Cass. civ. Sez. III, Sent., 18-07-2011, n. 15709 Liquidazione e valutazione Genitori, tutori, precettori e maestri d’arte Nesso di causalità Responsabilità civile solidale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 27 e il 30 dicembre 1988 V. V. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i professori R.S. ed C.A., rispettivamente preside e professoressa di educazione fisica dell’istituto scolastico (OMISSIS), ed il Ministero della Pubblica Istruzione, le cui competenze risultano attualmente trasferite al Ministero dell’Istruzione, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivabile in conseguenza dell’incidente verificatosi il 22 settembre 1988, allorchè, nel corso della lezione di educazione fisica a scuola, ella si era infortunata nell’eseguire" un esercizio di capovolta con rincorsa e battuta sulla pedana" riportando la lussazione bilaterale della 4 e 5 vertebra cervicale con conseguente irreversibile tetraplegia e paralisi degli sfinteri. Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva, riconobbe la responsabilità per colpa dei due docenti e la responsabilità del Ministero sia ex art. 28 Cost. che ex art. 2043 c.c. e li condannò in solido al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, ponendo a carico degli stessi il pagamento di una provvisionale. Con sentenza definitiva pubblicata il 3-4-2003 il Tribunale di Roma, accertata per la V. una incapacità temporanea assoluta di 180 giorni, postumi di carattere permanente valutabili sotto il profilo del danno biologico nel 90/95% e del 100% in relazione alla capacità lavorativa generica, condannò i convenuti in solido al risarcimento del danno nella misura di Euro 4.555.485,49 oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza e spese.

A seguito dell’appello della V., con censure relative all’importo del danno liquidato, e dell’appello incidentale del Ministero dell’Istruzione e del preside R., in ordine sia all’an che al quantum, la Corte di appello di Roma,con sentenza depositata l’11-2-2008, dichiarò il difetto di legittimazione passiva dei docenti R. e C.; accertò che l’evento dannoso era addebitabile al Ministero dell’Istruzione nella misura del 30% mentre il 70% era dovuto ad una erronea esecuzione dell’esercizio da parte della V., condannò quest’ultimo al risarcimento del danno in favore della V. nella misura di Euro 2.142.412,25 oltre interessi legali dal 3-4-2003.

In relazione alla ricostruzione delle modalità dell’incidente la Corte di Appello, considerato verosimile, secondo la relazione peritale, "… che il trauma subito dal soggetto debba essere imputato al contatto sulla superficie del materasso avvenuto prima con il capo (regione parieto-occipitale) e poi con il resto del corpo …", ha ritenuto sul piano medico scientifico che questa fosse la sola ipotesi idonea a giustificare le gravissime conseguenze dell’incidente; che causa primaria dell’evento fosse una modalità esecutiva dell’esercizio obiettivamente incongrua, in quanto la V. aveva errato nell’effettuazione dell’esercizio previsto.

In relazione i fattori esterni concause dell’evento accertati dal Tribunale, ha ritenuto non condivisibile la rilevanza attribuita al fatto che l’insegnate non si era situata "nel posto esatto della esecuzione dello stacco, della fase di volo e della ricaduta cioè quasi a contatto con il tappeto e con la pedana di battuta"; generica la considerazione che "si sarebbe potuto utilizzare un ulteriore tappeto posto sopra il primo attribuendo invece incidenza causale all’eccessiva gravosità degli esercizi fatti eseguire nell’arco di tutta la lezione ed a l’aver lasciato alle alunne la scelta delle modalità di caduta.

Individuati in tali limiti la responsabilità dell’insegnante, ha ritenuto che le carenze addebitate all’amministrazione scolastica avessero inciso complessivamente nel determinarsi del danno in misura pari ai 30%, dovendo il residuo 70% correlarsi a fattori estranei alla stessa, tra cui, in primo luogo, a condotta non adeguatamente attenta dell’attrice. La Corte, con riferimento al danno nella sua interezza, ha liquidato per il risarcimento del danno biologico la somma di Euro 850.000,00; per il danno morale la somma di Euro 1.000.000,00; per il danno patrimoniale sotto il profilo delle spese di assistenza Euro 80.000,00 all’anno per un arco temporale di 35 anni,secondo la probabile previsione di vita della danneggiata, e quindi in complessivi Euro 2.8000.000,00; Euro 6.6000,00 per invalidità totale temporanea;Euro 292.830.000 per spese di locazione ed Euro 188.595,00 per spese generali di mantenimento; Euro 1.526.004,10 quale" lucro cessante", voci tutte calcolate con riferimento ai valori dell’epoca della sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma propone ricorso V.V. con 33 motivi illustrato da memoria.

