Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 21-04-2011, n. 15838 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame Di Reggio Calabria confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di P. G. in relazione al delitto di partecipazione ad associazione maliosa, osservando che aveva svolto un ruolo di collegamento e trasferimento di ordini tra il padre S. e il fratello F., detenuti, e gli altri associati all’esterno, e in relazione ai reati di estorsione e di intestazione fittizia di beni.

In primo luogo ricostruiva l’ambito nel quale era maturato il provvedimento, e cioè le indagini inerenti la conquista del predominio del territorio da parte delle cosche Molè, Pesce e Bellocco; poi richiamava per relationem l’ordinanza impositiva della misura, che aveva chiarito i metodi di infiltrazione mafiosa della cosca e aveva individuato i reati di estorsione, come la fonte primaria delle entrate illecite.

Aveva individuato la partecipazione a tali azioni dell’indagata grazie al collegamento familiare, essendo figlia del capo mafia, e grazie al risultato di alcune intercettazioni ambientali dalle quali era emerso che, in concorso con gli altri familiari, aveva partecipato alla estorsione ai danni di A., ritirando presso di lui le somme dell’estorsione.

Era altresì emerso che gestiva per conto del padre alcune attività commerciali, formalmente intestate a persona estranea al clan, in esecuzione di una operazione di intestazione fittizia di beni, teorizzata da S. in termini molto specifici durante un colloquio intercettato con i familiari e documentata da una serie di accertamenti di polizia giudiziaria dai quali emergeva che il canone di affitto veniva pagato direttamente da G.. Il contenuto dei colloqui intercettati appariva univoco e testimoniava del pieno inserimento dell’indagata nelle logiche della cosca, della sua piena consapevolezza in relazione ai compiti a lei affidati sia di riscossione del denaro provento di estorsioni, sia di gestione di beni intestati fittiziamente ad altri, sia di strumento per veicolare gli ordini dei capi clan all’esterno.

Quanto alle esigenze cautelari sussisteva la presunzione di pericolosità ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3, e non era emerso alcun elemento dal quale desumere il venir meno della sua pericolosità; non aveva rilievo il decorso del tempo dal fatto, visto che non vi era prova di un recesso dall’organizzazione criminale tuttora operante; non vi era alcuna possibilità di prevedere la concessione di una misura minore, quale gli arresti domiciliari, stante il concreto pericolo di reiterazione, non superabile per la demoralizzazione che la aveva portata a tentare il suicidio proprio per il diniego di tale misura, che era stata concessa ad altre familiari solo perchè portatrici di prole di età inferiore ai tre anni.

Avverso la decisione presentava ricorso l’indagata e deduceva violazione di legge e difetto di motivazione in relazione ai gravi indizi del reato di partecipazione ad estorsione e al delitto associativo, avendo il tribunale adottato una motivazione per relationem della ordinanza impositiva senza minimamente occuparsi di rispondere alle contestazioni contenute nell’atto di impugnazione e limitandosi a configurare i gravi indizi nel rapporto familiare, confondendo la contiguità con l’effettiva partecipazione; dalle conversazioni emergeva solo che la donna ascoltava le conversazioni del fratello e del padre, senza essere partecipe delle azioni che venivano rappresentate, riferiva notizie apprese nell’ambiente familiare cercando di placare le ire dei detenuti con riguardo alla difficoltà di riscuotere i proventi dell’estorsione, ma non vi era alcun elemento da cui desumere una sua partecipazione; non vi era alcuna prova della condivisione dello scopo perseguito dai familiari detenuti anche nei casi in cui veniva incaricata di riferire messaggi. Deduceva poi violazione di legge in relazione al reato di intestazione fittizia in quanto l’indagata svolgeva funzioni di lavoratrice dipendente nel supermarket e qualche volta pagava il canone, mentre era pacifico che colui che ne aveva la totale disponibilità era il padre S. e l’intestataria fittizia era altra persona.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato in quanto lungi dal dedurre violazioni di legge e vizi di motivazione si limita ad offrire una diversa lettura delle conversazioni intercettate;

l’ordinanza richiamando correttamente per relationem quella impositiva, aveva rilevato come nel corso delle conversazioni si era acquisita la prova evidente del coinvolgimento di G. negli affari illeciti della famiglia Pesce, tanto che partecipava ai colloqui in carcere con gli altri familiari, veniva incaricata di riscuotere i ratei dell’estorsione e riceveva come tutti gli altri gli ordini del capo, in materia di gestione dei beni della famiglia anche per interposta persona. Del tutto plausibilmente il Tribunale ha escluso che i riferimenti contenuti nelle conversazioni fossero normali affari di famiglia, anche per il tono usato, tipico di chi da ordini affinchè vengano eseguiti nel modo solito per continuare la tradizione e per evitare che sfugga il potere di imposizione della cosca. La contestazione inerente alla intestazione fittizia ha ovviamente un valore concorsuale con l’azione del padre, di cui la ricorrente costituiva longa manus nella gestione dei beni intestati fittiziamente ad altra persona; la copertura costituita dal rapporto di lavoro subordinato, non esclude affatto la sussistenza di una azione consapevole di concorso nel delitto di intestazione fittizia del supermarket a persona di copertura.

La ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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