Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 21-04-2011, n. 15831

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 25.5.10 la Corte d’Appello di Venezia confermava la condanna emessa il 29.1.09 dal Tribunale di Rovigo sezione distaccata di Adria, nei confronti di P.D. e Pa.Ma. per il delitto di concorso in tentata estorsione.

Questi, in sintesi, i fatti come ricostruiti in sede di merito: il P. e il Pa. avevano estorto a M.L. e G.C. la promessa del pagamento di Euro 2.500,00 per rinunciare a partecipare all’asta della casa di abitazione delle persone offese, che in tal modo avrebbero potuto di fatto riacquistarla tramite terzi. Di qui la condanna degli imputati per il delitto di tentata estorsione, con conseguente loro condanna anche al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, equitativamente liquidati dal primo giudice in Euro 2000,00.

Con separati atti ricorrevano il P. (tramite il proprio difensore) e il Pa. (personalmente) contro detta sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per violazione od inosservanza di legge od erronea qualificazione giuridica del fatto, lamentando che, nonostante il giudicato cautelare formatosi a seguito del rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare deciso dal GIP e dal Tribunale del riesame (che avevano ritenuto insufficienti le uniche fonti di prova, vale a dire le non disinteressate e poco attendibili dichiarazioni accusatorie provenienti dalle persone offese), il GUP aveva disposto il rinvio a giudizio dei ricorrenti, quantunque la nuova formulazione degli artt. 421, 422 e 425 c.p.p. apportata dalla L. n. 479 del 1999 e l’inserimento dell’art. 421 bis c.p.p. imponessero, per evitate pronunce giurisdizionali contrastanti, di emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di una futura qualificata probabilità di colpevolezza. Al contrario, ciano semmai le parti offese ad aver commesso il reato di cui all’art. 353 c.p., avendo il G. tutto l’interesse a proporre ai ricorrenti di rinunciare all’aita dietro versamento del corrispettivo di Euro 2.500,00.

Il Pa. deduceva, altresì, l’avvenuta prescrizione del reato.

1- Il motivo di ricorso con il quale si lamenta l’illegittimità del rinvio a giudizio degli odierni ricorrenti alla luce del giudicato cautelare formatosi a seguito del rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare deciso dal GIP e dal Tribunale del riesame (che avevano ritenuto insufficienti le uniche fonti di prova, vale a dire le dichiarazioni accusatorie provenienti dalle persone offese), è manifestamente infondato.

Invero, il c.d. giudicato cautelare non produce effetti ulteriori a quelli interni al relativo procedimento incidentale, esaurendo il proprio ambito con la pronuncia sulla misura cautelare: l’unica eccezione a siffatto principio, stabilita dall’art. 405 c.p.p., comma 1 bis (inserito dalla L. n. 46 del 2006, art. 3), è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza 28.1.09 n. 121 della Corte cost. proprio perchè rovesciava il rapporto fisiologico tra procedimento cautelare e processo, irragionevolmente ledendo il principio di impermeabilità del secondo rispetto agli esiti del primo.

Dunque, il GUP e i giudici della cognizione (di primo e secondo grado) non sono vincolati al rispetto del c.d. giudicato cautelare, nè in questa sede possono surrettiziamente tarsi valere censure contro un provvedimento inoppugnabile (stante il principio di tassatività delle impugnazioni ex art. 568 c.p.p., comma 1) quale è il decreto di ed all’art. 420 c.p.p., atto di mero impulso processuale volto ad instaurare la competenza del giudice del dibattimento a conoscere delle imputazioni e di tutte le questioni connessevi (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 2, n. 40408 dell’8.10.08, dep. 29.10.08).

Per tali ragioni non è conferente la pronuncia delle S.U. di questa S.C. (n. 11/1995) menzionata nei ricorsi, che concerne la nozione di gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’art. 273 c.p.p., così come estranea alla materia in oggetto è la sentenza n. 71/96 della Corte Cost. (anche essa invocata dai ricorrenti), relativa, alla differente questione della possibilità per i giudici del cautelare di valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ove sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio, ma non ancora la sentenza all’esito del dibattimento.