Si difendono con controricorso proponendo anche ricorso incidentale il Ministero dell’Istruzione ed il prof. R.S. con due motivi.

Si difende con controricorso la prof.ssa C.A..
Motivi della decisione

Preliminarmente devono riunirsi i ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto impugnazione avverso la stessa sentenza.

1. Con il primo motivo del ricorso principale viene denunziata violazione o falsa applicazione degli artt. 81, 100, 101, 112 c.p.c., dell’art. 12 c.c., della L. n. 312 del 1980, art. 61, comma 2 art. 28 Cost., degli artt. 2048 e 2043 e 1218 c.c. per aver erroneamente la Corte di merito rilevato la carenza di legittimazione passiva degli insegnanti R. e C..

2.Il motivo è infondato.

Si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte, con sent. n. 9346/2002, hanno affermato che in tema di responsabilità degli insegnanti di scuole statali, la L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 61, comma 2,- nel prevedere la sostituzione dell’Amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi – esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da "culpa in vigilando", quale che sia il titolo – contrattuale o extracontrattuale – dell’azione. Ne deriva, pertanto, che l’insegnante è privo di legittimazione passiva non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro alunno, ma anche nell’ipotesi di danni arrecati dall’allievo a se stesso, fermo restando che in entrambi i casi, qualora l’Amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo o all’alunno autodanneggiatosi, l’insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite, quest’ultimo, operante verso l’Amministrazione ma non verso i terzi.

3. Con il secondo motivo di ricorso viene denunziata violazione dell’art. 1292, art. 1306, comma 1 art. 2909 c.c.; artt. 324, 327, 329, 333, 334, 343, 81, 101, 112 c.p.c., in quanto nei confronti della Prof.ssa C. non poteva essere dichiarata la carenza di legittimazione passiva poichè la sua condanna a risarcimento era coperta dal giudicato, non avendo ella impugnato la sentenza di primo grado.

4. Il motivo è infondato.

La Corte osserva che, secondo la prospettazione della sentenza di primo grado, la responsabilità la responsabilità del Ministero è stata riconosciuta ex art. 28 Cost., per responsabilità solidale dello Stato e degli enti pubblici con i propri dipendenti per il risarcimento dei danni da questi causati nell’esercizio delle loro attribuzioni.

Pertanto la responsabilità in capo al Ministero è posta in rapporto di ì dipendenza con l’accertamento della responsabilità della docente e le distinte posizioni dei coobbligati presentano obiettiva interrelazione, è la responsabilità dell’uno presuppone la responsabilità dell’altro, per cui l’impugnazione della sentenza per un capo con gli altri collegato, da qualunque parte e in confronto di qualunque parte proposta, impedisce il passaggio in giudicato dell’intera sentenza nei confronti di tutte le parti. Infatti questa Corte ha affermato che l’ambito di applicazione delìart. 331 c.p.c., non è circoscritto alla cause "inscindibili", ma si estende anche a quelle tra loro "dipendenti". Cass. 3-10-1980, n. 5830; 11-4-2000, n. 4602; Sez. U. 3-3-2003, n. 3074. 5. Si esaminano congiuntamente il terzo e quinto motivo di ricorso per la stretta connessione logico giuridica. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 112, 342, art. 329, comma 2, art. 346 c.p.c. e art. 2909 c.c. lamentando che la Corte di appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’appello incidentale del Ministero perchè privo di specifiche e valide censure avverso la ricostruzione dei fatti esposta nella pronuncia non definitiva.. la ricorrente formula il seguente quesito di diritto : viola i principi in tema di inammissibilità dell’appello e di passaggio in giudicato la sentenza di appello che riesamini il fatto accertato dalla sentenza di primo grado, senza che l’appellante ne abbia proposto una diversa ricostruzione basata su elementi acquisiti al processo o dallo stesso enucleabili, e che esamini elementi di responsabilità ritenuti dalla sentenza di primo grado avverso i quali o non siano stati proposti specifici motivi di impugnazione o ne siano stati proposti taluni in relazione ad una diversa ipotesi ricostruttiva del fatto non suffragata da alcuna prova, dallo stesso appellante definita ipotetica.

