Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-12-2010) 20-04-2011, n. 15658

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 27 aprile 2010 il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del GIP di quel Tribunale reiettiva della richiesta di applicazione di misura interdittiva della revoca dell’autorizzazione alla raccolta trasporto e conferimento di rifiuti speciali formulata nei confronti della "IMPRESA INDIVIDUALE S.M.R." corrente in (OMISSIS) nell’ambito del procedimento penale a carico di S.M.R. per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di raccolta, smaltimento e traffico illecito di rifiuti pericolosi e non e per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260), applicava nei confronti della impresa suddetta la misura interdittiva richiesta dal P.M. per la durata di un anno.

Il Tribunale era pervenuto a tale conclusione, anzitutto condividendo la gravità del quadro indiziario già ritenuta dal G.I.P., nonchè rilevando un concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, desunto da alcuni accertamenti svolti dalla P.G. successivamente al sequestro preventivo di un’area nella quale la S. e i suoi sodali sversavano in modo illecito i rifiuti, dai quali emergeva che l’impresa individuale della S. continuava a svolgere attività di discarica, sia pure in siti diversi, ma contigui rispetto alla area precedentemente sequestrata.

Aveva, quindi, il Tribunale mantenuto fermo il giudizio di gravità indiziaria già espresso dal GIP (ma insufficiente a giustificare l’adozione delle misure cautelari originariamente richieste dal P.M. procedente per carenza delle esigenze cautelari), ed espresso l’avviso che anche le esigenze cautelari fossero nella specie configurabili sia pure in modo meno intenso rispetto a quello prospettato dal P.M., tanto da accogliere solo in parte le sue richieste.

Avverso la detta ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore della TRADE COM s.r.l. deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ( D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 5, 45 e 46 e art. 9, comma 2 nonchè vizio di motivazione e contraddittorietà.

A tale ultimo riguardo la difesa ha anzitutto premesso che una delle due società – la TRA.DE COM. – delle quali la S. (a sua volta di titolare dell’omonima impresa individuale operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti) si avvaleva per la propria attività, in realtà operava in settore del tutto diverso (commercio e vendita di prodotti per l’edilizia) da quello attribuitole dal Tribunale (ovverosia società autorizzata alla attività di raccolta, trasporto e conferimento di rifiuti speciali pericolosi e non): tale circostanza, non presa adeguatamente in considerazione dal Tribunale del Riesame, ha fatto si che la presenza di rifiuti nello spiazzale retrostante l’area di vendita al pubblico del detto materiale edile venisse erroneamente ricondotta alla società TRADE COM., individuata come titolare dell’area sulla quale venivano sversati i rifiuti da parte della ditta S. attraverso i mezzi in dotazione alla stessa.

Ha poi rilevato come il Tribunale abbia ritenuto sussistere le esigenze cautelari sulla base di fuorvianti note informative della P.G. che in realtà ipotizzavano – ma senza alcun riscontro – una prosecuzione di illecita attività di smaltimento dei rifiuti e in modo del tutto illogico attribuito rilievo ad alcune segnalazioni anonime qualificate come riscontro alle note informative della P.G..

Rileva quale elemento di contraddittorietà la ritenuta sussistenza della gravita indiziaria pur avendo qualificato come frutto di congetture l’ulteriore ipotesi accusatoria del P.M. utilizzata per la proposizione dell’appello.

In questo ambito si sarebbe anche collocata l’ulteriore riflessione del Tribunale derivante dalla ritenuta prosecuzione da parte dell’indagata dell’attività illecita di smaltimento attraverso altra ditta (la SICILBETON) sulla base del tracciamento dei dati del sistema di controllo GPS che avrebbero accertato la presenza di un mezzo di tale ditta (esercente attività di smaltimento di sfabbricidi) in territorio di Caltanissetta, omettendo di considerare che il mezzo di tale impresa era in realtà diretto a Canicattì.

Quanto poi alla parte dell’ordinanza riferentesi alla attualità e concretezza del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, la ricorrente rilevava la sostanziale assenza e illogicità della motivazione basata su (fonti di) prove in realtà mai acquisite in modo certo.

Il ricorso non è fondato.

Il ragionamento seguito dal Tribunale che lo ha condotto alla applicazione della misura cautelare sollecitata dal P.M. appellante, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, si basa su prove certe che sono state individuate in modo congruo e logico: in particolare, è stato dato esatto rilievo alla circostanza oggettiva (in quanto desunta da uno screening del sistema satellitare di controllo – GPS – installato sui mezzi adibiti al trasporto dei rifiuti) della presenza di un mezzo della ditta SICILBETON in Caltanissetta nei giorni in cui secondo i formulari FIR il mezzo si sarebbe dovuto trovare in altra località: corretta quindi la deduzione che ne ha tratto il Tribunale di una verosimile falsità dei documenti di trasporto e di una altrettanto verosimile connivenza delle società titolari delle discariche autorizzate.

