T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 19-04-2011, n. 3462 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con atto (n. 7991/2004) il sig. E.R., agente scelto della Polizia di Stato, capo pattuglia presso il distaccamento della Polizia stradale di Iseo, ha adito l’intestato Tribunale per l’annullamento del decreto del Capo della Polizia, in data 18 maggio 2004, con cui è stata disposta la sua destituzione dal servizio, unitamente agli ulteriori e prodromici atti, nell’epigrafe indicati.

2. Espone di essersi impossessato durante lo svolgimento del servizio prestato in occasione di un suo intervento di soccorso stradale a seguito di incidente, di un telefono cellulare apparentemente abbandonato del quale è risultato successivamente proprietario un soggetto coinvolto nel citato accadimento.

3. Riferisce di aver provveduto a riconsegnare spontaneamente tale apparecchio telefonico a seguito dell’emissione nei suoi riguardi di un decreto di perquisizione conseguente alla presentazione di denuncia di furto di detto telefono cellulare, avvenuta in data 9 dicembre 2003, e dei connessi accertamenti svolti dal personale della Polizia di Stato.

4. Afferma che in data 30 gennaio 2004 si è proceduto all’inoltro degli atti sia alla competente Autorità giudiziaria, sia alla Questura di Brescia per l’avvio dell’azione disciplinare nei suoi confronti.

5. Espone che l’Amministrazione ha disposto la sua sospensione cautelare dal servizio, nonché la conseguente destituzione oggetto della presente impugnativa e che il Tribunale di Brescia con sentenza n. 720/2004, depositata il 1.7.2004, ha dichiarato il non luogo a procedere nei suoi riguardi per carenza delle condizioni di procedibilità.

6. Avverso il provvedimento di destituzione il sig. R. ha dedotto le seguenti censure:

a) Violazione del D.P.R. n. 737/81, eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifeste. Asserisce di esser stato sottoposto a procedimento disciplinare per il solo fatto di aver rinvenuto sul ciglio della strada, a considerevole distanza dal luogo dell’incidente stradale, un telefono cellulare del quale si è impossessato ritenendolo res nullius e di averlo spontaneamente consegnato nel corso della perquisizione alla quale è stato sottoposto.

Lamenta, altresì, l’assoluta sproporzione tra la sanzione disciplinare a lui inflitta e la natura degli addebiti contestati con susseguente violazione del principio di gradualità nell’applicazione della misura affittiva, che non sarebbe stata preceduta da valutazione complessiva della personalità e dei precedenti di servizio del ricorrente.

b) Violazione dell’art. 11, comma 2 del D.P.R. n. 737/1981, atteso l’inizio del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale instaurato per gli stessi fatti.

7. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

2. Con il primo motivo di doglianza il sig. R. asserisce, in primo luogo, che il telefono cellulare è stato da lui ritrovato non nelle immediate vicinanze del luogo ove si è verificato l’incidente stradale per il quale ha prestato servizio di soccorso stradale e che ciò lo ha indotto a ritenerlo res nullius.

Afferma, altresì, che in sede disciplinare non sarebbe stata valutata la circostanza della consegna spontanea da parte sua dell’apparecchio telefonico in sede di perquisizione.

3. Orbene, l’affermazione del ricorrente secondo cui il ritrovamento e l’impossessamento del telefono cellulare sarebbe dipeso dal suo convincimento che si trattasse di oggetto abbandonato e dunque "res nullius" non appare persuasiva.

Difatti, da un esame degli atti di causa e, segnatamente, della nota della Questura di Brescia, Commissariato di Desenzano del Garda 1.4.2004 n. 908/04, redatta dal funzionario istruttore dott.ssa Montereali ed indirizzata al Questore di Brescia, emergono in sede di ricostruzione degli accadimenti che hanno visto coinvolto il ricorrente, circostanze fattuali comprovanti la fondatezza degli addebiti allo stesso contestati, ai fini dell’irrogazione della sanzione disciplinare contestata.

Tale ricostruzione, rappresentando in modo analitico lo svolgimento ed il susseguirsi delle vicende in esame, individua nel tentativo di suicidio e nel rinvenimento sulla sede autostradale di una persona in stato di incoscienza e ferita, la causa dell’intervento sul luogo del personale di Polizia e del capo pattuglia sig. R..

In particolare, risultano ivi descritti, sia la dinamica del raggiungimento della sede stradale da parte del soggetto ferito mediante arrampicamento di una scarpata e scavalcamento del guarda rail con tentativo di farsi investire dalle auto in transito, circostanze tutte desunte all’esito di una valutazione da parte del personale di Polizia degli elementi acquisiti, sia la circostanza, riferita dal marito della vittima al personale di Polizia, che la stessa fosse in possesso la notte dell’incidente di un cellulare dal quale egli stesso aveva ricevuto nella medesima notte una telefonata dalla propria coniuge.

Emerge, inoltre, dal succitato rapporto documentale che tale telefono cellulare non è stato rinvenuto sul posto dell’incidente dal personale di Polizia e che, a seguito di denuncia di furto presentata dal marito della vittima e da successivi controlli tecnici, è risultato che il traffico di telefonate effettuato con detto apparecchio, verificato attraverso la corrispondenza del codice identificativo (IMEI), risultava abbinato all’utenza intestata al ricorrente.