Con il quinto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., in quanto la Corte di appello ha violato le norme sul giudicato interno non tenendo conto che sin dalla comparsa conclusionale in primo grado e poi in secondo grado, con la comparsa di risposta con l’appello incidentale, parte attrice e parte convenuta avevano aderito alla ricostruzione dell’evento risultante dalle dichiarazioni dei testi M. e D., rendendo incontestabile la circostanza che la V. prima di effettuare l’esercizio aveva dichiarato di voler atterrare sul materasso in posizione prona e che la stessa era arrivata proprio in tale posizione, prima con il capo e poi con il resto del corpo.

Quesito. Si chiede alla Corte di affermare il principio che, qualora le parti in causa non contestino ed anzi espressamente accettino lo svolgimento di un fatto come ricostruito dal Giudice di 1^ grado, il Giudice di Appello non può rimettere in discussione la veridicità ed effettività del fatto stesso, essendo sul punto intervenuto il giudicato.

6. I motivi sono inammissibili.

Per giurisprudenza costante di questa Corte il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie Cass. Sez. U. 30- 10-2008 n,26020 .Entrambi i quesiti di diritto sono formulati per ottenere una risposta affermativa che si risolve in una ovvia asserzione, priva della dignità di massima di diritto, sui divieto del giudice di pronunziarsi ultra petita e di pronunziarsi in ordine a ricostruzione dei fatti non suffragate da prova.

I quesiti si limitano a riprodurre il contenuto astratto di precetti legislativi e di principi generali con un improprio richiamo all’efficacia del giudicato che si forma solo su capi autonomi della sentenza, senza nessun elemento di specificità rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

7. Si esaminano congiuntamente il quarto,il sesto, il settimo e l’ottavo motivo per la stretta connessione logico-giuridica fra gli stessi.

La ricorrente denunzia insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine a fatti decisivi della controversia quali l’arrivo della V. sul materasso in posizione prona alla conclusione dell’esercizio,l’affermata incertezza sulle modalità di arrivo, l’affermazione che l’incidente era dovuto ad errore della V. per aver modificato l’esercizio in corso di svolgimento.

Con l’ottavo motivo viene denunziata violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per violazione del principio del divieto praesumptio de paesumpto.

8. I motivi sono infondati.

Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quaie risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

9. La motivazione del giudice di merito è logica e coerente e non affetta dal dedotto vizio di contraddittorietà .Infatti la Corte di appello non ha ritenuto incerta la modalità di arrivo della V. sul materasso alla fine dell’esercizio, ma ha valutato incerte ed inattendibili alcune deposizioni sul punto. Nella disamina dei materiale probatorio ha dato rilievo alle risultanze della c.t.u medica in base alle quali una sola modalità di arrivo della V. sul materasso alla fine dell’esercizio era compatibile con Sa tipologia delle lesioni riportate.

Tale valutazione è logicamente motivata con riferimento ai risultati di un incontestabile accertamento tecnico in base al quale il trauma era dovuto alla caduta con il capo in avanti in posizione tale da atterrare con la regione parieto-occipitale.

La ricorrente,sotto l’apparente denunzia di vizio di motivazione, richiede a questa Corte una valutazione del materiale probatorio diversa da quella fatta propria dal giudice di primo grado, richiedendo quindi una valutazione di merito inammissibile in questo grado di legittimità. Infondato è anche il motivo ricorso con cui si deduce la violazione della praesumptio de praesupto poichè la Corte di appello ha utilizzato la facoltà che gli compete di valutare liberamente il materiale probatorio senza alcuna presunzione ma traendo, come era nei suoi poteri, le conclusioni di merito in relazione al materiale probatorio ritenuto rilevante..

