Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 21-04-2011, n. 15832

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 7 giugno 2010, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa il 22 luglio 2009 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, ha assolto L.I. dal reato di cui al capo 48) perchè commesso da persona non punibile a norma dell’art. 649 c.p., comma 1, n. 2; ha assolto L.O. dal reato di cui al capo 6), limitatamente alla ricettazione delle targhe (OMISSIS), perchè il fatto non costituisce reato, e dal reato di cui al capo 23), perchè il fatto non sussiste; ha assolto P.D. dal reato di cui al capo 27), limitatamente alla ricettazione delle macchinette video giochi provento di furti diversi da quello commesso il (OMISSIS), perchè il fatto non sussiste; ha rideterminato la pena inflitta a L.I. in anni quattro, mesi otto e giorni venti di reclusione ed Euro 2.933 di multa; ha rideterminato la pena inflitta a L.O. in anni tre e mesi dieci di reclusione ed Euro 2.100 di multa; ha rideterminato la pena inflitta a P. D., riconosciuta quanto al residuo reato di cui al capo 27) la circostanza attenuante di cui all’art. 648 cpv. c.p., in mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 200 di multa; ha ridotto la pena inflitta a DI.Ad. in anni sei, mesi due e giorni dieci di reclusione ed Euro 3.000 di multa; ha ridotto la pena inflitta a PI.Si. in anni sei di reclusine ed Euro 3.000 di multa;

ha ridotto la pena inflitta a R.S. in anni sei e giorni dieci di reclusione ed Euro 3.000 di multa; ha ridotto la pena inflitta a M.B. in anni tre, mesi otto e giorni venti di reclusione ed Euro 2.066 di multa; ha ridotto la pena inflitta a L.V. in anni due e mesi otto di reclusione; ha ridotto al pena inflitta a LI.Fr. in anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 800 di multa; ha confermato la condanna inflitta a D.M. ad anni sette e mesi uno di reclusione ed Euro 4.000 di multa; ha confermato la condanna inflitta a D.G. ad anni uno, mesi undici e giorni dieci di reclusione ed Euro 900 di multa; ha confermato, infine, la condanna inflitta a L.L. ad anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 900 di multa.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati suddetti. Nel ricorso proposto nell’interesse di L.I. si lamenta, nel primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al reato associativo. Si osserva che, nella specie, gli imputati si accordavano in modo del tutto occasionale per la commissione dei vari reati, sulla base di rapporti di tipo eminentemente familiare. Si deducono, poi, gli analoghi vizi anche in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio. Per L.L. si lamenta violazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, osservandosi che l’imputata aveva fornito prova della legittima provenienza di una parte delle somme sottoposte a confisca.

Le identiche doglianze sono espresse anche nel ricorso presentato personalmente dalla imputata, la quale pure nega la sussistenza della fattispecie associativa. Nel ricorso proposto nell’interesse del DI. si lamenta che la Corte territoriale non abbia accolto la richiesta di esclusione della recidiva aggravata ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4, con la conseguente applicazione dette attenuanti generiche con criterio di prevalenza.

Nel ricorso proposto nell’interesse del R. si contesta la sussistenza del reato di cui all’art. 416 c.p. trattandosi di condotte delittuose estemporanee e connotate dal vincolo familiare tra i protagonisti dei fatti. Si rinnovano, poi, le doglianze già espresse in appello in ordine alla mancata derubricazione del reato di ricettazione di cui al capo 75) in furto e si lamenta la eccessività del trattamento sanzionatorio, che non terrebbe conto della effettiva gravità dei fatti e del buon comportamento processuale serbato dall’imputato. Viene poi dedotto vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche con criterio di prevalenza e ci si duole del provvedimento di confisca, in quanto l’imputato ha dichiarato di svolgere attività di giostraio e di raccoglitore di materiale ferroso.