Pertanto, il ritrovamento del telefono cellulare nel corso della perquisizione eseguita presso l’abitazione del ricorrente, e l’utilizzo da parte dello stesso, comprovato dal riscontro eseguito mediante esame dei tabulati telefonici, ove posto in relazione sia alla partecipazione attiva del sig R. agli accadimenti per i quali è intervenuto in qualità di capo pattuglia, sia alle effettive modalità di ritrovamento del cellulare ed alla omessa tempestiva comunicazione all’Ufficio di tale ritrovamento, che avrebbe consentito la restituzione al legittimo proprietario, sia, infine, alla riferita circostanza da parte della vittima di aver lasciato sul sedile della propria auto o nella sua borsa l’apparecchio telefonico, rende priva di ragionevole credibilità l’asserito casuale ritrovamento prospettato dalla difesa attorea.

Quanto all’ulteriore profilo di censura, attinente alla omessa valutazione dei precedenti di servizio ed alla violazione dei principi di proporzionalità e di gradualità della sanzione il Collegio non può che rilevarne, con specifico riferimento al caso in esame, l’infondatezza.

Giova, in via generale, rilevare che per quel che concerne l’illecito disciplinare la qualificazione della condotta dell’incolpato e la relativa rilevanza ai fini dell’irrogazione della misura affittiva, devono ritenersi insindacabili in sede di giudizio di legittimità, ad eccezione delle ipotesi in cui il provvedimento disciplinare sia affetto da travisamento di fatti, da irrazionalità ed illogicità manifeste carenza motivazionale, attenendo tali questioni al merito della azione amministrativa.

Orbene, la valutazione della condotta posta in essere dal dipendente in violazione dei doveri di servizio ai fini della definizione del tipo di sanzione disciplinare da comminare, costituisce esplicazione di discrezionalità, ed in quanto tale sindacabile in sede di legittimità solo per i prospettati profili e figure sintomatiche di eccesso di potere (ex multis, C.Stato, Sez. VI, 24.4.2009, n. 2536).

Con riferimento al caso di specie, l’azione della P.A. nella definizione della sanzione disciplinare della destituzione nei riguardi del ricorrente altro non può che ritenersi legittimamente esercitata in quanto erogata a seguito di un iter procedimentale disciplinare nel quale, riguardo alla specifica condotta tenuta dal sig. R. ed alla effettiva gravità della stessa rispetto al tipo e rilevanza di funzione svolta, quale quella di polizia, la stessa Amministrazione si è determinata nel senso di adeguare la sanzione alla condotta concreta del dipendente secondo il principio di proporzionalità, dandone specifica e puntuale ragione nel provvedimento destitutivo.

Difatti, la condotta del ricorrente ai fini della sua destituzione appare coerentemente relazionata con i doveri d’Ufficio propri della funzione e del ruolo dallo stesso svolti, e correlata, altresì, alla mancata ottemperanza e violazione dei doveri d’Ufficio il che deve fa ritenere scevra dal prospettato profilo di illegittimità il provvedimento che ha disposto la sanzione destitutoria.

Osserva, in particolare, il Collegio che nelle premesse del provvedimento oggetto di impugnativa l’Amministrazione, dopo aver espresso valutazioni in merito alla riscontrata assoluta mancanza del senso dell’onore e della morale riferite alla condotta del ricorrente, dà conto della ponderazione dei precedenti di servizio i quali "tuttavia non possono sminuire la gravità del fatto, reso più aberrante dalle circostanze in cui è stato commesso".

2. Con l’ulteriore motivo di ricorso il sig. R. deduce la violazione dell’art. 11, comma 2 del D.P.R. n. 737/1981, atteso l’inizio del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale instaurato per gli stessi fatti e la relativa omessa sospensione.

Osserva il Collegio che la disposizione di cui al citato art. 11, a norma della quale ove il dipendente sia sottoposto per gli stessi fatti a procedimento disciplinare e a procedimento penale il primo deve essere sospeso fino alla definizione del secondo con sentenza passata in giudicato, non può ritenersi invocabile rispetto al caso in esame, atteso che l’avvio del procedimento penale si realizza al momento in cui il soggetto indagato assuma la qualità di imputato e, dunque, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio dal parte del pubblico ministero.

Diversamente, nel caso in esame, deve rilevarsi che la posizione del ricorrente non può, di certo, ritenersi coincidente con quella di imputato, soprattutto in considerazione del fatto che a seguito della comunicazione resa dall’Amministrazione di appartenenza all’A.G. riguardo alla condotta dello stesso, alcuna istanza di rinvio a giudizio è stata proposta, essendo peraltro stata adottata dal G.I.P. del Tribunale di Brescia una sentenza di non luogo a procedere per mancanza di condizione di procedibilità, ossia della querela della parte offesa in relazione al reato contestato.

Pertanto, alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Le spese e gli onorari di giudizio possono essere compensati fra le parti in causa, stante la peculiarità della fattispecie in esame.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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