10. Con il nono motivo di ricorso viene denunziata motivazione illogica ed insufficiente in ordine ad un punto decisivo della controversia, indicato nell’incidenza causale della negligenza ed imprudenza dell’insegnante nel restare lontana 5 metri da luogo dell’esercizio, circostanza che invece i giudici di primo grado avevano ritenuto concausa dell’evento. La Corte di Appello ha ritenuto, diversamente dai giudici di primo grado, che non avesse alcuna rilevanza causale nel terminarsi dell’evento danno la circostanza che la professoressa non si fosse situata nel posto della esecuzione dello stacco,,limitandosi ad un mero giudizio di inverosimiglianza in ordine alla rilevanza causale della presenza dell’insegnate in prossimità del punto di svolgimento dell’esercizio e della possibilità di intervenire della stessa per correggere l’errore. 11. Il motivo è fondato.

Il fatto risulta così accertato: mentre la V. eseguiva il salto, alla fine della lezione dopo una serie di esercizi troppo gravosi per la prima lezione dell’anno scolastico, la professoressa si trovava ad una distanza di circa cinque metri dal luogo di esecuzione dell’esercizio e da tale distanza seguiva lo svolgersi dell’esercizio.

La Corte di Appello ha escluso che la circostanza che la professoressa si trovasse a circa cinque metri di distanza da punto dei esecuzione del salto avesse avuto efficienza causale ne verificarsi del danno, sul rilievo che non si poteva presupporre che la professoressa potesse essere in grado di coprire un’area lunga non meno di tre metri e larga circa due, nonchè percepire l’erroneità del movimento eseguito dall’allieva ed intervenire, in modo da correggere il completamento dell’esercizio ed attenuarne le conseguenze per renderle meno gravose essendo tali evenienze assai poco prevedibili e non risultando le stesse, peraltro, nè affermate nè valutate dal consulente tecnico di ufficio.

12. Di recente questa Corte regolatrice, attraverso le sentenze a S.U. n. 576 e 581 dell’11 gennaio 2008, è pervenuta ad un importante arresto in tema di responsabilità’ civile, stabilendo che il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonchè dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano (ad una valutazione ex ante) del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio".

Nell’imputazione per omissione colposa i giudizio causale assume come termine iniziale a condotta omissiva del comportamento dovuto (Cass. n. 20328 del 2006; Cass. n. 21894 del 2004; Cass. n. 6516 del 2004;

Cass. 22/10/2003, n. 15789): rilievo che si traduce a volte nell’affermazione dell’esigenza, per l’imputazione della responsabilità, che i danno sia una concretizzazione del rischio, che la norma di condotta violata tendeva a prevenire.

Il Giudice pertanto è tenuto ad accertare se l’evento sia ricollegabile all’omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi. L’accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l’enunciato "controfattuale" che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato.

13.In relazione alla causalità ipotetica dell’omissione ed ai relativo giudizio controfattuale, la sentenza impugnata ha ritenuto impossibile per l’insegnante, anche se si fosse trovata vicina, di coprire uno spazio di circa sei metri quadrati e che la possibilità di intervento dell’insegnate era poco prevedibile e non risultava nè affermata nè valutate dal consulente tecnico di ufficio.

14. Questa Corte,come denunziato dalla ricorrente, ritiene che giudici di merito hanno effettuato il giudizio controfattuale in relazione a tutta l’area interessata dal salto,dell’ampiezza di circa sei metri quadrati, omettendo di valutare la possibilità dell’insegnate di avvedersi dell’anomalia nell’esecuzione del salto e di intervenire per evitare od attenuare le conseguenze dell’errore con riferimento non a tutta l’area, ma solo con riferimento al punto di arrivo, vicino al tappeto, come valutato dai giudici di primo grado.

Inoltre contraddittoria ed illogica è l’affermazione che la possibilità di intervenire dell’insegnante non erano stata valutata dal c.t.u, in quanto viene così certificata una omessa valutazione di elementi necessari all’esame controfattuale ed all’accertamento della responsabilità nel comportamento omissivo.

