Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-01-2011) 20-04-2011, n. 15630 Sanità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 10 febbraio 2010 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano – Sezione Distaccata di Legnano – dell’8 maggio 2007, appellata da A. M., A.S., C.C., R.V. S. e P.M. (tutti imputati – in concorso con altri – del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., comma 1 e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis come riprodotto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260), nonchè dal Procuratore Generale nei riguardi degli imputati C.C. e R. V.S. (per ciò che afferiva al trattamento sanzionatorio) e dal responsabile civile "FONDERIE RIVA s.p.a". sia con riferimento alle pronunce di condanna nei riguardi degli imputati C. e R.V., sia con riferimento alle disposte statuizioni civili, riduceva – per quanto qui rileva – la pena inflitta a C.C., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (che dichiarava prevalenti, unitamente alla già concessa circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p., n. 3 già ritenuta dal primo giudice equivalente alla contestata aggravante), ad anno uno e mesi due di reclusione, revocando anche la pena accessoria della interdizione dai pp.uu. disposta dal primo giudice;

analogamente disponeva con riferimento alla pena accessoria applicata a R.V.S., nei cui confronti revocava, poi, in accoglimento del gravame del P.G., anche il beneficio della sospensione condizionale della pena concessogli (erroneamente) dal Tribunale, lasciando inalterata la pena inflittagli di anni due e mesi sei di reclusione; confermava, anche, la sentenza resa nei confronti dell’appellante P.M. (precedentemente condannato ad anni sei di reclusione); confermava, infine, le statuizioni civili risarcitorie a carico degli appellanti P., C. e R.V. in favore delle parti civili e, nei confronti del solo C., anche la statuizione civile risarcitoria per i danni patiti dalla Regione Lombardia, dalla Provincia di Lodi e dalla SEI s.r.l.; con riferimento, poi, al responsabile civile FONDERIE RIVA s.p.a. precisava, in ultimo, che la sua condanna andava ricollegata al risarcimento dei danni a carico dell’imputato P. M. in favore delle parti civili che si erano costituite nei suoi confronti (Regione Lombardia, Ministero dell’Ambiente,. S.E.I. s.r.l. e Comune di Milano); ancora, precisava che la condanna disposta nei riguardi dell’altro responsabile civile EDINERT s.r.l. era solidalmente prevista con P.M. per i danni richiesti nei riguardi di quest’ultimo dalla SEI s.r.l. e dal Comune di San Giuliano Milanese, mentre il responsabile civile "FRATELLI PANGIA s.n.c." doveva rispondere in solido con P.M. per i danni richiesti nei riguardi di quest’ultimo dalla SEI s.r.l. e dal Comune di Milano"; rigettava, in ultimo, la richiesta di provvisionale delle parti civili in quanto non appellanti sul punto e confermava, nel resto, la sentenza impugnata.

La Corte territoriale – recependo le considerazioni svolte dal Tribunale – e dopo aver analiticamente ripercorso le vicende del complesso procedimento (nato da una attività investigativa congiunta dei Carabinieri del N.O.E., del Corpo Forestale e dell’A.R.P.A. in merito all’utilizzo di un’area, individuata nel cantiere della P.E.I. s.r.l. sito in località (OMISSIS), adoperata per il deposito di materiale da riporto e nella quale venivano affastellati rifiuti maleodoranti pericolosi compattati in blocchi) aveva parzialmente disatteso – per come si vedrà in prosieguo – le censure mosse dall’imputato C., rigettando invece nella sua integralità l’appello proposto nell’interesse di P.M.; aveva in parte accolto il gravame – circoscritto al solo aspetto sanzionatorio – del Procuratore Generale e, in ultimo, precisato i limiti delle condanne di tipo risarcitorio pronunciate nei riguardi dei responsabili civili FONDERIE RIVA s.p.a., EDINERT s.r.l. e FRATELLI PANGIA s.n.c.. In sintesi le doglianze dell’imputato C. erano articolate: a) sull’esclusione di qualsiasi apporto agevolativo da parte di costui in quanto del tutto estraneo ai fatti; b) su una asserita contraddittorietà della motivazione, posto che detto appellante era stato individuato quale concorrente eventuale, ma, nello stesso tempo, ritenuto indispensabile alla gestione della attività criminosa; c) sulla carenza del dolo specifico, in relazione alla inconsapevolezza da parte del C. della natura dei rifiuti (classificati come speciali e pericolosi) e della destinazione di essi; d) sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche atteso il suo stato di incensuratezza; e) sulla eccessività della pena.

