T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 19-04-2011, n. 3413 Beni di interesse storico, artistico e ambientale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con il ricorso proposto i ricorrenti, meglio indicati in epigrafe (e come già chiarito nell’ordinanza con la quale si è disposta Consulenza tecnica d’ufficio), tutti inquilini delle unità immobiliari site in Siena alla Via Tozzi n. 7, già di proprietà dell’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoroI.N.A.I.L. e successivamente trasferite alla Società C.I.P.- S., in quanto facenti parte del patrimonio immobiliare in dismissione di quell’Ente, hanno impugnato – con ricorso principale e successivo ricorso recante motivi aggiunti – gli atti della procedura che ha dato luogo alla ricomprensione delle predette unità nell’ambito dei c.d. elenchi di pregio.

Dalla documentazione prodotta a corredo dei ricorsi ed in particolare dalla relazione tecnicoperitale prodotta a conforto delle tesi sostenute dai ricorrenti si evincerebbe, a parer loro, che gli alloggi in questione, per caratteristiche, struttura, condizioni e stato di conservazione, non potevano essere inseriti nei c.d. elenchi di pregio. Da qui la richiesta di giudiziale annullamento degli atti della procedura che ha stabilito l’inserimento degli alloggi nei ridetti elenchi e degli atti con i quali, in conseguenza di tale inserimento, gli Enti preposti alla vendita hanno formulato ai ricorrenti l’offerta nonché la domanda di accertamento del vero valore dei beni in questione.

2. – Si sono costituite in giudizio le Amministrazione statali intimate e gli altri Enti e soggetti raggiunti dalla notifica dei ricorsi e protagonisti della vicenda contenziosa sottoposta all’attenzione del Tribunale contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione dei ricorsi.

Con ordinanza n. 721 del 2009 questo Tribunale, ripercorrendo l’evoluzione della normativa che ha disciplinato il settore della c.d. cartolarizzazione immobiliare ed evidenziando gli approdi ai quali è pervenuta la più recente giurisprudenza che si è occupata della materia, tenuto conto della censura con la quale i ricorrenti hanno contestato il difetto di istruttoria da parte degli Enti preposti alla procedura nel caso di specie, ha disposto "una verificazione volta ad accertare, alla stregua dei canoni normativi sopra rammentati, se le condizioni degli immobili, per i quali è causa, siano tali da impedirne la qualificazione come immobili di pregio" (così, testualmente, a pag. 4 della citata ordinanza istruttoria), individuando quale Ente verificatore il Provveditorato interregionale per le opere pubbliche ToscanaUmbria sede di Firenze e specificando che l’intervento istruttorio avrebbe dovuto essere realizzato in contraddittorio con le parti controvertenti.

L’adempimento veniva svolto con deposito di relazione e documentazione allegata.

Le parti producevano in atti ulteriori memorie con le quali, nella sostanza e mantenendo le opposte posizioni, reiteravano le già affermate conclusioni.

Trattenuta riservata la decisione nell’udienza di merito del 12 maggio 2010 la riserva è stata sciolta nelle Camere di consiglio del 14 luglio 2010 e del 27 ottobre 2010.

3. – Con il primo mezzo di gravame i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 del 1990, deducendo che l’Amministrazione ha omesso di comunicare loro l’avvio del procedimento che ha portato alla valutazione dell’immobile nell’ambito della categoria di quelli c.d. di pregio, al quale – pertanto – essi non hanno potuto partecipare fornendo il loro contributo critico e dialettico.

La doglianza non può essere condivisa.