Di conseguenza la sentenza deve essere cassata sul punto ed il Giudice di rinvio dovrà rivalutare, alla luce dei principi suesposti, se esista nesso eziologico tra il comportamento dell’insegnante che si è posta a cinque metri dal luogo in cui si svolgeva l’esercizio e l’evento dannoso. 15. Si esaminano congiuntamente il motivo dieci, undici ed il motivo successivo che,con una duplicazione di numerazione,viene indicato ancora come motivo dieci, per la loro connessione logico-giuridica Con tali motivi viene denunziato vizio di motivazione su punti decisivi individuati nella necessità di apposizione di un ulteriore materasso sopra quello già presente, nell’aver considerato genericamente gli esercizi effettuati dalle allieve,ma non lo specifico esercizio effettuato dalla V. e nel non aver considerato la possibilità di apporre un materasso di diversa altezza rispetto a quello esistente e violazione e la falsa applicazione dell’art. 2043 in quanto per la sussistenza della responsabilità aquiliana deve essere considerata la specifica condotta posta in essere dal soggetto in relazione all’evento verificatosi,vale a dire la Corte di appello avrebbe dovuto valutare la condotta dell’insegnante solo in relazione all’esercizio da cui era derivata la lesione.

16. Il Motivo è infondato.

La Corte di appello, con motivazione logica e non contraddittoria, ha ritenuto che utilizzare un solo materasso alto cinquanta centimetri non costituisse manifestazione di negligenza ed imprudenza da parte dell’insegnante, sul rilievo che gli esercizi richiesti alle alunne non sarebbero stati meno pericolosi ove fosse stato sovrapposto un materasso di analoga altezza,oltre che concretamente praticabili.

17. La ricorrente, nel denunziare vizio di motivazione e violazione di legge, non censura la statuizione della Corte di Appello che ha ritenuto che il non aver usato un doppio materasso possa costituire negligenza od imprudenza da parte della professoressa. Di conseguenza sono non congruenti con la ratio decidendi di tutte le censure relative agli effetti di un comportamento ritenuto dai giudici di merito non negligente.

18. I motivi successivi, ancora individuati con una duplicazione di numerazione, come motivo undici, dodici e tredici, denunziano illogicità e contraddittorietà della motivazione nel punto in cui viene attribuito all’errore di esecuzione dell’esercizio da parte della V. ed alla sua intenzione di modificare l’esercizio nel corso dello svolgimento la responsabilità primaria dell’evento quantificata nel 70% di colpa, riducendo al 30% la rilevanza degli altri fattori esterni,nella qualificazione come causa primaria dell’evento l’errore dell’allieva nell’esecuzione dell’esercizio, riducendo a mera concausa la condotta della professoressa.

19. Tali motivi sono assorbiti dall’accoglimento del nono motivo, preliminare alla valutazione della misura dell’incidenza delle varie i concause dell’evento.

20. Con il motivo quattordici si denunzia omessa pronunzia su un punto decisivo della controversia quale la rilevanza delle carenze ordinamentali e strutturali della palestra configurate dal giudici di primo grado come concaue dell’evento dannoso.

21. Con il quindicesimo motivo si denunzia omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia,vaie a dire sulla censura mossa in sede di appello sull’applicazione al caso di specie degli artt. 2050 e 2051 c.c. 22.1 due motivi si esaminano congiuntamente la loro connessione giuridica.

L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice de merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo "error in procedendo" – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro "ex actis" dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo. Sez. 1, Sentenza n. 1755 de 27/01/2006 Sez. 3, Sentenza n. 12952 del 04/06/2007. 23. Prima di passare all’esame dei motivi del ricorso principale relativi alla liquidazione de danno è necessario esaminare il ricorso incidentale che contiene solo motivi relativi all’an della decisione.

Con il primo motivo si denunzia insufficiente motivazione circa fatti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 individuati nella effettuazione delio specifico esercizio ginnico deciso dalla Prof.ssa C. e la rimessione alle alunne della scelta della modalità di ricaduta, con la conseguenza della condizione soggettiva di incertezza della V.. Viene formulato il seguente motivo di sintesi: In conclusione ed in sintesi: per rendere una motivazione sufficiente in ordine alle ritenute concause dei sinistro, la Corte avrebbe dovuto chiarire sulla base di quali riscontri di fatto ha ritenuto che l’esercizio sia stato eseguito male dalla ricorrente perchè troppo difficile; perchè la scelta sulla modalità di ricaduta avrebbe determinato uno stato di incertezza tale da compromettere l’esecuzione del salto; quali fatti dimostrino che l’ipotetico atteggiamento svogliato della V. possa averla indotta ad eseguire male l’esercizio, che a detta dei testi presenti fu eseguito correttamente;infine, perchè tale complesso stato d’animo di incertezza e distrazione avrebbe dovuto essere percepito, e prevenuto nelle sue potenziali conseguenze, da parte dell’insegnante mediante un richiamo ad una maggiore attenzione e concentrazione. Ove avesse debitamente approfondito tutti i fatti qui richiamati, la Corte non avrebbe potuto che pervenire alla conclusione dell’assenza di responsabilità della Prof.ssa C..