In ordine ai detti motivi la Corte di Appello aveva disatteso quelli formulati in principalità, ribadendo la sussistenza di un apporto agevolativo costante e concreto da parte del C. nell’operazione di trasporto dei rifiuti, desunto da alcuni dati significativi quali:

1) la sua trentennale esperienza nel settore; 2) la sua particolare professionalità nell’attività di pesatura dei camions; 3) la sua consapevolezza in ordine alla pericolosità dei rifiuti originata anche dalla sua lunghissima esperienza lavorativa; 4) la preventiva consapevolezza circa l’economicità delle illecite operazioni di smaltimento dei rifiuti, in contrapposizione al notevole costo che esse avrebbero comportato ove quell’attività di trasporto fosse stata gestita da altra impresa abilitata (in particolare una società tedesca).

La Corte – come accennato – aveva invece accolto le doglianze difensive in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche che riconosceva, unitamente alla già concessa attenuante di cui all’art. 114, n. 3 (che il Tribunale aveva ritenuto equivalente all’aggravante) in termini di prevalenza rispetto all’aggravante contestata, riducendo la pena entro i limi edittali della sospensione condizionale che veniva, pertanto, mantenuta (ancorchè illegittimamente disposta dal Tribunale per superamento del limite di cui all’art. 163 c.p. come rilevato dal P.G. appellante su tale punto).

Con riferimento all’appello proposto dall’imputato P., basato unicamente sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche da riconoscersi, quanto meno, in termini di equivalenza rispetto alla aggravante ed alla recidiva specifica contestate, la Corte rigettava le relative doglianze, evidenziando: 1) il ruolo primario svolto dal detto imputato; 2) l’imponenza della attività di smaltimento; 3) la gravità e pervicacia della condotta; 4) il requisito soggettivo della recidiva (assente, invece nei fratelli P.U. e P.A.) evidenziando – con riguardo alla lamentata severità della pena – che la pretesa disparità di trattamento rispetto ai fratelli lamentata dall’appellante non sussisteva in considerazione, anche, dell’avvenuta scelta da parte di costoro del rito premiale, non prescelto, invece dall’appellante.

Ancora più articolate e di diverso tenore le censure formulate dal responsabile civile FONDERIE RIVA s.p.a. che possono essere così riassunte: nullità della sentenza: a) per omesso avviso di deposito della sentenza di primo grado; b) per la irrituale notificazione al responsabile civile del decreto che dispone il giudizio; c) per il diniego di un termine a difesa richiesto per esaminare le produzioni documentali delle altre parti; d) per il disposto stralcio all’udienza del 29 maggio 2006 delle posizioni degli imputati P. U. e P.A. (che erano acceduti al rito speciale del patteggiamento) senza che sul punto venisse sentito esso responsabile civile che aveva richiesto di interloquire ai sensi dell’art. 19 c.p.p.; e) per la violazione dell’art. 72 ord. giud., u.c. relativamente alla partecipazione di un VPO anzichè di un P.M. togato; f) per la indeterminatezza del capo di imputazione. Altre censure riguardavano l’inutilizzabilità dei verbali di interrogatorio acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale in quanto strumento adoperato per le contestazioni in corso di esame.

Quanto alle altre doglianze di merito, esse erano costituite dalla richiesta di assoluzione dell’imputato R.V. e dalla revoca delle statuizioni civili, in relazione alle conclusioni rassegnate dalle varie parti intervenute.