Ancora la constatazione di un movimento di mezzi e di persone nell’area libera dal sequestro adibita alla vendita prodotti e materiali per l’edilizia (in sostanza l’area di pertinenza della TRADE COM s.r.l.) è stata considerata dal Tribunale quale sintomo inequivoco di una prosecuzione dell’attività di trasporto e sversamento dei rifiuti, non potendo quindi attribuirsi – come preso dalla difesa della società ricorrente – un significato neutro a tale circostanza, nè considerare il ragionamento seguito dal Tribunale come frutto di mere congetture. Del tutto logica appare poi la considerazione del Tribunale circa la prosecuzione dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti in modo illecito in quanto difficilmente sostenibile la tesi di una riconversione lecita delle attività di trasporto e smaltimento dei rifiuti in siti autorizzati anche in considerazione dei tempi tecnici necessari ad una ripresa lecita di tale attività. Se poi a tutto questo si aggiunge la circostanza – opportunamente evidenziata nell’ordinanza impugnata (v. pag. 4) – di una presenza costante della S. sulle aree interessate dallo smaltimento e del ruolo centrale assunto dalla stessa indagata concretizzatosi nell’impartire le necessarie istruzioni in merito alle modalità di scarico, scarico e sistemazione dei rifiuti (vds. pag. 4 della richiamata ordinanza), ben si comprende la conclusione del Tribunale in merito ad una gravità del compendio indiziario non solo riferito alla attività in sè di smaltimento dei rifiuti ma anche e soprattutto al reato associativo caratterizzato – tra gli altri – dall’elemento della stabilità temporale e della suddivisione di ruoli tra i sodali. La rilevata contraddittorietà logica in cui sarebbe incorso il Tribunale nel dare rilievo non univoco alla gravità indiziaria non sussiste, in quanto il Tribunale ha correttamente ricollegato le condotte in concreto svolte dopo l’apposizione del vincolo del sequestro all’area adoperata dalla ditta individuale dell’indagata per lo smaltimento dei rifiuti alle condotte pregresse che avevano portato al sequestro di quell’area, sostanzialmente omologandole in modo logico e coerente con i risultati delle ulteriori indagini.

Lo sviluppo logico di una tale ragionamento conduce inevitabilmente a ritenere attuale e concreto anche il quadro cautelare, in quanto – in modo assolutamente esente da censure sul piano logico – proprio perchè oggetto del sequestro è stata l’area e non i mezzi della ditta, era ragionevole desumere che l’attività illecita sarebbe potuta proseguire in modo illecito in siti diversi essendo comunque i mezzi dotati delle autorizzazioni al trasporto. L’assenza di riscontri in merito ai luoghi di effettivo sversamento dei rifiuti non toglie validità alla tesi di una prosecuzione dell’attività criminosa in altri luoghi per quella considerazione di fondo contenuta nell’ordinanza circa la scarsa verosimiglianza di una riconversione dell’attività in modo lecito dopo una attività illecita ripetuta nel tempo che aveva portato al sequestro dell’area.

In questo senso appare corretta la conclusione del Tribunale circa la non decisività della documentazione prodotta dalla difesa per dimostrare la liceità dell’attività successiva al sequestro dell’area, in quanto tali documenti dimostrano soltanto che la ditta dell’indagata (e quelle parallele) aveva provveduto alla doverosa rimozione dei rifiuti pericolosi rinvenuti nell’area sequestrata:

tanto più ciò in relazione a quella ritenuta falsità dei documenti di trasporto di cui si è dianzi parlato a proposito della SICILBETON s.r.l.. Erra quindi la ricorrente nel considerare contraddittorio il ragionamento del Tribunale in quanto il compendio indiziario si sarebbe potuto qualificare di incerta lettura se isolatamente considerato, laddove era invece necessario effettuare una comparazione tra condotte pregresse e condotte successive al sequestro, ritenute sovrapponibili sia per le analoghe modalità di svolgimento dell’attività sia per il ricorso alla stessa società di gestione della discarica (la SICILBETON s.r.l.).

La concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie è quindi facilmente ricavabile da quelle specifiche modalità della condotta che valgono sia per la consistenza del quadro indiziario in termini di gravità, sia per la consistenza delle esigenze cautelari da salvaguardare con quegli accorgimenti (divieto di svolgimento dell’attività di impresa) ritenuti molto più idonei della custodia cautelare richiesta dal P.M. a scongiurare il pericolo di recidivanza.

Ma anche il diverso profilo di violazione di legge denunciata dal ricorrente legata al carattere devolutivo dell’appello non appare fondato.

Se è vero, infatti, che il P.M. appellante nel proporre gravame contro il diniego del GIP si è limitato ad avanzare una richiesta di applicazione tout court della misura senza indicarne la durata, non può per ciò solo considerarsi extra ordinem il provvedimento emesso dal Tribunale con riguarda la fissazione di un termine di durata, rientrando comunque nei poteri del Tribunale e sulla base delle circostanze emergenti dagli atti, l’indicazione in via autonoma della durata della misura, con il solo obbligo del rispetto dei limiti (minimi e massimi) indicati nell’art. 13, comma 2 (limiti nella specie rispettati).

Nè tale provvedimento appare privo di motivazione come sostenuto dalla difesa della impresa ricorrente, in quanto il criterio che ha ispirato il Tribunale nella scelta del termine va necessariamente collegato a quell’esame delle esigenze cautelari che sono state considerate particolarmente intense sotto il profilo del pericolo di recidiva.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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