24. Il Motivo è inammissibile.

Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dai giudice del merito .La ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità della linea argomentativa sviluppata dalla corte di Appello,mentre l’impugnazione si risolve nella richiesta di un riesame del merito della controversia,con una valutazione delle risultanze probatorie diversa da quella motivatamente fatta propria dai giudici di merito.

25.Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denunzia contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360, n. 5 non avendo la Corte di appello coordinato assunti incompatibili in punto di fatto.

26. Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 16528 del 2008, hanno chiarito che secondo l’art. 366 bis c.p.c. introdotto dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006,applicabile nel caso di specie perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 11-2- 2008, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 "deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), costituente una parte del motivo che si presenti, a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità". L’art. 366 bis c.p.c., richiede, quindi, un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, con un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, quale "momento di sintesi … che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare l’incertezze, nè in sede di formulazione del ricorso, nè in sede di valutazione della sua ammissibilità (omologo al quesito di diritto).

27. Nel caso di specie il motivo con i quali viene denunziato vizio di motivazione non contiene il motivo di sintesi di contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile.

28. Si esaminano i motivi dei ricorso principale relativi all’entità del danno, in quanto i giudici di merito hanno accertato l’entità del danno riportato dalla V. nella sua totalità, e tale accertamento è indipendente dalla graduazione della misura della responsabilità della scuola.

Con il motivo sedici di denunzia motivazione insufficiente su un punto decisivo della controversia per aver il giudice di appello liquidato il danno biologico sulla base di un mero accenno a solo alcune delle condizioni personalizzanti,senza indicare le ragioni della esclusione delle altre indicate dall’appellante.

Con il motivo diciassette si denunzia motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia, per aver il Giudice di Appello da una parte aderito alla richiesta di una liquidazione dei danno biologico superiore a quella derivante dalla tabella e quindi personalizzata e dall’altra parte liquidato una somma senza tener conto delle condizioni di vita in cui è stata irreversibilmente costretta la ricorrente. Con il motivo diciotto di denunzia violazione degli artt. 2043, 256, 1223 e 1226 c.c.. Si chiede che la Corte pronunci, con riferimento al caso di specie, il seguente principio: in applicazione delle norme degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226 c.c.: il Giudice, nella liquidazione del danno biologico, non può ritenersi limitato dagli importi indicati dalle Tabelle elaborate dal Tribunale di Roma (o da altri Tribunali), con possibilità solo di adeguamenti contenuti, ma deve liquidare il danno che ritenga effettivamente accertato anche se notevolmente superiore ai valori risultanti dall’applicazione delle Tabelle stesse.

29. I tre motivi possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione logico giuridica.

Essi i sono infondati.

Deve premettersi che il giudice di primo grado ha liquidato il danno biologico sulla base della Tabelle in vigore presso il Tribunale di Roma, la cui applicazione era stata richiesta proprio dalla ricorrente, che aveva concluso nel senso che il danno fosse determinato nella misura massima prevista dalle Tabelle del Tribunale di Roma aumentata fino al 50%, liquidando il danno biologico nella misura di Euro 588.784,00.

La Corte di appello,accogliendo l’impugnazione della V. sui punto, ha personalizzato tale valore aumentandolo fino ad Euro 850.000,00, tenendo conto delle conseguenze di devastante entità che ha avuto l’incidente nella vita della giovane, della totale compromissione delle minime funzioni fisiologiche,della situazione di necessaria dipendenza dall’aiuto di terzi e della riduzione delle aspettative di vita.

Di conseguenza la Corte di appello ha adeguato i valori tabellari al caso concreto, considerando tutte le circostanze specifiche di esso ed ad esse commisurando il criterio astrattamente individuato, motivando in qual modo abbia personalizzato equitativamente il criterio predeterminato per adeguarlo al danneggiato.

La scelta di alcuni indici di personalizzazione invece di altri è una questione di merito non più sindacabile da questo giudice di legittimità, in presenza di una coerente d logica motivazione che ha preso in considerazione adeguatamente la gravità del danno.