La Corte, pronunciandosi sulle dedotte eccezioni, le aveva disattese tutte, limitandosi solo a sanare la nullità (che aveva riconosciuto nel corso del giudizio di appello) derivante dalla mancata notifica del dispositivo dell’avviso di deposito della motivazione della sentenza, disponendo per ciò il rinvio preliminare dell’udienza dell’ottobre 2009; aveva, parimenti, disatteso le richieste di merito relativamente alla mancata assoluzione dell’imputato R. V. e, per quanto riguardava le statuizioni civilistiche, attesa la generica dizione sul punto della sentenza di primo grado, aveva circoscritto la pronuncia di condanna solo nei riguardi di quelle parti civili che, costituitesi contro P.M., avevano rivolto la loro richiesta di condanna nei suoi riguardi. Altre precisazioni riguardavano i responsabili civili EDINERT s.r.l. e "Fratelli Pangia" s.n.c. nei termini precedentemente esposti.

Ricorrono avverso la detta sentenza gli imputati C.C. e P.M. ed il responsabile civile "FONDERIE RIVA s.p.a.".

Il ricorrente C. ha, nell’ordine, dedotto erronea applicazione della legge penale ( D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260) con specifico riguardo al punto relativo all’elemento soggettivo del reato, rimarcando anche la contraddittorietà della motivazione sul punto:

ha in particolare rimarcato in punto di diritto, la fondatezza della tesi del reato plurisoggettivo, disattesa, invece, dalla Corte che si rifaceva alla opposta tesi del reato monosoggettivo per poi escludere il dolo di partecipazione.

Con il secondo motivo ha dedotto carenza e/o manifesta illogicità della motivazione in punto di riconoscimento del dolo in capo al soggetto agente, quand’anche considerato come mero dolo generico, contestando, in particolare, l’omesso esame delle censure mosse con specifico riguardo alla insufficiente motivazione del Tribunale su tale specifico punto.

Ha sottolineato, al riguardo, come la Corte si fosse del tutto disinteressata della alternativa spiegazione offerta secondo la quale esso C. avrebbe, al più, potuto sospettare elusioni di carattere fiscale, ma non certo il profitto che l’impresa FONDERIE RIVA s.p.a. (di cui egli era storico dipendente), intendeva perseguire; ha denunciato travisamento della prova, avendo la Corte male interpretato il contenuto ed il significato delle numerose intercettazioni telefoniche, aventi significati diversi per come alternativamente spiegato dalla difesa.

Con il terzo motivo ha lamentato violazione della legge processuale penale ( artt. 82 e 523 c.p.p.) nella misura in cui la Corte di Appello, nonostante la mancata conclusione orale in primo grado di due delle tre parti civili in cui favore era stata pronunciata condanna a carico del C., non superabile dall’avvenuto deposito di conclusioni scritte, peraltro di data incerta e comunque non effettuate in udienza, aveva ugualmente mantenuto la statuizione di condanna in violazione del disposto di cui all’art. 523 c.p.p., che prevede – in mancanza delle conclusioni della parte civile – la revoca tacita della costituzione (revoca, invece, avvenuta da parte delle altre parti civili che la avevano espressamente fatto in primo grado).

Il ricorrente P. denuncia vizio di motivazione in merito alla mancata utilizzazione da parte del Tribunale dei verbali di interrogatorio degli imputati contumaci, segnalando al riguardo che una eventuale, doverosa valutazione della condotta processuale del P. definita "di tenore collaborativo" avrebbe dovuto indurre sia il Tribunale, sia la Corte a concedere le circostanze attenuanti generiche.

Con un secondo motivo denuncia omessa motivazione sulla doglianza relativa alla iniquità del trattamento sanzionatorio se rapportata alle pene ben più miti inflitte agli altri imputati e sulla doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Il difensore del responsabile civile FONDERIE RIVA s.p.a. ha, con il primo motivo, dedotto la nullità della sentenza per omessa o illogica motivazione in merito alla richiesta di declaratoria di nullità del processo di primo grado in assenza di valida notificazione del decreto che dispone il giudizio, non condividendo la decisione assunta dalla Corte che avrebbe riconosciuto una distinzione di regime tra imputato e persona offesa, da una parte, e altre parti private, dall’altra, in materia di notificazione del decreto emesso ai sensi dell’art. 429 c.p.p.. Ha, in riferimento a tale specifico motivo, sollevato eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 133 disp. att. c.p.p. per violazione dell’art. 3 Cost., evidenziando che, a seguito della L. n. 479 del 1999, doveva ritenersi obbligatoria la notifica del decreto che dispone il giudizio nei riguardi di tutte le parti rimaste contumaci e non presenti al momento della lettura del decreto che dispone il giudizio, pena una irragionevole disparità di trattamento ex art. 3 Cost..