Doglianze in punto di pena e di mancata concessione delle generiche con criterio di prevalenza sono formulate anche in altro atto di ricorso rassegnato nell’interesse dello stesso imputato. Con unico ricorso viene poi dedotto, per D.G., la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p.; per D.M. la violazione dell’art. 192 c.p.p., in riferimento alla chiamata in correità del R., e violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla contestazione associativa, della quale non sussisterebbero i presupposti; per L.L., infine, si formulano doglianze in ordine alla confisca, tenuto conto che la medesima avrebbe fornito prova della legittima provenienza delle sue disponibilità economiche. Nell’interesse di PI.Si. vengono rassegnati motivi di ricorso del tutto analoghi a quelli proposti per R.S. e dei quali si è detto. L. V. denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al reato di cui all’art. 416 c.p. con motivi identici a quelli che compaiono nel ricorso presentato personalmente da L. L..

Nel ricorso proposto nell’interesse di P.D. si lamenta la affermazione di responsabilità in ordine al delitto di ricettazione, malgrado il proscioglimento per la ricettazione di altre macchinette per video giochi, essendo risultata carente la motivazione offerta dai giudici a quibus in ordine all’elemento soggettivo del contestato reato, non potendo a ciò bastare la mancata giustificazione da parte dell’imputato circa la provenienza dell’apparecchio. Si lamenta, poi, vizio di motivazione in ordine all’addebito di furto di cui al capo 91), riproponendosi al riguardo le doglianze già rassegnate in appello; si lamenta, inoltre, la mancata acquisizione della documentazione relativa alla cellula telefonica di aggancio della utenza dell’imputato in relazione ad una telefonata effettuata con il L.I., che avrebbe dimostrato la distanza chilometrica in cui l’imputato si trovava al momento dei fatti. Si deduce, infine, la eccessività della pena, avuto riguardo ai parametri oggetti vi e soggettivi di commisurazione.

Per L.O., rinnovando censure già dedotte in appello, si sottolinea la insussistenza del delitto di incendio di cui al capo 23) e la mancanza di presupposti per ritenete configurabile il delitto associativo, tanto sul piano oggettivo che su quello dell’elemento soggettivo. Si deduce, poi, carenza di motivazione in ordine ai criteri di computo della pena effettuati dalla Corte territoriale, non comprendendosi quale sia il principio di diritto applicato (se il reato più grave in astratto o quello ritenuto dal giudice in sentenza). Gli aumenti per la continuazione sarebbero stati poi determinati con semplice formula di stile. Si lamenta, infine, il mantenimento del provvedimento di confisca, non essendovi prova alcuna della provenienza illecita delle somme confiscate.

Per M.B. si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’addebito di incendio contestato al capo 103), in quanto, come evidenziato alla stregua delle intercettazioni – illustrate con memorie alla Corte territoriale, e che vengono allegate in copia – l’imputato si trovava assente per tutta la fase esecutiva, e non poteva, pertanto, aver svolto la funzione di "palo" per l’operazione, evidenziandosi, poi, le incongruenze in punto di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici del merito. Si lamenta, poi, che i giudici dell’appello avrebbero applicato una pena base per il reato individuato in concreto come più grave in misura inferiore a quella prevista per ogni altro reato satellite. Infatti, i giudici dell’appello avrebbero dovuto irrogare la pena minima prevista per il delitto di ricettazione, ossia anni due di reclusione, e non quella per il reato concorrente di incendio pari ad anni tre.

Sono stati poi presentati motivi nuovi per L.L. e L.I., nei quali si è ribadita, quanto alla prima, la insussistenza del delitto associativo nonchè l’erronea affermazione di responsabilità in ordine al reato di ricettazione di cui al capo 112), e, quanto al secondo imputato, la eccessività del trattamento sanzionatorio.

I ricorsi degli imputati sono tutti palesemente inammissibili. A proposito del reato associativo di cui al capo 134), le doglianze proposte dagli associati facenti parte del gruppo dei L. sono prive di giuridica consistenza, in quanto del tutto assertive sul versante della non riconducibilità dei numerosi reati fine al sodalizio, ma ad una ipotetica diuturnitas nel crimine da parte degli imputati; oltre a ciò, le proposizioni degli odierni ricorrenti finiscono per risultare, nella sostanza, sterilmente reiterative di assunti già prospettati ai giudici dell’appello e da questi motivatamente disattesi, in forza di un percorso argomentativo che è risultato in concreto pretermesso nella critica impugnatoria che ha connotato vari ricorsi. Se da un lato, infatti, i vincoli di carattere parentale non possono di per sè soli integrare elemento sufficiente a connotare la sussistenza di un vincolo di stabile sodalità nel crimine, e pur tuttavia elemento non eterodosso a quei fini ove, come nella specie, l’intera gamma delle circostanze a tal fine indizianti convergano nel trasformare l’affectio tra i partecipi dal semplice legame di parentela a quello tipico della societas scelerum. Di ciò, nella sentenza impugnata, v’è traccia corposa e, a ben guardare, neppure seriamente contestata dai ricorrenti, specie laddove si evidenzia, in antitesi alla tesi della semplice "continuazione nel crimine", la impressionante sequenza èti reati fine, tutti connotati da modalità esecutive standardizzate e da una preparazione attenta e meticolosa; la ripartizione dei ruoli – non certo estemporanea, ma ben sedimentata alla luce della esperienza maturata – la disponibilità dei mezzi necessari per le varie operazioni delittuose; la scelta di elementi esterni di cui avvalersi; la disponibilità di una base logistica nonchè la perfetta consapevolezza di agire all’interno e "per" un gruppo criminale ben delineato, alla cui esistenza ed al cui sviluppo – come emerge anche dalle intercettazioni – ciascuno volutamente e secondo le proprie "attribuzioni" apportava un fattivo e concreto contributo.

In tale cornice, l’assunto dei giudici a quibus si rivela del tutto satisfattivo e idoneo a contrastare le censure, non dissimili fra loro, che si erano prospettate in sede di appello e che ora i ricorrenti, con sostanziale identità di toni, pedissequamente ripropongono. Per L.L., a proposito dei vari atti di impugnazione che la riguardano, va solo aggiunto che le doglianze proposte in ordine alla confisca D.L. n 306 del 1992, ex art. 12- quinquies, si rivelano del tutto inconsistenti, in quanto la sentenza di merito ha puntualmente sottolineato la sproporzione tra le disponibilità accertate e quelle di cui la medesima legittimamente poteva essere titolare, in particolare ponendo in luce il fatto che gli eventuali reimpieghi di somme restavano prive di adeguato supporto giustificativo quanto alla liceità della relativa provvista. E tanto basta a legittimare il provvedimento ablatorio, non essendo a tal fine necessaria la individuazione di uno specifico collegamento tra le attività oggetto del provvedimento ed i fatti reato presi in considerazione agli effetti della applicazione dell’istituto in parola. Le questioni poi agitate nei motivi nuovi a proposito della ritenuta responsabilità della imputata nel delitto di ricettazione di cui al capo 112), oltre che palesemente destituite di fondamento, alla luce dei puntuali rilievi svolti a tal proposito dai giudici di merito, sono inammissibili, in quanto non dedotte in alcun modo negli originari e plurimi motivi di ricorso. Anche le doglianze che i ricorrenti del gruppo dei L. formulano a proposito del trattamento sanzionatorio si rivelano da un lato prive del carattere della specificità, dall’altro contestative, peraltro solo sul piano labiale, della puntuale disamina svolta al riguardo dai giudici dell’appello, attenti a dedicare a ciascuna posizione il dovuto rialto ai fini della commisurazione della pena, per di più ridotta – rispetto al trattamento applicato in primo grado – nei confronti idi una larghissima parte dei ricorrenti, alla luce di un puntuale, motivato e, perciò stesso, insindacabile apprezzamento. Lo stesso è a dirsi, in linea generale, per le questioni genericamente proposte dai ricorrenti investiti dal provvedimento di confisca, posto che le stesse deduzioni dei ricorrenti, peraltro del tutto generiche, non coinvolgono affatto la motivazione in punto di sproporzione tra disponibilità legittime e attività confiscate.

