Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 21-04-2011, n. 15830 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 19.5.10 la Corte d’Appello di Trieste confermava la condanna emessa il 12.3.08 dal Tribunale di Udine nei confronti di H.J. per i reati p. e p. ex artt. 474 e 648 c.p., nonchè D.Lgs. 27 settembre 1991, n. 313, artt. 4 e 11, aventi ad oggetto cinture recanti il marchio D&G contraffatto e giocattoli privi del marchio CE. Tramite il proprio difensore H.J. ricorreva contro detta sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:

a) erroneo rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa, atteso che la merce era stata ritinta a (OMISSIS) dal marito e dal cognato dell’imputata per suo conto, di guisa che si sarebbe dovuta dichiarare l’incompetenza territoriale del Tribunale di Udine, per essere invece competente quello di Firenze;

b) omessa motivazione circa la mancata produzione in giudizio dei marchi originali e la ritenuta superfluità di una perizia intesa ad accertare la contraffazione e la registrazione dei marchi in oggetto;

c) omessa verifica della grossolanità del falso, tale da escludere il reato di cui all’art. 474 c.p.; d) erroneità del ritenuto concorso dei reati di cui agli artt. 648 e 474 c.p., norme fra loro in rapporto di specialità.

Nelle more, il difensore della ricorrente depositava memoria in cui insisteva per l’annullamento dell’impugnata sentenza e, in particolare, nel primo motivo di ricorso, invocando – ove non si fosse riconosciuto rilievo probatorio determinante alle circostanze che confermavano l’avvenuta ricezione della merce a (OMISSIS) – l’applicazione dell’art. 9 c.p.p., comma 2, con conseguente competenza territoriale del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, vista la residenza dell’imputata in (OMISSIS).

1- Il motivo che precede sub a), coltivato con la suddetta memoria difensiva, laddove si sostiene che le risultanze dibattimentali (dichiarazioni del teste Hu.Sh.) avrebbero consentito di accertare che la merce era stata ritirata a (OMISSIS) dal marito e dal cognato dell’imputata per suo conto, trascura il principio della perpetuano jurisdictionis, costantemente e da lungo tempo affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, per cui gli accadimenti successivi ai limiti temporali di rilevabilità della questione di competenza territoriale non incidono sulla competenza già radicatasi (cfr. Cass. Sez. 2, n. 24736 del 26.3.10, dep. 1.7.10. rv. 247745; Cass. Sez. 6, n. 33435 del 4.5.06, dep. 5.10.06, rv. 234347; Cass. n. 41991/03, rv. 226402; Cass. n. 28764/02, rv.

222266; Cass. n. 8.587/01, rv. 219856: Cass. n. 6559/99, rv. 213985;

Cass. n. 7826/97. rv. 208317; Cass p. 176/97. rv. 207286; Cass. n. 5230/95, rv. 203101; Cass. n. 9931/93. rv. 196437; Cass. n. 2492/93, rv. 196912; Cass. n. 3217/92, rv. 191749; Cass. n. 2103/92., rv. i 90859; Cass. n. 1541/92, rv. 190356), di guisa che a tal fine non ha influenza alcuna quanto eventualmente emerga nel corso del dibattimento.

Per l’esattezza, la cit. Cass. n. 33435/06 ricorda che il giudice dell’impugnazione, al quale sia stata ritualmente devoluta la questione della competenza territoriale, deve operare il controllo con valutazione ex ante, riferita cioè alle emergenze di fatto cristallizzate in sede di udienza preliminare o, in sua mancanza (come nel caso di specie), a quelle acquisite non oltre il termine di cui all’art. 491 c.p.p., comma 1 e non può prendere in esame le eventuali sopravvenienze dibattimentali, poichè la verifica ha ad oggetto la correttezza della soluzione su una questione preliminare che, in quanto tale, non implica il confronto con gli esiti istruttori del dibattimento, proprio perchè – diversamente – verrebbe vanificato il richiamato principio della perpetuatio jurisdictionis.

Nè a diversa conclusione può portare l’art. 23 c.p.p., comma 1, in virtù del quale "Se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa e ordina la trasmissione degli atti al giudice competente": infatti, il principio per cui ogni giudice e anzitutto giudice della propria competenza non significa che il potere di dichiarare l’incompetenza per territorio non possa essere limitato e condizionato, per favorire la speditezza del processo, dalle preclusioni di cui all’art. 21 cpv. c.p.p.; in breve, il richiamato art. 23 c.p.p. va necessariamente coordinato, quanto all’incompetenza per territorio, con l’art. 21 cpv. c.p.p., secondo il quale l’incompetenza potrà essere dichiarata nel corso del dibattimento di primo grado soltanto non oltre l’accertamento per la prima volta della costituzione delle parti e sulla base, come si è precisato, della contestazione originaria e del materiale conoscitivo a disposizione, in tale fase iniziale, del giudice e delle parti processuali.