Ha, poi, denunciato con un secondo motivo violazione della legge processuale penale in quanto la sentenza si sarebbe basata anche su prove acquisite in violazione dell’art. 493 c.p.p., inutilizzabili ex art. 191 c.p.p.; viene anche eccepita nullità in relazione alla mancata motivazione da parte della Corte di Appello di detta doglianza.

Con un terzo motivo ha riproposto l’eccezione di nullità per violazione del disposto degli artt. 477 e 493 c.p.p., in relazione all’art. 178, lett. c) nella misura in cui sarebbe stata negata alla difesa in prime cure, un termine richiesto per esaminare la documentazione delle altre parti e vizio di motivazione in relazione alla illogicità della motivazione su tale specifica doglianza mossa in sede di proposizione dell’appello.

Con il quarto motivo ha riproposto l’eccezione di nullità in merito alla mancata audizione del responsabile civile sullo stralcio disposto ai sensi degli artt. 18 e 19 c.p.p., delle posizioni degli imputati P.A. e P.U., oltre che vizio di motivazione da parte della Corte di Appello su tale specifica doglianza.

Con il quinto motivo il ricorrente ha censurato l’avvenuta utilizzazione dei verbali acquisiti, in quanto adoperati per le contestazioni, deducendo, ancora una volta, vizio di motivazione sul punto. Ha ricordato, in proposito, che, al di là dell’affermazione contenuta nella sentenza di 1^ grado (pag. 8), il primo giudice aveva utilizzato, di fatto, i verbali adoperati per le contestazioni per scopi diversi dalla valutazione in ordine alla attendibilità dei testi (assistiti). Con il sesto motivo il ricorrente ha dedotto nullità o inesistenza delle statuizioni civilistiche pronunciate nei confronti di esso responsabile civile, in quanto disposte in grado di appello e comunque al di fuori delle azioni civili esercitate nei confronti del responsabile e per erronea applicazione dell’art. 185 c.p..

In particolare ha lamentato che, a fronte della generica statuizione di condanna disposta dal Tribunale in favore delle parti civili costituitesi nei riguardi del responsabile civile, la Corte di Appello, tentando di rimediare all’errore, era andata ben oltre le previsioni, nulla statuendo a carico del responsabile civile in favore di quelle parti civili che si erano costituite contro C. C. e R.V.S. (unici soggetti con i quali poteva intercorrere un rapporto di garanzia ex art. 2049 c.c., in relazione alla circostanza dell’essere, entrambi, dipendenti della ditta FONDERIE RIVA s.p.a.), dimenticando, anche, di considerare che nè il Comune di Mediglia, nè quello di Cassano d’Adda, nè la Provincia di Milano, nè il Comune di San Giuliano Milanese avevano concluso nei riguardi del responsabile civile e che l’unico a concludere nei suoi riguardi – il Ministero dell’Ambiente – non aveva avanzato alcuna richiesta risarcitoria nei riguardi dei dipendenti C. e R.V., sicchè il Ministero sarebbe stato carente di interesse. Proseguendo nelle sue considerazioni sul punto, il ricorrente ha rilevato come, in modo del tutto incomprensibile, la Corte avesse poi precisato che le statuizioni civili verso il responsabile civile riguardavano solo la responsabilità del P. M. e i soggetti costituitisi parte civile nei suoi confronti, nonostante nessun rapporto, al di là di un mero vincolo contrattuale di appalto privato del tutto inidoneo a giustificare un legame in termini di responsabilità del responsabile civile verso un terzo estraneo, intercorresse tra il P. e le FONDERIE RIVA s.p.a..

Ha, in proposito, sottolineato una vera e propria reformatio in pejus, in quanto il Tribunale, quando aveva disposto le statuizioni civili, nulla aveva preveduto con riguardo al responsabile civile nei riguardi dell’imputato P.M., senza che tale capo della sentenza avvenisse impugnato.

