Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-04-2011) 21-04-2011, n. 15826 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 6 maggio 2009, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa il 7 dicembre 2007 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha rideterminato la pena inflitta a V.F. in ordine ai reati di cui agli artt. 648 e 474 c.p., al medesimo ascritti, in anni uno e mesi dieci di reclusione ed Euro 750,00 di multa ed ha confermato la pena di anni tre ed Euro 1.200,00 di multa ciascuno inflitta a F.C. e L.C. in rodine ai medesimi delitti.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati suddetti. Nel ricorso proposto nell’interesse di L.C., riproponendo le stesse questioni già dedotte in appello, si lamenta violazione dell’art. 192 c.p.p., in quanto la responsabilità dell’imputato sarebbe stata desunta da elementi di tipo congetturale, nè sarebbe stato motivato l’elemento soggettivo del reato e la ragione della mancata derubricazione in incauto acquisto. Non sussisterebbe poi il concorso tra il delitto di ricettazione e quello di cui all’art. 474 c.p., doveva essere applicata l’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2 e la pena è eccessiva. Nel ricorso proposto per F.C. si lamenta che la Corte abbia respinto la eccezione di inammissibilità della lista testi del pubblico ministero per mancata indicazione delle circostanze su cui l’esame doveva vertere. Si denuncia poi la inutilizzabilità della consulenza tecnica, in quanto fondata sull’esame di personale delle ditte titolari dei marchi contraffatti non nominati quali consulenti tecnici del pubblico ministero. Non sussisterebbe infine il reato di cui all’art. 474 c.p., in quanto la condotta di occultamento della merce in un garage non esponeva a pericolo il bene protetto dalla norma. Nel ricorso proposto nell’interesse di V.F. si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe offerto adeguata contezza delle censure poste a fondamento dell’atto di appello e che si ripropongono a fondamento del ricorso.

I ricorsi sono tutti palesemente inammissibili in quanto i relativi motivi si limitano a riprodurre, nella sostanza, le stesse questioni e gli stessi argomenti già dedotti in appello e da quei giudici motivatamente disattesi, sulla base di specifici rilievi, nessuno dei quali realmente sottoposto ad autonoma critica impugnatoria da parte dei ricorrenti. Così, le doglianze che il L. formula a proposito del proprio ruolo e degli elementi dai quali è stata desunta la responsabilità penale, sono state puntualmente evocate dai giudici a quibus, i quali anno tratto argomenti – dalla univoca ricostruzione dei fatti – per ritenere non certo casuale la presenza dell’imputato all’atto del trasferimento e dell’occultamento della merce nel box di cui il medesimo aveva la disponibilità. Quanto alla possibilità del concorso tra i reati d cui all’art. 474 e 648 c.p., la costante giurisprudenza di questa Corte, puntualmente evocata dalla sentenza di appello, smentisce in foto la contraria tesi del ricorrente, peraltro solo labilmente enunciata. Le restanti censure in punto di diminuente di cui all’art. 648 cpv. c.p., di trattamento sanzionatorio e di attenuanti generiche, sono del tutto prive del requisito della specificità.

Quanto al F., le doglianze evocate nei motivi di ricorso sono state tutte puntualmente disattese nella sentenza impugnata, tanto per ciò che attiene alla pretesa genericità della lista testi del pubblico ministero – in linea, d’altra parte, con quanto la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato al riguardo – che in ordine alla assunzione della deposizione degli "esperti":

d’altra parte, nulla vietava l’espletamento di una consulenza di parte, ove si fosse ritenuto inappagante quel metodo di accertamento in ordine alla non genuinità dei marchi. Lo stesso è a dirsi circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 474 c.p., posto che, come correttamente rilevato dai giudici a quibus, il reato richiede la detenzione per la vendita (univocamente desumibile dalla condotta posta in essere dagli imputati) e non la effettiva vendita.

Il ricorso del V., infine, è anch’esso del tutto privo del requisito della specificità e prospetta esclusivamente rilievi di merito – per di più reiterativi rispetto a quelli già prospettati in appello ed adeguatamente scrutinati in quella sede – del tutto estranei rispetto al perimetro entro il quale è consentito l’odierno sindacato di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di ciascuno, anche, al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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