In precedenti analoghi, con statuizione dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, la Sezione ha affermato che "l’attività svolta dall’Amministrazione prima di arrivare all’adozione del decreto identificativo degli immobili di pregio è propedeutica all’effettiva dismissione degli immobili menzionati e finalizzata agli accertamenti istruttori per dettare regole generali di pianificazione dell’ulteriore azione ai fini dei futuri singoli atti di dismissione; sicché (tale attività di verifica) non soggiace alla norma di cui all’art. 7, l. n. 241 del 1990" (così, in termini,T.A.R. Lazio, Sez. II, 6 febbraio 2009 n. 1267)

4. – Con il secondo, il terzo ed il quarto mezzo di gravame – che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della loro connessione argomentativa – i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 3bis, 7, 8 e 13 e 20, del decreto legge n. 351 del 2001, convertito nella legge 23 novembre 2001 n. 410 e successive modificazioni ed integrazioni, dell’art. 26, comma 5, del decreto legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003 n. 326, come modificato dall’art. 3, comma 134, della legge 24 dicembre 2003 n. 350 nonché eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, deducendo:

– che l’immobile per cui è causa è stato inserito nell’elenco degli immobili di pregio (di cui al DM 27 settembre 2004) sol perché si trova in area soggetta a vincolo paesaggistico ex lege n. 1497 del 1939, senza che sia stato accertato se si trovi o meno in stato di degrado e senza tenere conto della circostanza che il D.M. del Ministero della pubblica istruzione del 14 maggio 1956 che tale vincolo ha imposto, "coinvolge la quali totalità del territorio comunale di Siena" (così, testualmente, a pag. 7 del ricorso introduttivo e poi nell’illustrazione del quarto motivo di gravame da pag. 14);

– che l’Amministrazione non ha tenuto conto del fatto – peraltro acclarato dalla relazione tecnica di parte versata in atti – che l’immobile in questione verte effettivamente in stato di degrado e necessita di una serie di interventi di risanamento, il che esclude che, allo stato, possa essere considerato di pregio;

– e che pertanto, in definitiva, l’istruttoria condotta dall’Amministrazione è stata sommaria, affrettata e lacunosa.

L’articolata doglianza, in uno con il contenuto della relazione tecnica prodotta, ha reso necessario l’incombente istruttorio consistente in una verificazione affidata al Provveditorato interregionale per le opere pubbliche ToscanaUmbria sede di Firenze, il cui esito conduce il Tribunale a ritenere infondate le doglianze dedotte dai ricorrenti per le ragioni che qui di seguito si passa ad esplicitare.

5. – Preliminarmente, ad avviso del Collegio e ad integrazione di quanto già osservato nell’ordinanza istruttoria n. 721 del 2009, è opportuna la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, come effettuata anche dai numerosi precedenti giurisprudenziali che si sono succeduti in materia, alle cui considerazioni giuridiche il Collegio ritiene di aderire (cfr., tra le tante, Cons. di Stato, Sez. VI, 7 agosto 2008 n. 3899 e 9 maggio 2006 n. 2560 nonché T.A.R. Lazio, Sez. II, 11 settembre 2009 n. 8608).

Nell’ambito della disciplina relativa alla dismissione del patrimonio immobiliare delle amministrazioni pubbliche (in specie, degli enti previdenziali) erano state previste condizioni di alienazione meno favorevoli per i conduttori degli immobili c.d. di pregio, rispetto ai conduttori degli altri immobili, già in base all’art. 2, comma 2, della legge n. 488 del 1999 (legge finanziaria del 2000), che ha inserito la lettera "fbis" al comma 109 dell’art. 3 della legge n. 662 del 1996; in detta ultima disposizione si faceva rinvio ad una circolare del Ministro del lavoro per la definizione appunto degli "alloggi in edifici di pregio", coinvolti nella procedura di dismissione, con riferimento alle zone in cui il valore unitario medio di mercato degli immobili fosse superiore al 70% rispetto al valore di mercato medio rilevato nell’intero territorio comunale.

La disciplina è stata poi integrata dall’art. 3 del decreto legge n. 351 del 2001, convertito nella legge n. 410 del 2001 che ha previsto (comma 13) che, con decreti ministeriali, siano individuati gli immobili di pregio e che tali "comunque" debbano essere considerati quelli situati nei centri storici delle città, ad eccezione di quelli individuati sempre con decreti ministeriali, su proposta dell’Osservatorio sul patrimonio immobiliare degli Enti previdenziali e di concerto con l’Agenzia del territorio.