Tanto premesso, dei tre ricorsi in esame, mentre quello proposto nell’interesse di P.M. va dichiarato inammissibile, vanno accolti per le ragioni di seguito specificate, quelli rispettivamente proposti nell’interesse del ricorrente C.C. e del responsabile civile "FONDERIE RIVA s.p.a.".

L’inammissibilità del ricorso proposto da P.M. è legata sia alla deduzione di circostanze di fatto (la pretesa collaborazione prestata dal P. all’Autorità Giudiziaria della quale il Tribunale non avrebbe tenuto conto) correlata ad una diversa ed alternativa lettura della vicenda processuale, improponibile in questa sede, sia alla manifesta infondatezza dei motivi in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: su tale ultimo punto si osserva che in modo logico ed esente da censure di qualsiasi tipo la Corte ha dato adeguata risposta alle doglianze difensive correttamente negando – specificamente e puntualmente motivandone le ragioni – le circostanze attenuanti generiche. Analoga correttezza argomentativa è dato rilevare anche in ordine alle ragioni per le quali la Corte di merito ha ritenuto adeguata la pena inflitta all’odierno ricorrente, esattamente comparando la sua, diversa, situazione processuale, rispetto a quella degli altri fratelli e soprattutto, tenendo presente alcuni indici ineludibili quali la gravità della condotta e la personalità dell’imputato ricavata dal suo certificato penale, così mostrando di prestare ossequio ai criteri ermeneutici in tema di determinazione della pena come enunciati dall’art. 133 c.p..

Segue alla pronuncia di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente P. al pagamento delle spese processuali e – trovandosi lo stesso in colpa per avere dato causa all’inammissibilità – al versamento della somma – ritenuta congrua – di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Diverse, come detto, le sorti degli altri due ricorsi.

Quanto a quello proposto nell’interesse di C.C., non appare condivisibile la tesi difensiva che pretende di far leva sull’asserita natura di reato plurisoggettivo della fattispecie delineata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis (oggi trasfuso nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260). In proposito va ribadito quanto già affermato da questa Corte in merito alla natura monosoggettiva – e non plurisoggettiva – della fattispecie in esame, per la cui configurabilità non è affatto richiesta una pluralità di soggetti agenti come si deduce agevolmente dalla stessa terminologia adoperata dal legislatore nell’incipit della norma ("chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto … cede, trasporta, esporta, etc."):

nè tale affermazione muta con riferimento alla necessità di una pluralità di operazioni in continuità temporale tra loro, afferendo tale circostanza ad un dato oggettivo della condotta (in termini Cass. Sez. 3, 16.12.2005 n. 4503, Samarati, rv. 233292).

La riconosciuta natura monosoggettiva implica quindi l’esattezza della conclusione cui la Corte territoriale è pervenuta in punto di riconoscimento dell’elemento psicologico del reato in capo al C..

Quanto poi alla pretesa illogicità e assenza della motivazione sul punto relativo all’elemento psicologico del reato, la tesi difensiva non è fondata, avendo la Corte territoriale correttamente affermato la consapevolezza del C. desumendola da una serie di indici ricavati dalle numerose intercettazioni ed opportunamente ricordando come il dolo di profitto non dovesse essere circoscritto all’aspetto monetario individuale (riferito ovviamente al C.) ma, molto più genericamente, alla consapevolezza, in capo a costui, del dolo di profitto che ispirava la condotta dei concorrenti.

E, sotto tale profilo, è certamente condivisibile sul piano logico la conclusione della Corte secondo la quale una eventuale non conoscenza da parte del C. dei prezzi praticati dal trasportatore ( P.) non escludeva di per sè la consapevolezza del C. circa l’economicità della operazione di trasporto illecito dei rifiuti, a riprova, quindi, del dolo di partecipazione in capo allo stesso.

