Cass. civ. Sez. II, Sent., 19-07-2011, n. 15839 Strade pubbliche e private

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 27-4-1996 R.M.M. e R.G. convenivano dinanzi al Tribunale di Salerno G.C., G.L., Gi.Ca. e F.M., assumendo di essere proprietari di una zona di terreno in Salerno, attraversata da un viottolo che dalla via comunale (OMISSIS) conduce al fabbricato individuato con il civico n. (OMISSIS). Gli attori deducevano che tale viottolo era gravato da servitù di passaggio unicamente in favore dei comproprietari di immobili nel civico (OMISSIS), e che, di fatto, il medesimo veniva usato dai G. e F. per la sosta e il parcheggio dei loro veicoli. Essi chiedevano, pertanto, che venisse dichiarato che i convenuti non avevano il diritto di sostare e parcheggiare i loro veicoli sul viottolo in questione, con conseguente condanna degli stessi al risarcimento danni.

Nel costituirsi, i G. e il F. contestavano la fondatezza della domanda, deducendo che la stradetta in oggetto era iscritta nell’elenco delle strade interne obbligatorie della L. 12 febbraio 1958, n. 126, ex art. 7, lett. C) come da deliberazione del Consiglio Comunale di Salerno dell’8-6-1963 n. 324, affissa per 15 giorni i consecutivi nell’albo pretorio e mai opposta. Essi sostenevano, pertanto, che il viottolo in questione era sottoposto al regime delle strade comunali, per cui i resistenti esercitavano su di esso un diritto loro spettante uti cives. In ogni caso, i convenuti assumevano di avere esercitato per oltre un ventennio il parcheggio e la sosta sul viottolo per cui è causa e chiedevano, di conseguenza, in via riconvenzionale, che venisse dichiarata l’intervenuta usucapione in loro favore della relativa servitù.

Con sentenza del 30-12-2002 il Tribunale, in accoglimento della domanda principale, dichiarava che i convenuti non avevano il diritto di sostare e di parcheggiare le loro autovetture sulla rampa di proprietà esclusiva dei R.; rigettava, invece, per carenza di prova, la domanda risarcitoria proposta dagli stessi attori e la riconvenzionale dei convenuti.

Con sentenza depositata il 12-8-2005 la Corte di Appello di Salerno rigettava sia l’appello principale proposto dai convenuti che quello incidentale proposto dagli attori.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i G. e la F., sulla base di due motivi.

I R. resistono con controricorso.
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. 12 febbraio 1958, n. 126, artt. 7, 8 e 9 nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione. Sostengono che la stradina oggetto di causa, che costituisce una diramazione secondaria di via (OMISSIS) e conduce al fabbricato V. e ad altri caseggiati posti a quota più alta, ha sempre svolto la funzione di strada pubblica. Rilevano che tale viottolo è entrato a far parte del novero delle strade comunali di cui alla L. n. 126 del 1958, art. 7, lett. C) per effetto di deliberazione del Consiglio Comunale dell’8-6-1963, affissa per quindici giorni consecutivi all’Albo Pretorio senza alcuna opposizione, con la quale veniva accettata l’offerta di cessione dei loro diritti effettuata dai proprietari della rampa, e veniva disposta l’iscrizione della stessa nell’elenco delle strade interne obbligatorie. Fanno presente che la L. n. 126 del 1958, artt. 7 e 8 non prevedono quale adempimento necessario al fine dell’acquisizione di una strada al patrimonio comunale il suo inserimento nell’elenco delle strade del Comune, essendo necessaria e sufficiente solo una delibera di Giunta, pubblicata e non impugnata nei termini di legge. Aggiungono che dal 1963 il Comune ha posseduto il bene in modo non clandestino e senza alcuna opposizione, eventualmente rilevante ai fini dell’interruzione dell’usucapione pubblica.

Il motivo è infondato.

Giova rammentare che, affinchè un’area privata venga a far parte del demanio stradale, non è sufficiente che la strada sia posta all’interno di un centro abitato e che su di essa si esplichi di fatto il transito pubblico, ma è invece necessario che sia intervenuto un atto o un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, etc.) che ne abbia trasferito il dominio alla P.A., e che essa sia destinata all’uso pubblico dalla stessa P.A., costituendo meri indici di riferimento, ciascuno di per sè solo non sufficiente al fine di stabilire a chi ne debba essere attribuita la proprietà, l’uso della strada da parte di un numero indeterminato di persone, il comportamento in relazione ad essa della Amministrazione nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica, e la sua inclusione in un centro abitato (Cass. 28-9-2010 n. 20405; Cass. 26-8-2002 n. 12540).

Nel caso di specie la Corte di Appello, uniformandosi a tali principi, ha correttamente negato il carattere pubblico della stradetta in questione (utilizzata come rampa di accesso al civico (OMISSIS) e ad altri immobili posti a quota più alta), avendo escluso, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, sia l’esistenza di un titolo abilitativo in favore del Comune, sia l’obiettiva destinazione della rampa alla soddisfazione di un interesse pubblico.