La coerenza dei sistema trova conferma anche nella previsione dell’art. 24 c.p.p., comma 1, che regola il potere del giudice d’appello di rilevare l’incompetenza per territorio, sempre con valutazione ex ante degli elementi originariamente disponibili, purchè la relativa questione sia stata eccepita con le modalità previste dall’art. 21 cpv. c.p.p. ovvero nei termini previsti dall’art. 491, comma 1 e, respinta in primo grado, sia stata riproposta nei motivi di appello; la pronuncia con la quale il giudice del gravame respinge, a sua volta, l’eccezione d’incompetenza per territorio è impugnabile con ricorso per cassazione e il conseguente sindacato di legittimità deve fare riferimento, per non vanificare ex post gli effetti eventualmente consolidatisi della perpetuano jurisdictionis, ai soli dati fattuali disponibili in sede di udienza preliminare o, in caso di citazione diretta a giudizio, nel momento immediatamente precedente la dichiarazione di apertura del dibattimento.

Nel case di specie, sempre secondo una valutazione ex ante, gli elementi originariamente disponibili consentivano soltanto di affermare la ricezione della merce (e la conseguente consumazione del reato) presso il magazzino sito (OMISSIS), come si legge nell’impugnata sentenza.

Nè l’odierna ricorrente afferma resistenza di altre risultanze – diverse dalla deposizione de teste predetto, assunta in dibattimento – tali da far ritenere che la competenza territoriale risultasse già in limine litis diversamente radicabile.

Ne consegue che i primo motivo di ricorso è da rigettarsi perchè infondato.

2- Stessa sorte tocca al motivo che precede sub b), che tralascia il costante insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema, espresso proprio nello specifico della deposizione testimoniale sulla contraffazione di marchi, in virtù del quale "Il divieto di apprezzamenti personali, previsto dall’art. 194 c.p.p., non è riferibile ai fatti che siano stati direttamente percepiti dal teste, al quale, e causa della speciale condizione di soggetto qualificato, per le conoscenze che gli derivano dalla sua abituale e specifica attività, non può essere precluso di esprimere apprezzamenti, se questi sono inscindibili dalla deposizione sui fatti stessi. (Nella specie la Corte ha ritenuto non vietati gli apprezzamenti di un ispettore della ditta distributrice del marchio del bene presunto contraffatto)." (Cass. Sez. 3, n. 11939 del 1.10.98, dep. 18.11.98, rv. 212173; conf. Cass. Sez. 5, n. 38221 del 12.6.2008, dep. 7.10.2008, rv. 241312; Cass. Sez. 2, n. 2322 del 12.12.95, dep. 2.3.96, rv. 204031; per l’analoga giurisprudenza maturata anche sotto l’imperio del previgente c.p.p. v., altresì, Cass, Sez. 3, n. 1542 del 24.10.84, dep. 12.2.85, rv. 167888).

Logico corollario di tale giurisprudenza è che la contraffazione di marchi e segni distintici ben può essere accertata – senza ricorrere a perizia – anche soltanto in via testimoniale mediante escussione di soggetti qualificati, in virtù delle conoscenze acquisite nel corso di abituale e specifica attività, la cui valutazione di attendibilità rientra nella sfera del merito in quanto tale preclusa in sede di legittimità. 3- Ancora infondato è il motivo che precede sub c), concernente la grossolanità del falso in materia di prodotti recanti marchi contraffatti.

Infatti, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, l’art. 474 c.p. tutela in via principale e diretta non l’acquirente, bensì la pubblica fede intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno od i prodotti industriali che ne garantiscono la circolazione.

In altre parole, l’art. 474 c.p. (ma il discorso coinvolge anche l’art. 473 c.p.) è norma incriminatrice attinente a reato plurioffensivo che mira ad evitare non solo l’inganno dei consumatori, ma anche l’usurpazione del segno distintivo, poichè quanto più si diffonde la circolazione dei prodotti con marchi contraffatti tanto più si svilisce l’affidabilità di quelli autentici; ciò evidenzia come la possibilità di confusione vada vista con riferimento non al momento dell’acquisto, concluso in particolari condizioni (per lo più mercatini rionali, ambulanti e a prezzo nettamente inferiore a quello dei prodotti originali), ma alla visione degli oggetti nè loro successivo utilizzo, rispetto al quale la grossolanità dovrebbe essere valutata in rapporto ad un numero indistinto di soggetti, sicchè non è in concreto apprezzabile (Cass. Sez. 5, n. 33324 de 17.4.2008, dep. 11.8.2008; Cass. n. 31451/2006; Cass. n. 22543/2006; Cass n. 34652/2005; Cass. N. 49835/2004; Cass. n. 39863/2001; Cass. n. 13031/2000; Cass. n. 3028/99).

2- E, infine, infondata anche la censura che precede sub d), perchè in contrasto con orinai consolidato orientamento giurisprudenziale (dal quale non si ravvisa motivo di discostarsi) secondo cui i delitti p. e p. ex artt. 474 e 648 c.p. ben possono concorrere fui loro, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profila strutturale e cronologico – tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità – e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita di legislatore (cfr. Cass Sez. 2, n. 12452 del 4.3.08, dep. 20.3.08, rv. 230745;

Cass. SU. n. 23427 del 9.5.01, dep. 7.6.01, rv. 218771; Cass. n. 13031/2000, rv. 217506; Cass. n. 14277/99, rv. 215801; Cass. n. 2098/97, rv. 206998, Cass n. 3154/96, rv. 205594: Cass. n. 12366/91, rv. 188808).

7- In conclusione, il ricorso e da rigettarsi. Ne consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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