T.A.R. Lazio L’Aquila Sez. II quater, Sent., 19-04-2011, n. 3434 Occupazione abusiva o illegittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Gli odierni ricorrenti sono proprietari di un fondo sito nel Comune di Labico.

Con decreto n. 3853 del 23 luglio 1999, il responsabile dell’Ufficio tecnico Comunale, ha autorizzato il Consorzio Colle Spina ad occupare in via temporanea e d’urgenza le aree suddette per un periodo di cinque anni.

L’occupazione veniva eseguita in data 27 settembre 1999.

A tutt’oggi i ricorrenti lamentano l’assenza di un formale atto di esproprio e chiedono la condanna del Comune e del Consorzio alla restituzione del bene ovvero al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima da commisurarsi al valore venale del bene, oltre interessi.

Si è sostituito il Consorzio deducendo, in via preliminare la estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva e, nel merito, la infondatezza del ricorso.

All’udienza del 10 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione
Motivi della decisione

Preliminarmente deve osservarsi che anche a seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale 8 ottobre 2010 n. 293 – che ha dichiarato la illegittimità dell’art. 43 D.P.R. n. 327/2001 – rimane ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1, lett. f), C.p.a.) in ipotesi di comportamento della Amministrazione riconducibile all’esercizio del pubblico potere che, come nella fattispecie in esame, si è manifestato per il tramite della dichiarazione di pubblica utilità della quale non risulta dimostrata la perdita d’efficacia.

Ancora in via preliminare deve essere affrontata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Consorzio Colle Spina.

L’eccezione è infondata.

Giova, all’uopo, osservare come ai fini della individuazione del soggetto obbligato alla restituzione del bene ed al risarcimento del danno derivante da illegittima occupazione, la delega al compimento delle operazioni espropriative delle aree ai fini della realizzazione delle opere di urbanizzazione – svolgendosi la procedura non solo in nome e per conto, ma anche d’intesa con il delegante – non priva entrambi i soggetti della legittimazione passiva.

Da un lato, infatti, il Comune, è pur sempre tenuto a promuovere correttamente la procedura ablatoria, rimanendo titolare dei poteri di controllo e di stimolo dell’attività del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio vale a rendere il delegante corresponsabile dell’illecito (il fatto stesso della tempestiva mancata emissione del decreto di esproprio nel termine di durata dell’occupazione legittima è sufficiente a far presumere, in assenza di contrarie risultanze processuali, il mancato esercizio di tali poteri; cfr, tra le più recenti, Cassazione, Sez. I, 2 luglio 2007, n. 14959; Cass. Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21096); dall’altro, quanto al Consorzio, la sola deviazione dal modello procedimentale tipico che si riscontra nella illegittima occupazione del bene, rende manifesta la imputabilità del comportamento procedimentale dell’espropriante che realizza l’opera pubblica pur senza essere munito di un titolo idoneo (decreto ablativo, contratto di cessione) a consentire la radicale ed irreversibile trasformazione del fondo privato (Cass., Sez. I, 17 maggio 2005, n. 10354).

Nel merito il ricorso è fondato nei sensi di cui alla motivazione.

Rileva il Collegio come in nessun caso – neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica – è possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presuppone in ogni caso l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata; esito, questo non consentito dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. CalabriaCatanzaro, Sez. I, 1 luglio 2010, n. 1418).

Da qui la necessità di un passaggio intermedio, finalizzato all’acquisto della proprietà del bene da parte dell’ente espropriante (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830; T.A.R. CampaniaNapoli, Sez. V, 5 giugno 2009, n. 3124).

Tale passaggio, tuttavia, allo stato della legislazione vigente, non può più identificarsi nel rimedio "extra ordinem" dell’acquisizione sanante ex art. 43 T.U. sulle espropriazioni, del quale la sentenza della Corte costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, ma esclusivamente negli ordinari strumenti civilistici di acquisto immobiliare ovvero nell’istituto amministrativo dell’accordo, disciplinato dall’art. 11 della legge n. 241/1990 o nella speciale figura della cessione volontaria, di cui all’art. 45 dello stesso T.U. n. 327/2001.

Diversamente, in caso di mancato acquisto dell’area da parte dell’ente pubblico, si è in presenza di un’occupazione senza titolo, ossia di un illecito permanente, che consente in ogni momento al privato di chiedere, anche in via giudiziale, la restituzione del fondo e la riduzione in pristino di quanto ivi realizzato, salva la preclusione sostanziale di cui all’art. 936, comma 4 e 5, c.c., in materia di rimozione di opere eseguite dal terzo sul terreno altrui.

Tanto esposto, va precisato che parte ricorrente ha chiesto in via principale la condanna delle parti resistenti alla restituzione del bene – senza rimozione delle opere – ovvero, in via subordinata, alla corresponsione di una somma di denaro commisurata al valore venale del bene, oltre interessi, come risarcimento del danno per l’occupazione illegittima.