Sotto il primo profilo, la Corte territoriale ha rilevato che l’offerta di cessione al Comune della striscia di terreno in oggetto, effettuata da alcuni condomini del fabbricato S. nel 1962, non ha avuto alcun esito, avendo l’ente accertato che gli offerenti non erano gli unici proprietari del bene; ed ha fatto presente che tale circostanza è stata attestata dallo stesso Comune con comunicazione protocollo n. 2584/9003 del 17-12-1984. Sotto il secondo profilo, essa ha evidenziato che la breve rampa di cui trattasi, della lunghezza di circa 30 metri, non è destinata all’uso pubblico, potendo essere utilizzata solo dai condomini del civico n. (OMISSIS) e dai proprietari dei fondi sovrastanti; che la stessa non è indicata nello stradario di Salerno, nè è riportata come diramazione nel grafico illustrante la via Spinosa; che la medesima è sfornita di servizi di natura pubblica quali illuminazione ed altro, e non è mai stata oggetto di manutenzione da parte della P.A., ad eccezione dell’intervento effettuato dopo l’alluvione del 1954 che aveva colpito in modo distruttivo i luoghi della controversia; che, infine, non si è ravvisato un’utilizzazione indiscriminata da parte dei cittadini residenti in loco.

A fronte di simili emergenze, appaiono irrilevanti le deduzioni svolte dai ricorrenti, secondo cui, con deliberazione del Consiglio Comunale dell’8-6-1963, sarebbe stata disposta, ai sensi della L. n. 126 del 1958, l’iscrizione del viottolo di cui si discute nell’elenco delle strade comunali. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, l’inserimento di una strada nell’elenco di cui alla L. n. 126 del 1958, art. 8 integra una presunzione semplice di destinazione del tracciato al pubblico transito (Cass. 11-2-2009 n. 3390; Cass. 17-3-1995 n. 3117; Cass. 24-4-1992 n. 4938), superabile con la prova contraria dell’inesistenza di un tale diritto di godimento da parte della collettività. Nella specie, la presunzione iuris tantum derivante dall’atto invocato dai ricorrenti risulta ampiamente superata dai molteplici elementi presi in considerazione dalla Corte di merito, idonei a dimostrare la natura esclusivamente privata della rampa in questione.

La decisione impugnata, pertanto, resiste alle censure mosse dai ricorrenti, essendo sorretta da una motivazione esaustiva e logica, con la quale è stata fatta corretta applicazione dei principi di diritto che regolano la materia.

Deve aggiungersi che i rilievi svolti in ordine all’intervenuto acquisto per usucapione della stradina in oggetto da parte del Comune sono inammissibili, involgendo una questione che non risulta dedotta nel giudizio di merito e che, pertanto, non essendo rilevabile d’ufficio, non può essere prospettata per la prima volta in sede di legittimità. 2) Con il secondo motivo i G. – F. lamentano l’omessa pronuncia o l’insufficiente motivazione su un punto fondamentale della controversia, inerente alla proposta eccezione di carenza di legittimazione attiva dei R., per essere la strada per cui è causa di proprietà comune ai condomini del fabbricato di via (OMISSIS), ivi compresi gli odierni ricorrenti. Nel richiamare i vari atti pubblici che hanno interessato le proprietà oggetto della controversia, essi assumono che in nessun atto risulta affermato che la strada in questione appartiene in via esclusiva agli attori o a un loro dante causa. Sostengono che, al contrario, i G. – F., tramite i rispettivi danti causa, sin dal 1929 vantano un titolo di comproprietà valido e idoneo.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Il giudice di appello non ha affatto ignorato l’eccezione di carenza di legittimazione attiva degli attori, sollevata dai convenuti, ma l’ha adeguatamente esaminata e disattesa nel merito.

All’esito di una analitica disamina della documentazione prodotta dalle parti, infatti, la Corte territoriale ha rilevato che i R. hanno provato la piena proprietà del suolo (individuato in catasto al f. 63, particella 82) su cui è posta la rampa in stipulato in forza dell’atto per notaio Pisano del 13-4-1972 con A.G., divenuto proprietario del bene contestazione, per successione del padre A.R., il quale lo aveva acquistato da D.C. con atto del 18-6-1922. Essa, al contrario, ha evidenziato che gli atti invocati dai convenuti (atto per notaio Gargano del 29-5-1904 ed atto per notaio Maiorino del 22- 10-1919) hanno ad oggetto beni diversi e non sono, pertanto, idonei a comprovare il diritto di comproprietà dei predetti sulla particella 82.

Esclusa, dunque, la sussistenza del denunciato vizio di omessa pronuncia, si osserva che i ricorrenti, nel sostenere che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, dalla documentazione acquisita risulta il loro diritto di comproprietà sulla stradina in questione, lungi dal denunciare un vizio di motivazione, intendono, in buona sostanza, sollecitare a questa Corte una diversa lettura delle risultanze di causa, esulante dai poteri di cognizione ad essa riservati. E’ bene ricordare, infatti, che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. 5-3-2007 n. 5066; Cass. 21-4-2006 n. 9368; Cass. 20-4-2006 n. 9234; Cass. 16-2- 2006 n. 3436; Cass. 20-10-2005 n. 20322).

3) Nelle conclusioni finali del ricorso è contenuta la richiesta, proposta in via subordinata, di compensazione delle spese del giudizio di appello.

Tale richiesta si rivela inammissibile, sia perchè formulata in termini del tutto generici, senza essere accompagnata da una parte illustrativa delle ragioni delle censure mosse avverso la sentenza impugnata, sia perchè, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa;

sicchè esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (tra le tante v. Cass. 31-3-2006 n. 17457; Cass- 16-3-2006 n. 5828; Cass. 2-8-2002 n. 11597).

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dai resistenti, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *