Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 19-04-2011, n. 303 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ricorso notificato il 6 maggio 2008, le signore Ro.Ad. e Ma.Ma. adivano il T.A.R. della Sicilia, sede di Palermo, per ottenere il risarcimento, a carico del Comune di Palermo, di tutti i danni, patrimoniali e non, causati dalla loro estromissione dallo svolgimento di attività educativo-assistenzale, cui era conseguita la definitiva cessazione dell’attività della Fondazione Vojda School.

Con sentenza n. 1279 del 4 novembre 2009, il giudice adito dichiarava il ricorso inammissibile.

Il T.A.R. osservava in proposito, che:

a) – "Con una prima sentenza (n. 810/2005), passata in autorità di cosa giudicata, esso, pur accogliendo la domanda di annullamento ivi proposta, ha statuito l’inammissibilità della pretesa risarcitoria, poiché la relativa domanda era contenuta in memoria non notificata all’Amministrazione";

b) – "Con successivo e diverso ricorso (R.G. n. 1324/2007), proposto per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla predetta sentenza, parte ricorrente ha riproposto la medesima domanda risarcitoria, che è stata, ulteriormente, dichiarata inammissibile con sentenza T.A.R. Sicilia, sez. II, 7 febbraio 2008, n. 202, poiché introdotta con il rito dell’ottemperanza e poiché dichiarata inammissibile dal primo giudice";

c) – "Dovendo ritenersi che le sentenze di rito, non producendo alcuna efficacia sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio, non precludono la possibilità per la parte di riproporre una domanda giudiziale al fine di ottenere una pronuncia su una questione non decisa con il precedente giudicato per effetto della non corretta instaurazione del rapporto processuale tra le parti, parte ricorrente avrebbe dovuto, ove avesse ritenuto di insistere sulla domanda risarcitoria, interporre appello avverso la seconda sentenza, che invece è passata in autorità di cosa giudicata".

2) Le ricorrenti hanno proposto appello contro la summenzionata sentenza.

A loro avviso la sentenza impugnata sarebbe meritevole di riforma in quanto contraddittoria e infondata in diritto.

Quanto al primo profilo si deduce il contrasto tra la premessa posta dal giudice di prime cure, alla stregua della quale "… le sentenze di rito (…) non precludono la possibilità per la parte di riproporre una domanda giudiziale al fine di ottenere una pronuncia su una questione non decisa con il precedente giudicato per effetto della non corretta instaurazione del rapporto processuale tra le parti …" e la conclusione secondo cui la domanda incoata deve "ritenersi coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 202 del 2008".

L’incongruenza tra le due parti dell’iter motivazionale risiederebbe in ciò: che l’attribuzione dell’autorità del giudicato alla decisione emessa in sede di ottemperanza non è compatibile con la qualificazione della stessa come sentenza di rito. Al contrario, il riconoscimento a quella pronuncia di una simile natura avrebbe dovuto orientare nel senso dell’inidoneità della medesima a incidere sul merito della controversia e della conseguente facoltà delle parti di ripresentare la domanda in un separato giudizio.

Quanto al secondo profilo, si sostiene che l’interposizione di appello avverso la sentenza del Giudice dell’ottemperanza non si configurava come una soluzione obbligata, attesa la facoltà di agire, in alternativa, in un giudizio; facoltà che le appellanti hanno in effetti esercitato – per ragioni di economia processuale – con l’instaurazione del presente contenzioso.

I motivi di gravame sono stati ulteriormente illustrati con successiva memoria.

3) Resiste all’appello il Comune di Palermo.

La difesa del Comune ha, in particolare, richiamato il principio generale del "né bis in idem" per rilevare che, dovendo detto principio ritenersi operante anche nel processo amministrativo, deve escludersi che il giudice del medesimo grado di giurisdizione possa nuovamente pronunciarsi su questioni già definite con precedente sentenza.

4) L’appello è infondato.

La summenzionata sentenza del T.A.R. Sicilia n. 202/2008 ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per due ragioni: la prima è che la domanda di risarcimento del danno non può essere richiesta nella sede del giudizio di ottemperanza, essendo necessario un apposito giudizio cognitorio destinato ad accertare i presupposti del diritto al risarcimento; la seconda è che la sentenza n. 810/05 ha dichiarato a sua volta inammissibile la domanda di risarcimento del danno in quanto formulata per la prima volta con memoria conclusiva non notificata.

Contrariamente a quanto sostenuto dal difensore delle appellanti, il giudice di primo grado non ha affatto qualificato la decisione emessa in sede di ottemperanza come sentenza di rito, ma soltanto sostenuto che la proposizione della domanda risarcitoria era ormai preclusa dalla statuizione contenuta nella sentenza n. 810/05 in ordine all’inammissibilità della domanda stessa "in quanto formulata per la prima volta con memoria conclusiva non notificata".

Ne consegue che, dal momento che la sentenza che si pronuncia sul ricorso per ottemperanza non è "meramente processuale", un "petitum" espressamente negato da detta sentenza non può certo trovare nuovamente ingresso, ostandovi il principio del "ne bis in idem" (cfr., di recente, C.d.S., sez. V, 21 maggio 2010, n. 3218).

Corretta è, quindi, l’affermazione del T.A.R., laddove pone in evidenza che nel caso di specie "… parte ricorrente avrebbe dovuto, ove avesse ritenuto di insistere sulla domanda risarcitoria, interporre appello avverso la seconda sentenza (contraddistinta con il n. 202 del 2008), che invece è passata in autorità di cosa giudicata …".

5) In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto, restando assorbiti ogni altro motivo o eccezione non esaminati perché non rilevanti ai fini del giudizio.

Le spese e gli altri oneri del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello indicato in epigrafe.

Condanna le appellanti al pagamento a favore del Comune appellato delle spese, competenze e onorari di giudizio che liquida in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 14 ottobre 2010, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, con l’intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Filoreto D’Agostino, Guido Salemi, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 19 aprile 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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