Il principio dell’occupazione acquisitiva, per effetto della realizzazione di un’opera pubblica sul terreno occupato, è stato riconsiderato dal Consiglio di Stato con le sentenze A.P., 29.4.2005 n. 2 e sez. IV, 21.5.2007 n. 2582, che il Collegio condivide, nella quale ultima è stato ribadito che tale modalità di acquisto della proprietà "non è conforme ai principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, che hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, poiché:

– per l’art. 117, primo comma, della Costituzione, le leggi devono rispettare i "vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario";

– per l’art. 6 (F) del Trattato di Maastricht (modificato dal Trattato di Amsterdam), "l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,… in quanto principi generali del diritto comunitario";

– per la pacifica giurisprudenza della CEDU (che ha più volte riaffermato i principi enunciati dalla Sez. II, 30 maggio 2000, ric. 31524/96, già segnalata in data 29 marzo 2001 dall’Adunanza Generale deli questo Consiglio, con la relazione illustrativa del testo unico poi approvato con il d.P.R. n. 327 del 2001), si è posta in diretto contrasto con l’art. 1, prot. 1, della Convenzione la prassi interna sulla "espropriazione indiretta’, secondo cui l’Amministrazione diventerebbe proprietaria del bene, in assenza di un atto ablatorio (cfr. CEDU, Sez. IV, 17 maggio 2005; Sez. IV, 15 novembre 2005, ric. 56578/00; Sez. IV, 20 aprile 2006).

Nella sentenza si afferma anche che "dalla Convenzione europea e dal diritto comunitario già emerge il principio che preclude di ravvisare una "espropriazione indirettà o "sostanziale’, pur in assenza di un idoneo titolo, previsto dalla legge."

Emerge, dunque, il principio per il quale l’occupazione sine titulo, costituisce un illecito che obbliga il responsabile a restituire il suolo ed a risarcire il danno cagionato.

L’occupazione senza titolo di un terreno di un privato rappresenta un illecito permanente, da cui non può, quindi, conseguire il passaggio della proprietà in capo all’ente pubblico e conseguentemente non può decorrere il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

La domanda di restituzione delle aree occupate va pertanto accolta, ma le parti resistenti potranno ancora diventare proprietarie dell’area occupata, così evitando di dover restituire gli immobili utilizzati per la realizzazione di un’opera pubblica, per il tramite di una convenzione con il soggetto privato.

Al riguardo, ritiene il Collegio di dover fissare i seguenti principi:

a) entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla comunicazione o dalla previa notifica della presente decisione), le parti resistenti ed i ricorrenti possono addivenire ad un accordo, in base al quale la proprietà è trasferita alle stesse ed ai ricorrenti è corrisposta la somma specificamente individuata nell’accordo stesso;

b) ove tale accordo non sia raggiunto entro il termine, le parti resistenti – entro i successivi trenta giorni o nel maggiore termine concesso dalla parte ricorrente – dovranno emettere un atto unilaterale d’obbligo a restituire il bene al legittimo proprietario, previo pagamento – a scelta del proprietario – del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera ovvero dell’aumento di valore recato dal fondo ( art. 936, comma 2, c.c.), nonché a corrispondere, nello stesso termine, una somma di denaro pari all’entità del danno per il mancato utilizzo per l’intero periodo di occupazione illegittima, attualizzato anno per anno con l’indice I.S.T.A.T. e maggiorato degli interessi legali.

La determinazione del valore venale del terreno ovvero del danno da mancata fruizione dovrà avvenire d’intesa tra le parti, secondo i criteri appresso indicati:

aa) corrispettivo della cessione: dovrà aversi riguardo al valore di mercato dell’immobile non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo più individuarsi in tale data, una volta venuto meno l’istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell’Amministrazione), e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo (non potendo ravvisarsi in tale atto un effetto abdicativo), bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l’effetto traslativo de quo;

bb) corrispettivo relativo alla ritenzione del bene: valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera ovvero dell’aumento di valore recato dal fondo ( art. 936, comma 2, c.c.);

cc) corrispettivo della illegittima occupazione (a far data dalla scadenza del decreto di occupazione legittima e fino alla data dell’atto con il quale, nei sensi sopra precisati, si realizzerà l’effetto traslativo della proprietà in favore degli espropriati): i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale "capitale" di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso e fino alla data di deposito della presente sentenza.

Qualora le parti non concludano alcun accordo e nemmeno venga adottato un formale atto volto alla restituzione o alla acquisizione dell’area in questione, decorsi i termini prima indicati, i ricorrenti potranno chiedere alla Sezione l’esecuzione della presente decisione, per l’adozione delle misure consequenziali (ivi comprese la nomina di un Commissario ad acta e la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti per le valutazioni di competenza in ordine al danno derivante dal comportamento delle parti resistenti oltre all’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione).

Tenuto conto della novità delle questioni al riguardo esaminate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

Pone definitivamente a carico delle parti resistenti, in solido tra loro, le spese della esperita CTU che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 oltre IVA
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso nei sensi di cui alla motivazione.

Spese compensate.

Pone definitivamente a carico delle parti resistenti, in solido tra loro, le spese della esperita CTU che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 oltre IVA

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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