dovuto essere esercitata su suolo pubblico e che la stessa, conseguentemente, non può svolgersi invito domino.

Va ancora soggiunto che l’appellante equivoca tra autorizzazione all’installazione, che riguarda l’effettiva realizzazione dell’impianto, con il titolo concessorio all’espletamento dell’attività nelle aree di proprietà dell’ente pubblico o facenti addirittura parte del demanio comunale.

L’autorizzazione all’installazione si pone nella relativa sequenza procedimentale in un momento successivo all’atto di concessione del suolo pubblico ed i due provvedimenti presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla ponderazione di interessi pubblici differenti;

2) Assume poi l’appellante di aver ottenuto la concessione in sanatoria e che ciò determinerebbe la cessazione della materia del contendere.

A prescindere dalla non perfetta identificazione del tipo di pronuncia conseguente ad un evento successivo alla proposizione del ricorso e ai soli effetti della sanatoria (il che condurrebbe ad una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse), tale affermazione non è stata supportata da documentazione e comunque non appare allo stato dimostrata. Se così fosse, peraltro, non si comprenderebbe per quale ragione sia stata coltivata la vertenza anche in grado di appello (la circostanza era nota fin dal primo grado come si evince dalla lettura della sentenza appellata).

La doglianza va respinta.

3) Pertanto, non consegue migliore sorte il motivo con il quale si lamenta la violazione dell’articolo 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, per carenza del preavviso di rigetto.

Osserva, al riguardo, il Collegio che il Tribunale amministrativo adito ha correttamente applicato il precetto recato nel comma 2 dell’articolo 21 octies della citata legge n. 241 del 1990, rilevando come, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento edilizio, l’impianto in questione richiedeva il rilascio di concessione e non già la semplice autorizzazione all’installazione.

In effetti, il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, indipendentemente dalla formale conformità o meno alla citata norma sul procedimento: ciò rende palesemente superabile la doglianza dedotta, atteso che, in sostanza, l’eventuale apporto del privato non avrebbe potuto incidere sulla (contestata) determinazione amministrativa.

4) Parimenti infondata è la censura secondo la quale il provvedimento di diffida a rimuovere gli impianti abusivi violerebbe l’ordinanza cautelare n. 1922/07, resa dal medesimo Tribunale.

Giova, in primo luogo, rilevare che il provvedimento de quo successivo all’ordinanza cautelare in questione, rappresenta un autonomo atto di natura sanzionatoria posto in essere nell’esercizio del potere-dovere di controllo del territorio spettante all’Ente, e che, comunque, il vaglio della sua legittimità è stato affidato al giudizio di merito.

Come è noto, in quest’ultimo giudizio si risolve e finisce per perdere ogni efficacia il provvedimento cautelare antecedente, specie se, come avvenuto nel caso di specie, le conclusioni raggiunte nel merito siano di segno uguale e contrario di quelle presupposte in sede cautelare.

5) Alla stregua di questa semplice osservazione non v’è dubbio che, nel caso in esame, nessuna difformità possa individuarsi tra contenuto decisorio ed effetti sul contestato provvedimento di diffida.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese – come di regola – seguono la soccombenza e sono indicate nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Condanna l’appellante alle spese del giudizio che, comprensive di diritti ed onorari, liquida in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, il 16 dicembre 2010, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Filoreto D’Agostino, estensore, Antonino Anastasi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 19 aprile 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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