Nell’Allegato n. 1 al D.M. 31 luglio 2002 sono stati fissati i criteri per l’individuazione degli immobili di pregio e, fra questi, è stata prevista appunto l’ubicazione nel centro storico individuato in base alle perimetrazioni dei piani regolatori (zona omogenea A), con esclusione sia delle zone degradate soggette a piani di recupero (n. 4) sia dei singoli immobili degradati identificabili attraverso un criterio di valore (n. 5).

Successivamente, furono introdotte ulteriori modifiche alle disposizioni suindicate con l’art. 26, commi 5 e 6, del decreto legge n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, solo parzialmente innovative rispetto alla normativa di settore precedente, in quanto per lo più tendono a precisare quali sono gli elementi in base ai quali può essere esclusa la qualifica di pregio.

Sulla base di tale ultimo intervento normativo l’art. 3, comma 13, del decreto legge n. 351 del 2001 è stato modificato nel senso che si considerano di pregio gli immobili situati nei centri storici che non siano individuati nei decreti ministeriali come quelli "che si trovano in stato di degrado e per i quali sono necessari interventi di restauro e di risanamento conservativo, ovvero di ristrutturazione edilizia". Va precisato che, in ogni caso, anche prescindendo dal carattere non innovativo della modifica, l’art. 26 cit. deve essere applicato in base al principio tempus regit actum a tutti i procedimenti non ancora conclusi alla data dell’entrata in vigore della nuova disciplina; ed è pacifico che i procedimenti di dismissione di immobili pubblici devono ritenersi conclusi soltanto al momento della vendita dell’immobile e non certo al termine delle fasi interlocutorie relative alla qualificazione degli edifici.

6. – Da quanto sopra si approda sinteticamente alle seguenti conclusioni, fatte proprie – tra l’altro – da una costante interpretazione giurisprudenziale:

A) non vi è dubbio che l’insistenza dell’immobile in un’area vincolata (senza che possa distinguersi tra vincolo storico artistico e vincolo paesistico) comporta la qualificazione dello stesso come pregiato, salvo che operi la deroga inerente allo stato di degrado in cui si trova (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008 n. 2012); pertanto, ai fini della considerazione dell’immobile, nell’ambito di una procedura di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici, come "di pregio" la circostanza che detto immobile sia sottoposto a vincolo lo colloca nella stessa posizione dell’immobile che si trova in un centro storico (nel caso di specie l’immobile è "in zona centrale, prossima al centro storico", cfr. pag. 2 della relazione dell’Ente verificatore);

B) per un immobile situato in centro storico (o, secondo quanto sopra precisato, in zona prossima al centro storico e vincolato) la qualifica di pregio deve essere esclusa quando concorrono lo stato di degrado e la necessità di interventi di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2008 n. 4694 nonché T.A.R. Lazio, Sez. II, 1 febbraio 2010 n. 1257);

C) anche a non voler ritenere necessaria la compresenza dei due elementi nonostante la congiunzione "e" presente nell’art. 26 cit., non vi è dubbio che si deve trattare di un "degrado qualificato", che non va collegato al concetto di inagibilità dell’immobile – perché diversamente il bene non sarebbe nemmeno idoneo alla vendita e non sarebbe stato neanche idoneo alla locazione – ma deve presentare diffuse carenze dovute a perdita delle originarie caratteristiche di funzionalità e di sicurezza, tali da escludere la qualificazione di pregio;

D) gli interventi di "recupero" ammessi, che possono escludere la qualificazione di pregio degli immobili, sono quelli di cui alle lettere c) e d) dell’art. 31, comma 1, della legge 5 agosto 1978 n. 457, poi trasfusi nell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 31 luglio 2009 n. 4840);