Anche il terzo motivo di ricorso – legato alla presunta revoca tacita della costituzione di parte civile della Provincia di Lodi e della SEI s.r.l. conseguente alla mancata presentazione di conclusioni scritte nel giudizio di appello – non appare meritevole di accoglimento, in quanto, come condivisibilmente ricordato dal giudice di appello, dette parti avevano concluso nel giudizio di primo grado:

del resto è la stessa difesa del ricorrente a precisare che risultavano depositate conclusioni scritte da parte delle difese di detti soggetti che valgono ad escludere in radice l’ipotesi della revoca implicita.

Stante la non manifesta infondatezza dei motivi deve comunque annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata essendo decorso, rispetto alla data di consumazione del reato ((OMISSIS)) il termine massimo prescrizionale (comprensivo della proroga) pari ad anni sette e mesi sei, maturato il 18 maggio 2010, cui va aggiunto un ulteriore, breve periodo di sospensione del corso della prescrizione per rinvio dell’udienza conseguente a legittimo impedimento, pari a giorni sette.

Vanno tuttavia mantenute ferme le statuizioni civili disposte dalla Corte di Appello con la sentenza impugnata.

Segue la condanna del C., in solido con il P., alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile SEI s.r.l. che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre IVA e accessori di legge.

Passando all’esame, da ultimo, delle censure formulate dalla difesa del responsabile civile, le stesse vanno accolte nei termini e con le precisazioni che seguono.

Non meritano accoglimento tutte le censure di ordine processuale così come enunciate nel ricorso, rilevandosi che si tratta di una sostanziale riproposizione delle analoghe questioni già prospettate dinnanzi al giudice di appello che ha dato, sui singoli punti, risposte assolutamente esaustive e condivisibili, oltre che immuni da incongruenze sul piano logico. A prescindere dalla avvenuta sanatoria della nullità collegata alla irrituale notificazione al responsabile civile FONDERIE RIVA s.p.a. del decreto che dispone il giudizio – sanatoria avvenuta all’udienza del mese di ottobre 2009 con rinvio alla successiva del 10 febbraio 2010 e con notificazione del decreto di citazione alla parte appellante, così come ricordato dalla stessa Corte di Appello (vds. pag. 19 in nota della sentenza impugnata) – vanno senz’altro condivise le argomentazioni sviluppate dalla Corte meglio specificate alle pagg. 23 – 26 della sentenza impugnata.

Qualche ulteriore riflessione si impone con riferimento alla eccezione di nullità riferita alla violazione dell’art. 428 c.p.p. e art. 133 disp. att. c.p.p., tenuto conto della subordinata – ma in realtà preliminare – eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa del ricorrente per asserita violazione dell’art. 3 Cost..

Già risolta in termini negativi dalla giurisprudenza di questa Corte sia pure con riferimento all’art. 555 c.p.p. in materia di decreto di citazione a giudizio dinnanzi al Pretore in rapporto all’art. 24 Cost. (vds. Cass. Sez. 1, 11.5.1992 n. 6932, Cova ed altri, rv.

190594), la questione oggi prospettata dalla difesa, stavolta con riferimento al novellato (ex L. n. 479 del 1999) art. 429 c.p.p. non si ritiene dimostrativa della riferita violazione del precetto costituzionale di cui all’art. 3 Cost..

In effetti appare corretto quel giudizio di ultroneità della notifica del decreto che dispone il giudizio al difensore del responsabile civile assente alla lettura del decreto in sede di udienza preliminare così come espresso dal Tribunale (e condiviso dalla Corte di Appello) posto che tra il testo dell’art. 429 c.p.p. (a tenore del quale il decreto deve essere notificato a soggetti ben individuati – imputato e persona offesa – non presenti alla lettura) e quello contenuto nell’art. 133 disp. att. c.p.p. (a tenore del quale la notifica è obbligatoria per tutte quelle parti non presenti all’udienza preliminare) vi è una differenza legata ai diversi segmenti dell’udienza preliminare, di guisa che tale differenza di regime che muove da una diversa situazione delle parti processuali in gioco spiega in modo razionale la non necessità della notifica del decreto ex art. 429 c.p.p. al responsabile civile che sia risultato assente alla lettura del decreto: ciò appare ragionevole anche alla luce del fatto che, come esattamente ricordato dalla Corte territoriale, l’art. 83 c.p.p., comma 2 prevede che la citazione del responsabile civile (che solitamente avviene o ad opera della parte civile, ovvero per intervento volontario dello stesso responsabile civile) avvenga al più tardi per il dibattimento.