Il motivo diciotto è assorbito dalla decisione dei precedenti due motivi sull’adeguatezza delle liquidazione effettuata in relazione al danno concretamente determinatosi.

30. Con il motivo diciannove si denunzia vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia,per aver il Giudice di Appello, in relazione alle 8 ore giornaliere di assistenza pubblica con doppio operatore prestate dalla Cooperativa di servizi C.O.T.R.A.D., ritenuto che "in assenza di specifiche allegazioni e prove circa l’inadeguatezza delle prestazioni fornite dal servizio pubblico, non sembra giustificata la richiesta di non tener conto di tali prestazioni".

La motivazione della Corte di Appello non era sufficiente al rigetto della domanda in quanto la V. nel giudizio di 2^ grado aveva anzitutto lamentato la violazione dei propri diritti fondamentali, garantiti dall’art. 32 Cost. in relazione all’art. 2 e art. 3 Cost., comma 2 e dagli artt. 8, 9, 10 della Convenzione Europea dei Diritti.

La critica alla sentenza di primo grado era diretta a denunciare la violazione del diritto di scegliere le persone che hanno accesso alla propria intimità personale e familiare. 31.Sullo stesso punto con il motivo venti viene denunziata motivazione contraddittoria perchè la Corte di merito ha prima riconosciuto il rilievo del diritto di scelta e poi rigettato la domanda ritenendo adeguata la prestazione fornita dal personale del servizio pubblico.

32. Con il motivo 21 si denunzia motivazione illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia nella parte in cui la Corte di appello ha effettuato la liquidazione equitatitva del danno per i costi di assistenza sulla base della necessità di 30 ore giornaliere, non avendo esaminato e considerato la richiesta delle ricorrente del riconoscimento di 48 ore di assistenza giornaliera.

33. I tre motivi, legati per connessione logica giuridica, sono inammissibili.

Secondo una giurisprudenza assolutamente maggioritaria di questa Corte regolatrice, che in questa sede deve ulteriormente ribadirsi, la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura alla sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per Cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue quindi che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anzichè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c, il ricorso si rivela inammissibile (Cass. 7 luglio 2004, n. 12475.

Sempre nello stesso senso, tra le tantissime, Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4191; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 23 febbraio 2006, n. 4019; Cass. 6 aprile 2006, n. 8097). In altri termini, la omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, deve essere fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione della violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già come vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto tali ultime censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa (in termini, ad esempio, Cass. 14 febbraio 2006, n. 3190).

Pacifici, in diritto, i principi di diritto esposti sopra, non controverso che nella specie il ricorrente ha prospettato il vizio esclusivamente sotto il profilo della "omessa motivazione è evidente come anticipato, la inammissibilità del motivo in esame.

34. Con il motivo ventidue viene denunziata violazione dell’art. 1126 c.c. per aver la Corte di appello fatto ricorso alla liquidazione equitativa del danno per le spese di assistenza quando la ricorrente aveva offerto tutti gli elementi per la determinazione concreta del costo. Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:

affermi la Corte che il giudice di merito,qualora disponga o possa disporre (tramite consulenza o presuntivamente) di elementi per la esatta determinazione del danno,non può procedere ad un liquidazione in via equitativa del danno stesso.

35. Il quesito è inammissibile in quanto non congruente con la ratio della decisione dando per presupposto che il giudice disponesse o potesse disporre di elementi per l’esatta quantificazione del danno.

Il quesito è privo di specificità perchè non investe la valutazione dell’impossibilità dell’esatta quantificazione del danno futuro posta dai giudici di primo grado a fondamento del ricorso alla liquidazione equitativa.

36. Con il motivo ventitre viene denunziata motivazione insufficiente su un punto decisivo della controversia costituito dall’aspettativa di vita della ricorrente, valutato dalla Corte di appello in un periodo di altri 35 anni a partire dalla data della sentenza di primo grado, senza tenere conto che dalla c.t.u. in primo grado e dalle consulenze di parte doveva ritenersi un aspettativa di vita residua di almeno 43 anni. La Corte di merito avrebbe dovuto disporre una consulenza per acquisire elementi tecnico scientifici atti a determinare con esattezza l’effettiva aspettativa di vita della ricorrente.