E) il degrado riferito al piano cantine non è di per sé elemento che può determinare il riconoscimento del degrado dell’intero immobile (cfr., in analogia, Cons. Stato, Sez. VI, 28 aprile 2010 n. 2428);

F) non possono essere definiti degradati, ai fini che qui interessano, gli immobili che necessitano di interventi di riparazione, rinnovamento o sostituzione delle finiture esterne, che rientrano nel concetto di manutenzione ordinaria, ovvero che abbisognano di modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali dell’edificio o realizzare o integrare i servizi igienici e tecnologici, che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità abitative, da far rientrare nel concetto di manutenzione straordinaria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2008 n. 4696);

G) per negare la qualifica di pregio a detti immobili deve emergere la necessità di interventi volti al consolidamento, ripristino o rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio o alla necessità di impianti richiesti dalle esigenze dell’uso abitativo, quali l’impianto elettrico fatiscente, l’assenza nelle abitazioni di acqua diretta, l’assenza di un impianto fisso di riscaldamento, lesioni diffuse e passanti nelle pareti e nei soffitti in oltre il 60% dei vani, evidenti difetti strutturali nei due terzi degli infissi di chiusura delle aperture esterne, lesioni diffuse e passanti in misura superiore al 50% della superficie complessiva della facciata dell’edificio, precaria situazione strutturale con indebolimento delle strutture portanti a causa di aperture di varchi e quadro fessurativo alquanto diffuso con diverse lesioni, carenze strutturali e funzionali negli orizzontamenti e indebolimenti delle strutture delle scale, accresciuta vulnerabilità sismica (Cons. di Stato, VI, 7 agosto 2008 n. 3899 n. 5961 del 2005);

H) la nozione di immobile degradato va interpretata in senso relativistico, con riferimento allo stato di conservazione che è lecito attendersi riguardo alle endemiche caratteristiche del bene ubicato nel centro storico, il quale versa di norma in una situazione differenziata rispetto agli altri almeno quanto all’epoca della sua costruzione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 4694 del 2008 cit. nonché T.A.R. Lazio, Sez. II, 6 febbraio 2009 n. 1267);

I) la vetustà di un immobile comporta che il normale stato di conservazione del medesimo possa o anche debba richiedere l’effettuazione di opere manutentive, di rifacimento, ecc., ma non per questo solo il bene può essere qualificato come degradato (Cons. di Stato, VI, 29 maggio 2008 n. 2553), perché altrimenti la maggioranza delle abitazioni insistenti nei centri storici delle città dovrebbe essere qualificata tale.

7. – Fermo quanto sopra, con riferimento alla fattispecie concreta e tenuto conto degli esiti della disposta verificazione riversati nella relazione conclusiva, non risultano sussistere ad avviso del Collegio i requisiti e gli elementi per poter sostenere che l’immobile sito in Siena alla Via Tozzi n. 7, in prossimità del centro storico e sottoposto a vincolo ai sensi del D.M. 14 maggio 1956, non sia di pregio, avendo peraltro dimostrato l’operazione istruttoria disposta dal Tribunale che la procedura svolta dagli Enti coinvolti nella specifica operazione di dismissione del patrimonio immobiliare avevano agito secondo le coordinate normative stabilite in materia.