Del pari inammissibili sono i motivi di ricorso riguardanti gli associati di cui al capo 135), giacchè anche per essi valgono le stesse considerazioni dianzi svolte, alla luce dell’ampia e puntuale motivazione offerta, anche a proposito di tale sodalizio, da parte della sentenza impugnata, che si diffonde nel porre in luce, pure con riferimento a tale "segmento" associativo, l’elevatissimo numero di reati fine; la standardizzazione delle modalità operative; la ripartizione dei ruoli; la disponibilità, anche in questo caso, di mezzi e di una base logistica, nonchè la indiscutibile stabilità nel vincolo fra gli associati, anch’essa ben sedimentata nel corso del non certo breve periodo in cui la "banda" ebbe ad operare nello specifico settore in cui si era ormai specializzata.

Tutte le doglianze proposte in punto di trattamento sanzionatorio sono poi inammissibili, in quanto, oltre che assumere connotazioni di marcata genericità, si limitano a proporre rilievi di merito, inconferenti in questa sede. Ciò, in particolare, con riferimento alle censure prospettate al riguardo nei ricorsi del DI., del R. – che ripropone anche, inammissibilmente, la questione relativa alla mancata derubricazione in furto della ricettazione di cui al capo 75), puntualmente e motivatamente respinta dai giudici del merito – e del PI.. Quanto, poi, all’assunto del D.M., secondo cui non sarebbero stati offerti elementi di riscontro alle dichiarazioni accusatorie del R., l’affermazione si rivela priva di consistenza, considerato che le circostanze prospettate dai giudici del merito per avallare ab extrinseco ed in forma individualizzata le dichiarazioni suddette, si rivelano incontestabili, tanto nel relativo spessore dimostrativo che nella convergenza dei criteri applicati con la giurisprudenza, ormai da tempo consolidata, di questa Corte, sulla specifica tematica dei riscontri.

Tutte le censure proposte da P.D. si risolvono nella fedele riproposizione delle identiche tematiche agitate in appello, senza alcun rilievo specifico alle motivazioni offerte dai giudici del grado, tanto sulla ricettazione della macchinetta per video giochi e sulla sussistenza del relativo elemento psicologico, che in merito alla congruità degli elementi di responsabilità per il delitto di furto di cui al capo 91), tenuto conto del ruolo partecipativo ascritto all’imputato. D’altra parte, le doglianze inerenti pretese carenze investigative, si rivelano inconferenti, posto che la acquisizione dei dati evocati ben poteva essere compiuta dallo stesso imputato. Le censure in punto di pena sono, infine, inammissibili, perchè non riferite a veri vizi deducibili in sede di legittimità, e proposte in termini generici.

Quanto al ricorso del M., le censure relative alla sussistenza ed alla ritenuta responsabilità in ordine la delitto di incendio sono palesemente prive di consistenza, in quanto, sia per ciò che concerne la correttezza della qualificazione giuridica dei fatti – alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte in ordine alle caratteristiche che la combustione deve presentare per integrare il delitto di incendio – sia per ciò che concerne il contributo prestato dall’imputato nella realizzazione del fatto, la sentenza impugnata propone una lettura adeguata e coerente del compendio probatorio, senza incorrere in aporie significative e tali da generare i vizi che, al contrario, il ricorrente addita, per di più secondo una prospettiva censoria fortemente orientata verso una non consentita rivalutazione dei fatti.

Del tutto inconsistente si rivela, infine, il motivo di ricorso proposto da L.O. e da M.B. in ordine ai criteri di applicazione della disciplina del reato continuato, posto che concretamente i giudici del merito hanno fatto corretta applicazione del principio per il quale la pena determinata dal giudice in caso di continuazione di reati, una volta individuato il reato più grave, non può mai essere inferiore a quella che sarebbe irrogabile per il reato o i reati satelliti che siano sanzionati con pena edittale maggiore nel minimo (ex plurimis, Cass., Sez. 3, 28 gennaio 2010, p.g. in proc. Del Prete), giacchè, ove così non fosse, si determinerebbe un trattamento contro ius, posto che verrebbe ad essere applicata una pena maggiore ove il reato punito più gravemente nel minimo stesso fosse stato commesso "isolatamente", rispetto alla ipotesi – più grave – in cui quel reato fosse attratto nel cumulo giuridico con altri reati.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di ciascuno, inoltre, al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro mille, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di Euro mille.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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