Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-01-2011) 20-04-2011, n. 15631

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ccoglimento del ricorso e dichiararsi la prescrizione del reato.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del Tribunale di Venezia del 2 marzo 2009, B. S., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. a) oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 fatto accertato in (OMISSIS) nel corso del (OMISSIS) e comunque prima del sequestro di terre da scavo operato il (OMISSIS), veniva ritenuto colpevole del detto reato e condannato alla pena di Euro 5.000 di ammenda, pena interamente condonata, oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili (da liquidarsi in separata sede e con provvisionale di Euro 5.000 in favore di una di esse – Provincia Regionale di Venezia) – ed al pagamento delle spese processuali dalle stesse sostenute.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso personalmente l’imputato, deducendo erronea applicazione della legge penale (in particolare del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, lett. a) come oggi sostituito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 sostenendo che, in relazione alla natura dei materiali depositati (terre e rocce da scavo) la normativa contestata non fosse applicabile: ha richiamato, al riguardo, le disposizioni di cui alla L. n. 93 del 2001, art. 10 che, integrando il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8 hanno escluso dal novero dei rifiuti assoggettati alla disciplina penalistica le terre e rocce da scavo (ad eccezione di quelle provenienti da siti inquinati) e i materiali vegetali non contaminati da sostanze inquinanti; ha ulteriormente richiamato le disposizioni contenute nella L. n. 443 del 2001, commi 17, 18 e 19 – che ha fornito l’interpretazione autentica dell’espressione "terre e rocce da scavo" sottratte al regime penalistico, anche laddove contaminate da sostanze inquinanti, purchè non superiori ai limiti massimi consentiti, concetto poi rettificato e ristretto per effetto della L. n. 306 del 2003, art. 23 di diritto comunitario che ha stabilito ulteriori criteri restrittivi in materia di riversamento di terre e rocce da scavo, ferma restando però, in via generale, la sottrazione al regime penalistico.

Secondo l’assunto difensivo, l’erroneità della contestazione deriverebbe anche dalla circostanza che, a tenore dell’accusa, l’illecito penale sarebbe integrato per il fatto che i rifiuti non risultavano compresi in un progetto approvato dall’autorità competente. Al riguardo ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui il primo giudice ha fatto cattivo uso della norma incriminatrice, tralasciando di considerare che la L. n. 306 del 2003, art. 23, comma 1, n. 2 come integrato dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47, art. 23 octies oltre a restringere l’ambito di esclusione dalla disciplina penalistica, prevedeva che terre e rocce da scavo esulavano dalla disciplina in tema di rifiuti con decorrenza dicembre 2004 e sempre che si trattasse di lavori in corso alla data del 30 novembre 2003.

A riprova della circostanza che tali lavori fossero in corso a detta data, il ricorrente ha richiamato la comunicazione del 13 novembre 2003 con la quale la ANGLO ENGINNEERING GROUP s.r.l. (stazione appaltante) segnalava che il contratto di appalto (stipulato in data 30 giugno 29003) non poteva ritenersi concluso finchè non fossero stati completati i lavori mancanti, sicchè alla data del 30 novembre 2003 il contratto era ancora in essere e dunque i lavori ancora in corso. I materiali, rispondenti ai requisiti di legge, si riferivano ad un’area designata quale infrastruttura o insediamento produttivo strategico. Ha anche richiamato la normativa regionale della Regione Veneto che escludeva dalla categoria dei rifiuti, le terre e rocce da scavo, semprechè in presenza di alcune irrinunciabili condizioni, sostanzialmente recependo quanto contenuto nella L. n. 443 del 2001, artt. 17, 18 e 19 ricordando però che si trattava di una normativa (che obbligava ad accedere ai preventivi pareri dell’ARPAV) entrata in vigore quando i lavori erano stati interrotti per effetto di quanto disposto dalla Direzione dei lavori in data 12 maggio 2004.

Conseguentemente con il primo motivo del ricorso ha richiesto che la S.C. annullasse senza rinvio la sentenza impugnata assolvendo esso ricorrente dall’imputazione contestatagli perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Con un secondo motivo di ricorso, il ricorrente ha lamentato violazione della legge processuale penale e contraddittorietà o illogicità della motivazione.

Ha sostanzialmente contestato che i lavori di spianamento e risagomatura dell’area designata sarebbero avvenuti oltre la data del 12 maggio 2004 (data ufficiale della interruzione dei lavori) non sussistendo elementi univoci in tal senso, come invece affermato dal primo giudice, il quale si sarebbe basato sulla fotografia scattata sui luoghi dal Nucleo di Polizia Ambientale della P.M. in data (OMISSIS), raffigurante un mezzo escavatore della ditta Baldan ancora presente in cantiere, senza tuttavia che venissero raggiunte certezze in ordine all’effettivo utilizzo del mezzo in quella data ovvero che i cumuli di terriccio fossero stati spianati.

Da qui – terzo correlato motivo di censura – la necessità che il giudice, in assenza di prove certe circa l’avvenuta commissione del fatto oltre la data del 12 maggio 2004, avrebbe dovuto dichiarare non doversi procedere per intervenuta prescrizione triennale, maturata il 23 maggio 2007, data dell’emissione del primo atto interruttivo (decreto di citazione diretta a giudizio).

Conseguente ha richiesto l’annullamento della sentenza impugnata perchè estinto il reato per intervenuta prescrizione.

Con un quarto motivo di ricorso, collegato a quello testè indicato, il ricorrente lamenta violazione della legge penale ( art. 159 c.p., comma 1, n. 3) per avere il primo giudice erroneamente qualificato la richiesta di rinvio avanzata dal nuovo difensore subentrato al precedente revocato come istanza di rinvio su richiesta delle parti, assoggettata al regime della sospensione della prescrizione, in realtà del tutto inapplicabile.