In primo luogo la relazione del Provveditorato di Firenze chiarisce come l’immobile, benché agibile, presenti comunque "diffusi elementi o situazioni di degrado (inteso come un insieme di carenze dovute a perdite di originarie caratteristiche di funzionalità e sicurezza e carenze dovute a mancato adeguamento a interventi più elevati e prescritti standard di funzionalità e di sicurezza)". Prosegue la relazione (a pag 5, nell’ambito delle "considerazioni conclusive") precisando che "almeno in parte le carenze riscontrate coinvolgono abbastanza diffusamente, come estensione, alcuni elementi tipologici dell’immobile quali appunto in particolare le facciate (intonaci, rivestimenti, etc.) e gli infissi esterni, lasciando percepire effettivamente una perdita delle originarie caratteristiche di funzionalità e decoro". Conclude però dichiarando che "in definitiva si può affermare che le carenze riscontrate sono da attribuirsi in parte proprio alla vetustà dell’immobile e dei suoi componenti (ad es. per gli infissi esterni), in altra parte ad una manutenzione straordinaria di frequenza inferiore a quella necessaria (ad. es. per le facciate)" e, soprattutto, affermando che "ad ogni modo si ritiene che per riportare l’edificio in buone condizioni, pur sempre nei limiti delle sue potenzialità intrinseche, siano necessari interventi che si possono inquadrare al più nella manutenzione straordinaria in particolare per le facciate esterne e gli infissi (…) ma anche per quanto riguarda la più corretta sistemazione dell’intercapedine areata presente a ridosso del terrapieno nei piani seminterrati e nei locali ad essa adiacenti" (cfr. pag. 6 della relazione).

Quindi ed in sostanza, tenuto conto di quanto emerge dalla relazione nella parte in cui specifica le attività istruttorie svolte al fine di redigere la relazione stessa ed adempiere all’invito istruttorio del Tribunale, è emersa una condizione di cattive condizioni di manutenzione della facciata e dei prospetti interni con distacchi di pezzi d’intonaco, dei serramenti interni, la presenza di umidità nelle murature dei locali seminterrati ma che, pur tuttavia, "il fabbricato abbia una condizione di degrado almeno di una delle parti che lo caratterizzano me nello stesso tempo esprima delle potenzialità di completo recupero dell’efficienza complessiva".

In altri termini, la disposta verificazione ha evidenziato manifesti sintomi di vetustà dell’edificio, ma non tali da richiedere interventi sulle parti costitutive dell’immobile. Di conseguenza e tenuto conto delle coordinate normative e giurisprudenziali più sopra riproposte, emerge un quadro delle condizioni dell’immobile che conduce ad affermare la necessità di interventi che però non superano il limite della manutenzione straordinaria e non tali, quindi, da far escludere che l’immobile possa essere ricondotto nell’ambito dei c.d. immobili di pregio.

Su tali aspetti si è fatta carico la relazione, nella sua parte finale, di esporre analiticamente il quadro delle condizioni che riguardano l’immobile in questione chiarendo, senza ombra di dubbio, "che tutti gli interventi sopra descritti come minimi necessari per riportare l’immobile in buono stato, anche nel loro insieme, possono essere inquadrati nella specie della manutenzione straordinaria così come individuata all’art. 3 del T.U. dell’edilizia" (così, testualmente a pag. 6 della relazione.

Ne deriva, pertanto, la comprovata infondatezza dei tre motivi (centrali) di ricorso qui esaminati.

9. – Quanto infine alla questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ultimo motivo di ricorso, è sufficiente richiamare l’orientamento già espresso ripetutamente dalla Sezione sul punto, per cui è stata ritenuta coerente con i principi di uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa la previsione normativa dell’art. 3 comma 8, comma 13 e comma 20, della legge n. 401 del 2001 e successive modifiche, che regola la dismissione di beni del patrimonio pubblico in modo da assicurare, unitamente al differente trattamento di situazioni obbiettivamente diverse (immobili di pregio e non), l’efficace vendita di tali beni secondo valori realistici e conformi alle indicazioni del mercato (cfr., fra le tante. T.A.R. Lazio, Sez. II, 15 marzo 2007 n. 2332).

10. – In ragione delle suesposte osservazioni e della rilevata infondatezza dei motivi di censura il ricorso deve essere respinto.

Stante la complicatissima procedura che ha fatto da sfondo al presente contenzioso e la peculiarità tecnica delle questioni trattate il Collegio stima, nondimeno, che possano compensarsi le spese di giudizio tra tutte le parti costituite ed intimate.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda), pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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