Per il resto, le doglianze svolte dai ricorrenti attengono alla valutazione operata in punto di fatto in ordino all’attendibilità delle persone offese, su cui i giudici del merito hanno reso motivazione esauriente e logica, in quanto tale non censurabile in questa sede.

2- In ordine alla qualificazione giuridica del fatto, si premetta, che, per giurisprudenza largamente maggioritaria di questa S.C., i delitti di estorsione e di turbata libertà degli incanti possono concorrere formalmente, in quanto il primo si connota per la coartazione dell’altrui volontà con lo specifico fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, mentre il secondo si caratterizza per il dolo generico, per la coscienza e volontà di impedire, turbare la gara o allontanare gli offerenti, nonchè per essere reato di pericolo che si consuma al momento in cui la gara è impedita o turbata, senza che occorra la produzione di un danno o il conseguimento di un profitto (cfr. Cass. Sez. 2 n. 13505 del 13.3.08, dep. 31.3.08, Cass. Sez. 2 n. 12266 del 27.2.08, dep. 19.3.08; Cass. Sez. 2 n. 4925 del 26.1.06. dep. 8.2.06;

Cass. Sez. 2 n. 46884 del 4.11.04, dep. 2.12.04; Cass. Sez. 2 n. 45625 del 25.9.03, dep. 25.11.03; Cass. Sez. 2 n. 3797 del 30.11.89, dep. 16.3.90; contra, Cass. Sez. 6 n. 19607 del 3.3.04, dep. 28.4.04).

Pertanto, ai presenti fini poco importa che nel caso di specie fosse o meno configurabile, riguardo a tutti i protagonisti della vicenda, il reato p. e p. ex art. 353 c.p., poichè resta comunque integrato, a carico degli odierni ricorrenti, anche il delitto di tentata estorsione, visto che il male minacciato era comunque ingiusto per il mezzo adoperato, ad onta del divieto per il G. medesimo, sancito dall’art. 579 c.p.c., comma 1, di partecipare all’incanto, anche per interposta persona (cfr. Cass. civ., Sez. 3, 16.5.07 n. 11258).

Infatti, se è vero che la minaccia non è penalmente apprezzabile quando è legittima e tende a realizzare un diritto riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico, nondimeno essa diviene contra ius quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato (nella specie, impedire la partecipazione all’incanto da parte del debitore esecutato o di suoi incaricati), lo sia il mezzo, perchè rivolto alla realizzazione di uno scopo diverso da quello per cui è apprestato dalla legge. Ne consegue che, in tema di estorsione, la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere d’ingiustizia quando sia fatta non già con l’intento di esercitare un diritto, ma col proposito di coartare la volontà di altri e di soddisfare scopi personali non conformi a giustizia.

In breve, l’ingiustizia del proposito rende necessariamente ingiusta la minaccia di danno rivolta alla vittima e il male minacciato, giusto obiettivamente, diventa ingiusto per il fine cui è diretto (in proposto la giurisprudenza di questa S.C. è antica e costante:

cfr. Cass. Sez. 2 n. 877 del 17.10.73, dep. 31.1.74; Cass Sez. 2 n. 7731 del 23.3.82, dep. 13.8.82, e altre ancora).

3- Contrariamente a quanto dedotto dal Pa., il reato di tentata estorsione in discorso, che risale all’8.4.02, ad oggi non risulta estinto per prescrizione grazie alle relative sospensioni verificatesi nel corso del processo, che ammontano a più di un anno e sette mesi.

4- In conclusione, i ricorsi sono da rigettarsi perchè infondati.

Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore delle porti civili M.L. e G.C. delle spese sostenute nel presente grado, liquidate in Euro 2,000,00 oltre spese generali IVA e CPA. Da ultimo, è appena il caso di notare che in questa sede non si può procedere alla liquidazione del danno chiesta con le conclusioni scritte depositate all’odierna udienza dalla difesa di parte civile, danno già liquidato in primo grado senza che il relativo capo sia stato oggetto di impugnazione.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore delle parti civili M. L. e G.C. delle spese sostenute nel presente grado liquidate in Euro 2.000,00 oltre sposo generali IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 8 aprile 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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