Da qui la conclusione che alla data del 2 marzo 2009, nella quale è stata pronunciata la sentenza impugnata il reato era già prescritto.

Il ricorso è fondato nei termini appresso precisati.

Con il primo motivo di ricorso il Tribunale, con motivazione sintetica, ma comunque esente da vizi logici, ha evidenziato come la materia oggetto del presente processo rientrasse nel novero della nozione di rifiuti, come tale assoggettata al regime penalistico all’epoca vigente ( D.Lgs. n. 22 del 1997) per effetto di quanto previsto dalla L. n. 443 del 2001, art. 1, comma 17 come successivamente modificato dalla L. n. 306 del 2003, art. 23.

Lo stesso Tribunale ha sostanzialmente escluso che alla data del 30 novembre 2003 i lavori in questione fossero in corso: con la conseguenza che, non potendosi applicare la disciplina derogatoria di cui al D.L. n. 355 del 2003, art. 23 octies convertito, con modificazioni, nella L. n. 47 del 2004) per ragioni di ordine temporale, l’intervenuta disciplina più rigorosa introdotta dalla L. n. 306 del 2003, art. 23, comma 1, n. 2 includeva nella area della punibilità tutte quelle condotte aventi per oggetto l’utilizzazione nel cantiere di terre e rocce poi interrate spianate e risagomate.

La diversa opzione interpretativa del ricorrente poggia su una differente ricostruzione in punto di fatto riguardante l’effettività della sospensione, o meno, dei lavori: proposizione che involgendo una censura di fatto non è certamente prospettabile in sede di legittimità.

Parimenti infondato il secondo motivo di ricorso in cui comunque vengono dedotte censure di fatto improponbili in questa sede in quanto aventi per oggetto una diversa alternativa lettura di risultanze processuali costituite dai rilievi fotografici effettuati dalla P.G..

Merita, invece, accoglimento la censura difensiva relativa alla violazione della legge penale (in particolare l’art. 159 c.p.) avendo, del tutto indebitamente, il Tribunale considerato rientrante nella previsione normativa di cui alla richiamata norma codicistica il periodo intercorso tra la data del 19 maggio 2008 e quella del 25 novembre di quello stesso anno in occasione della quale è poi proseguita l’attività istruttoria dopo il rinvio disposto il 19 maggio 2008.

In base al principio di autosufficienza che regola la materia del ricorso in sede di legittimità, il ricorrente ha dimostrato che in vista dell’udienza del 19 maggio 2008, il nuovo difensore – Avv. GAVAGNIN – subentrato soltanto in data 15 maggio 2008 a seguito di rinuncia al mandato difensivo da parte dell’originario difensore fiduciario dell’imputato aveva richiesto la concessione di un rinvio sotto forma di un termine a difesa per l’espletamento in termini adeguati del mandato difensivo tenuto conto della complessità del processo in corso.

Orbene il Tribunale, per come pacificamente si rileva dal verbale di udienza, non solo non ha concesso il termine – pur dando conto all’inizio della udienza del subentro del nuovo difensore – ma ha espletato l’attività istruttoria attraverso l’audizione di un teste e ha, poi, evidenziato che per effetto della richiesta di rinvio avanzata dalla difesa dell’imputato al termine di quella attività, i termini della prescrizione dovevano ritenersi sospesi.

E’ principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la richiesta di un termine a difesa, proprio perchè ricollegato all’esercizio di una attività difensiva da svolgersi nel modo più pieno possibile, esuli del tutto dalla disciplina dettata in tema di sospensione del corso della prescrizione, al pari di quanto accade per rinvii operati onde rispondere ad esigenze di acquisizione della prova (in termini, tra le tante, Cass. Sez. 3 5.3.2004 n. 16022, Granata, rv. 228968; Cass. Sez. 4 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, rv.

228348; Cass. Sez. 4 29.1.2002 n. 9224, Bianco, riv. 220986).

Del tutto illegittimamente, quindi, il Tribunale ha disposto la sospensione del termine prescrizionale, non tenendo conto della preliminare istanza di concessione di un termine a difesa e, invece, tenendo conto, ai fini della, sospensione del termine di prescrizione della richiesta di rinvio della difesa al termine dell’attività istruttoria con adesione delle altre parti, di fatto pregiudicando il diritto di difesa dell’imputato e comprimendolo entro spazi minimi.

Se così è, alla data della sentenza il termine prescrizionale massimo (pari, come esattamente ricordato dal Tribunale, ad anni quattro e mesi sei per effetto della previgente disciplina) era ormai maturato.

Ed invero, se non può accedersi – per quelle stesse ragioni dianzi esaminate in relazione alla prospettazione di circostanze di fatto da parte del ricorrente non proponibili in sede di legittimità (essendo evidente che la indicazione di una diversa data di consumazione del reato rispetto a quella ritenuta dal giudice presuppone una indagine di fatto) – alla tesi enunciata nel ricorso secondo la quale l’ultima condotta sanzionarle sarebbe quella del 19 (o 12) maggio 2004, è però certo che quale ultima data utile di consumazione del reato deve farsi riferimento al 25 giugno 2004.

Ora, computando da tale data il termine prescrizionale di quattro anni e mesi sei, alla data del 25 dicembre 2008 il reato doveva ritenersi estinto.

Ne consegue che alla data di celebrazione della udienza in cui è stata pronunciata la sentenza impugnata (2 marzo 2009) il reato era certamente estinto con conseguente necessità di una declaratoria di prescrizione, non essendo evidente la prova della insussistenza del fatto ovvero della sua non riconducibilità all’imputato.

Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione cui segue l’eliminazione delle statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina le statuizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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