Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-07-2011, n. 15719

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. S.G., S.E., M.L., quali eredi ab intestato di S.C., ricorrono -affidandosi ad un unico motivo – per la cassazione della sentenza n. 15/09 della Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, pubbl. il 26.1.09 e notificata il 26.3.09, con la quale è stato respinto il loro appello avverso il rigetto, da parte del Tribunale di Taranto, della domanda avanzata dal loro dante causa nei confronti del Comune di Manduria ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni da assunta responsabilità precontrattuale di quest’ultimo nelle trattative per la vendita di un immobile da destinare all’ampliamento di una scuola.

1.2. In particolare, la Corte di appello ha ricondotto l’infausto esito delle trattative alla condotta del proponente la vendita e precisamente alla sostanziale riformulazione, da parte sua, dei termini del futuro accordo, mediante modifica del prezzo e previsione di un patto di riservato dominio; ed ha ascritto all’incauta determinazione del medesimo proponente la vendita – in rapporto alla notorietà della complessità delle procedure per la formazione della volontà della P.A. – la diminuzione del suo patrimonio determinata dalle spese sostenute con affidamento sul perfezionamento dell’affare.

1.3. Resiste con controricorso il Comune di Manduria; e, per la pubblica udienza del 17 maggio 2011, illustrate da entrambe le rispettive posizioni con memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., le parti compaiono per la discussione orale.
Motivi della decisione

2. I ricorrenti impugnano la gravata sentenza con un unitario motivo, rubricato "violazione e falsa applicazione degli artt. 1328 e 1337 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c", concluso con il seguente quesito di diritto: dica la Corte di Cassazione se non è vero che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che l’originaria proposta del dott. S.C. fosse stata unilateralmente modificata, con ciò contravvenendo agli esiti di tutta l’istruttoria che, invece, ha acclarato che la maggiorazione del prezzo di vendita del terreno fosse stata determinata da precisi obblighi imposti al primo dall’UTC del Comune di Manduria e che, quindi, il recesso operato dal Comune di Manduria dalle trattative non abbia configurato un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.; in buona sostanza, essi chiedono a questa Corte di rivalutare il materiale probatorio, soffermandosi analiticamente sulle testimonianze del preside della scuola da ampliare, dell’allora Sindaco del Comune, del dirigente e di due dei geometri dell’ufficio tecnico di questo, del Soprintendente per i beni archeologici di Taranto, per poi esaminarle in raffronto agli atti di causa ed alla delibera originaria del Comune.

3. Con il controricorso il Comune di Manduria stigmatizza l’inammissibilità del ricorso, sia per vizio di formulazione del motivo di diritto, sia per il suo riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3; ma non manca di prendere posizione sul merito dell’avversa doglianza, contestandola partitamente tanto in ordine alle testimonianze assunte in primo grado che in relazione alla nuova proposta contrattuale: e comunque, negato che fossero mai stati definiti gli elementi essenziali del contratto da concludere, prospetta una giusta causa di recesso dalle trattative nella condotta del proponente la vendita e la carenza di prova sui danni che controparte pretende avere patito.

4. Il ricorso è inammissibile in relazione alla formulazione del quesito di diritto, imposta dall’art. 366 is cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 ed applicabile -in virtù del comma secondo dell’art. 27 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima. In linea generale, infatti, i quesiti:

4.1. non devono risolversi in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un., 11 marzo 2008, n. 6420);

4.2. non devono risolversi in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);

4.3. devono al contempo comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, tanto che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. 30 settembre 2008, n. 24339);

4.4. devono essere formulati in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, devono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.:

Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769; Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704).

5. Ben al contrario, nel caso di specie i ricorrenti articolano l’unitario motivo sul riferimento al caso concreto, mancano di esprimere la regola di diritto malamente applicata e quella invece da ritenersi corretta, finendo con l’invocare oltretutto una rivalutazione del materiale probatorio nel suo complesso, ovvero una sua valutazione o considerazione, differente da quella operata dal giudice di merito: operazione, quest’ultima, sempre preclusa in sede di legittimità. Ed è appena il caso di rilevare che a tale difetto originario del quesito non può sopperirsi con la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ. (che indulge ancora una volta nella specifica confutazione delle valutazioni del materiale istruttorio operate dal giudice di merito e che si dilunga nella quantificazione del danno, richiedendo a questa Corte di legittimità una impossibile rielaborazione delle relative valutazioni di fatto), destinata per previsione codicistica alla mera illustrazione di quanto già sia stato utilmente sostenuto e dispiegato in precedenza.

6. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile ed i soccombenti vanno solidalmente condannati – per l’unitarietà della loro posizione processuale – al pagamento, in favore di controparte, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione reputata equa come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna G. S., S.E., M.L., nella loro qualità e comunque tra loro in solido, al pagamento, in favore del Comune di Manduria, in pers. del leg. rappr.nte p.t., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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