Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-01-2011) 20-04-2011, n. 15628

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del Tribunale di Pavia del 16 aprile 2009, R. M., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269 e art. 279 n. 1 fatto accertato in (OMISSIS), veniva ritenuto colpevole del detto reato e condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 400 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore deducendo erronea applicazione della legge penale (in particolare del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 269) e carenza o illogicità della motivazione.

Per quanto riguarda il primo profilo, il ricorrente – rievocando in punto di fatto i termini della vicenda (pregressa gestione dell’impianto rispondente a tutti i parametri normativi; ottenimento della autorizzazione in data 17 ottobre 2006, nonostante fosse stata richiesta dal 28 febbraio 2006, antecedentemente, quindi, alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006 e sotto la vigenza del D.P.R. n. 203 del 1988; assenza di prova in ordine alla eventuale illiceità dell’impianto prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006; ammissibilità della domanda di oblazione proposta tempestivamente ed in conformità alle disposizioni, allora vigenti, del D.P.R. n. 203 del 1988) – ha contestato l’applicabilità dell’art. 269 del detto D.Lgs., sostenendo che, risalendo la domanda di autorizzazione ad una data antecedente all’entrata in vigore del nuovo D.Lgs., la normativa applicabile sarebbe quella di cui al D.P.R. n. 203 del 1988, non mancando, poi, di rilevare che l’autorità amministrativa aveva comunque rilasciato la prescritta autorizzazione ai sensi della nuova normativa introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 152. Proseguendo nella esposizione dei motivi di ricorso, l’imputato ha anche osservato che a torto il primo giudice avrebbe ritenuto che l’impianto de qua fosse gestito in assenza della autorizzazione (deducendo tale circostanza dal fatto che a fronte di una autorizzazione ottenuta il 17 ottobre 2006, alla data del sopraluogo datato 16 agosto l’impianto era in attività) tanto più che in sede di rilascio della autorizzazione non erano state segnalate da parte della stessa Autorità Amministrativa violazioni della nuova normativa: in altri termini, secondo il ricorrente si profilava il dubbio da parte dell’ARPA che l’autorizzazione fosse stata richiesta per un impianto precedente ai sensi del D.P.R. n. 203 del 1988, senza che fosse stata accertata alcuna irregolarità in proposito, peraltro mai contestata.

Il ricorrente ha anche segnalato l’inconfigurabilità della fattispecie – vigente il D.P.R. n. 203 del 1988 – dal momento che già il titolare della cava era munito di autorizzazione con conseguente superfluità di una nuova autorizzazione da rilasciare all’affittuario di azienda. In ultima analisi – a sostegno della illogicità della motivazione – il ricorrente rileva che mancherebbe la prova che il nuovo impianto fosse stato attivato prima del rilascio dell’autorizzazione.

Ciò premesso osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, avendo il primo giudice ricostruito i termini della vicenda (segnatamente quelli relativi all’inizio di una nuova attività senza le necessarie autorizzazioni) in modo assolutamente puntuale ed esaustivo, con argomentazione non solo rispondente a logica, ma soprattutto coerente con il materiale probatorio acquisito ed esaminato, evidenziando correttamente che era stato lo stesso imputato – all’atto della presentazione della richiesta di autorizzazione – a dire che essa riguardava un nuovo impianto.

A fronte di ciò le doglianze del ricorrente, in quanto dirette a prospettare in via alternativa una diversa ricostruzione dei fatti sono inammissibili in questa sede.

Parimenti infondato in modo evidente il motivo riguardante la natura del reato contestato, qualificata correttamente dal giudice come permanente e dunque, esclusa dalla disciplina del condono di cui al D.P.R. n. 241 del 2006 e nel contempo assoggettata alla nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006 e non già a quella – erroneamente invocata dal ricorrente – di cui al D.P.R. n. 203 del 1988: in questo senso va osservato che il ricorrente ha di fatto riproposto censure già esposte nel corso del giudizio e disattese dal Tribunale con motivazione del tutto esente da vizi logici o da incompletezze.

E’, infatti, assolutamente pacifico il principio che condotte eventualmente iniziate sotto la vigenza del precedente D.P.R. n. 203 del 1988 ed assoggettate al regime di cui all’art. 25 della detta norma debbano considerarsi permanenti se persistenti alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006 il cui art. 279 si pone rispetto alla precedente normativa in termini di continuità normativa (in questo senso v. Cass. Sez. 3 30.11.2007 n. 2866; Cass. Sez. 3 16.11.2007 n. 47081; Cass. Sez. 3 20.3.2008 n. 12436; Cass. Sez. 3 17.11.2005 n. 562). Anche le altre censure contenute in ricorso hanno per oggetti rilievi in punto di fatto come tali inammissibili in sede di legittimità: ciò vale specificamente per i tempi di messa in esercizio dell’impianto, in merito ai quali il Tribunale – con ragionamento assolutamente logico ed aderente ai principi che regolano la materia della colpa in tema di contravvenzioni – ha correttamente individuato l’illegittimità della condotta dell’imputato a far data dal mese di febbraio 2006 deducendola dalla stessa domanda di attivazione di un nuovo impianto avanzata dall’imputato. Il che serve a qualificare come palesemente inconsistente l’argomentazione difensiva di una pretesa inversione dell’onere della prova in cui sarebbe incorso il Tribunale.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – trovandosi lo stesso in colpa per aver dato causa all’inammissibilità – il versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa per le Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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