37. Il motivo è inammissibile.

Le riportate censure evidenziano, che, al di là del vizio motivazionale denunciato, in realtà la ricorrente pretenderebbe un ulteriore accertamento e valutazione di fatti che competono al giudice di merito, non consentita in sede di legittimità se la motivazione adottata è esente da vizi logici o giuridici.

La corte di appello ha evidenziato i motivi per cui si discostava dalla consulenza di ufficio svolta in primo grado, sul rilevo che il consulente aveva fatto un generico riferimento ad un solo studio sulla aspettativa di vita delle persone affette da paraplegia e che lo studio allegato all’atto di appello si limitava a dare conto solo di un progressivo allungamento della speranza di vita elencando una pluralità di variabili suscettibili di incidere in termini significativi sulla predetta valutazione.

In tale quadro di oggettiva incertezza,la Corte di merito considerati i presumibili futuri sviluppi scientifici ed i progressi delle tecniche di assistenza del malato, ha ritenuto di determinare un periodo di vita di 35 anni a partire dalla data della sentenza di primo grado 38.La ricorrente,senza segnalare nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, alcuna obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto alla formazione del proprio convincimento, formula una generica doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte dei giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n, 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso" operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/04/2006, n. 8932) chiedendo a tal fine una c.t.u. volta ad accertare "l’esatta durata" dell’aspettativa di vita della ricorrente, senza tener conto che l’accertamento della durata della vita di una persona è necessariamente accertamento di un dato presuntivo.

39. Con il motivo ventiquattro viene dedotta violazione degli artt. 81 e 100 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. per aver la Corte di Appello escluso la legittimazione attiva della V. per il rimborso delle spese mediche già sostenute Riconoscendola in capo ai genitori.

40. Il Motivo è infondato.

La Corte di appello ha disatteso la richiesta di rimborso delle spese mediche sostenute dai i genitori per la figlia sul rilievo essi soli erano legittimati a tale domanda, come risulta dalla documentazione prodotta.

La V. non ha diritto a spese da lei non sostenute essendo titolari del diritto al rimborso i suoi genitori.

41. Con il motivo venticinque viene denunziata motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto decisivo in quanto la Corte di appello ha dichiarato inammissibile,in quanto nuova,la censura della ricorrente inerente al mancato riconoscimento della perdita della possibilità di produrre reddito,senza tenere conto dell’atto di precisazione delle conclusioni in primo grado la ricorrente aveva testualmente richiesto tale tipo di danno.

42. I Motivo è inammissibile in quanto il vizio è stato denunziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anzichè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c..

Ci si riporta alla motivazione di cui al punto 33. 43. Con il motivo ventisei si denunzia omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle spese per fisioterapia.

44. Il motivo è inammissibile perchè privo del necessario momento di sintesi.

45. Con il motivo ventisette si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1223, 1282, 2909 e dell’art. 324 c.p.c., per aver la Corte di AppellO/pur liquidando un danno di entità maggiore rispetto a quello liquidato dal Tribunale, mantenuto invariata l’entità della attualizzazione della somma per rivalutazione ed interessi in Euro 1.526.004,10. Il quesito di diritto è il seguente: affermi la Corte adita, con riferimento al caso di specie, che: in caso di passaggio in giudicato della statuizione di 1^ grado in ordine alla liquidazione di interessi e rivalutazione sul danno aquiliano, il Giudice dell’appello che accerti un danno di entità maggiore è tenuto ad applicare lo stesso criterio di liquidazione di interessi e rivalutazione sull’intero importo riconosciuto.

46. Il motivo è infondato.

Il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi e la svalutazione non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio de danneggiato, qual’era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria.

Il giudicato non può formarsi su una modalità di tecnica liquidatoria.

Ne consegue che, impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorìo e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore, restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi, Sez. U, Sentenza n. 8520 del 05/04/2007. 47. Con il motivo ventotto si denunzia motivazione illogica e contraddittoria su un punto decisivo per aver la Corte di merito lasciata invariata l’importo di Euro 1.526,004 sul rilievo che la maggior parte del risarcimento riguarda spese non ancora sostenute.

Il motivo è inammissibile perchè privo del momento di sintesi.
P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi; rigetta il ricorso incidentale e accoglie in parte il ricorso principale; cassa in relazione alla parte accolta la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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