Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-01-2011) 20-04-2011, n. 15676

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 10.12.2009 la 3^ Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Napoli in data 4.11.2008, rideterminava la pena, irrogata ad A.A. e D.V.L. per il tentato omicidio di R.E. e P.D., fatto commesso per agevolare l’organizzazione camorristica dei Casalesi, e detenzione e porto d’armi, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ad entrambi gli imputati.

Nella sentenza si legge che nel corso del giudizio d’appello gli imputati ammettevano il loro concorso nei fatti di sangue in esame.

La D. escludeva però di avere agito per favorire il clan dei Casalesi.

La Corte Territoriale non dava credito a tale ultima dichiarazione richiamando quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia, in particolare da B.D., riscontrato da altri collaboratori di giustizia e dalla confessioni di D.V.L., nonchè dal ruolo della donna nell’ambito della compagine criminale in argomento.

Avverso la sentenza presentano ricorso per Cassazione i difensori degli imputati. Il difensore della D. deduce che la sentenza impugnata è incorsa in erronea applicazione della legge penale con riguardo alla L. n. 203 del 1991, art. 7. lamenta il ricorrente che la Corte Territoriale ha riconosciuto sussistente a carico della D. l’aggravante in argomento in assenza di una provata conoscenza da parte dell’imputata del motivo sotteso all’azione delittuosa.

Il difensore di D.V. lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione e l’eccessività della pena.

Il motivo proposto dalla difesa D. è generico perchè riproduce pedissequamente il motivo d’appello E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcuna censura specifica alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in argomento, che ha fornito una risposta specifica al motivo di gravame alla luce anche delle dichiarazioni spontanee rese in sede d’appello dai due imputati, la ripresentazione dello stesso come motivo di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto, come indicato, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr.

Cass. N. 20377/2009; N. 8443 del 1986 Rv. 173594, N. 12023 del 1988 Rv. 179874, N. 84 del 1991 Rv. 186143, N. 1561 del 1993 Rv. 193046, N. 12 del 1997 Rv. 206507, N. 11933 del 2005 Rv. 231708).

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata. In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass Sez. 4 n. 4842 del 2.12.2003;

Cass. Sez. 5, sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2, sent n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Anche il motivo presentato dalla difesa D.V. è manifestamente infondato. Il giudice d’Appello ha dato conto delle ragioni che hanno determinato l’applicazione delle attenuanti generiche non nella massima estensione e degli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p. per la determinazione dell’entità della pena. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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