Ciò a riprova del fatto che laddove sia consentito l’ingresso (eventuale) del responsabile civile, questo deve avvenire nel giudizio dibattimentale e non necessariamente alla prima udienza, a condizione che non vengano vulnerati i diritti difensivi spettatigli.

E’ quindi pienamente giustificata la differenza di regime legata ad una diversa posizione iniziale processuale del responsabile civile rispetto alle altre parti che esclude quella supposta disparità di trattamento come denunciata dalla difesa del ricorrente.

Quanto alle rimanenti eccezioni di nullità, le esaustive e convincenti risposte date dalla Corte di Appello giustificano in questa sede il rigetto delle relative questioni riproposte nei medesimi termini e senza aggiunta di elementi di novità tali da rimeditare la soluzione.

Vanno poi disattese le censure c.d. "di merito" relative alla posizione del ricorrente C., richiamandosi sul punto le considerazioni svolte da questa Corte in merito alla infondatezza del ricorso da questi proposto relativamente alla sua ritenuta colpevolezza.

Meritano, invece, di essere accolte le censure rivolte alle statuizioni civili di tipo risarcitorio pronunciate nei confronti del responsabile civile FONDERIE RIVA s.p.a., sia pure dando atto delle precisazioni contenute nella sentenza impugnata che, tuttavia, non appaiono convincenti sul piano logico.

Invero tale condanna è – per quanto è dato leggere sia nella parte motiva che nel dispositivo della sentenza impugnata – collegata al risarcimento dei danni pronunciato a carico di P.M. in favore delle parti civili costituitesi nei suoi confronti (ovverosia Regione Lombardia, Ministero dell’Ambiente, SEI s.r.l., Comune di Milano).

Se così è, è fondato quanto rilevato dal ricorrente in ordine, anzitutto, ad una mancata costituzione o proposizione di conclusioni nei riguardi del responsabile civile FONDERIE RIVA s.p.a. da parte di alcuni soggetti ben individuati (Comune di Mediglia, Comune di Cassano d’Adda, Provincia di Milano, Comune di San Giuliano Milanese, Ministero dell’Ambiente): il che ha giustificato quelle precisazioni contenute nella sentenza impugnata.

Ma tali precisazioni, come dedotto dal ricorrente, sono andate ben al di là di quanto consentito, di fatto determinandosi ad opera della Corte di Appello un sorta di solidarietà tra le FONDERIE RIVA s.p.a. e l’imputato P.M. che, in quanto rappresentante di altra società (la FRATELLI PANGIA s.n.c.) deve ritenersi assolutamente estraneo alle FONDERIE RIVA s.p.a..

Nè è ipotizzabile una responsabilità a carico del responsabile civile per il fatto del terzo: in questo senso non risulta chiarito da parte della Corte di Appello il rapporto organico o di garanzia in forza del quale è stata disposta, con le precisazioni suddette, la condanna del responsabile civile nei confronti di quelle parti civili costituitesi nei riguardi del P., stante l’estraneità di costui alla società (a differenza di quanto astrattamente ipotizzabile per il C. e per il R.V. impiegati della società e dunque a questa legati da vincolo contrattuale).

Inoltre non è superfluo osservare che, intesa in questi termini, la pronuncia della Corte di Appello finisce con il concretizzare una vera e propria reformatio in pejus ex art. 597 c.p.p. rispetto alle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado nella misura in cui nulla conteneva su tale specifico punto la sentenza di primo grado.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza in parte qua con rinvio alla Corte di Appello di Milano – altra Sezione – per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C. C. per essere il reato estinto per prescrizione. Conferma le statuizioni civili nei suoi confronti. Dichiara inammissibile il ricorso di P.M. che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Condanna il C. e il P., in solido, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile SEI s.r.l. che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre IVA e accessori di legge. Annulla la sentenza impugnata relativamente alla condanna del responsabile civile RIVA FONDERIE s.p.a. con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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