Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-03-2011) 21-04-2011, n. 16056 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 3 novembre 2009, la Corte d’Appello di Palermo, nel giudizio di rinvio a seguito di pronuncia di questa Corte (Sez. 4, n. 9947/09), in parziale accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata da D.V.S., liquidava in favore dello stesso la somma, equitativamente determinata, di Euro 40.000,00.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione in relazione alla contraddittorietà fra le premesse e le conclusioni dell’iter logico seguito dalla Corte territoriale.

Evidenziava, a tale proposito, che la somma liquidata era di importo inferiore rispetto a quello che sarebbe risultante dalla quantificazione aritmetica e che mancava un’adeguata valutazione della documentazione prodotta dalla difesa nonostante la stessa fosse menzionata nel provvedimento.

Lamentava, inoltre, la mancanza di coerenza e logicità della motivazione nella parte in cui non aveva riconosciuto il danno patrimoniale patito.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge con riferimento ai criteri adottati per quantificare l’ammontare dell’indennizzo ai sensi degli artt. 315 e 643 c.p.p..

Osservava, in particolare, che attraverso una quantificazione meramente aritmetica l’ammontare della somma da liquidare avrebbe dovuto essere pari ad Euro 57.304,26, corrispondenti al prodotto della moltiplicazione dell’importo previsto per ciascun giorno di detenzione (Euro 235,82) per la durata complessiva della stessa.

La quantificazione effettuata, pertanto, sarebbe il risultato di un giudizio che esorbitava dai limiti di valutazione discrezionale attribuita ai giudici e non era comunque idonea al ristoro del grave pregiudizio subito con la ingiusta detenzione.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia ripetutamente precisato che in tema di ingiusta detenzione, può essere soltanto verificato, in sede di legittimità, che il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo provvedimento, mentre il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione non è consentito, tranne nel caso in cui il sindacato sulla sufficienza o insufficienza dell’indennità riguardi una liquidazione effettuata discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti adottando criteri manifestamente arbitrali o immotivati oppure liquidando in modo simbolico la somma dovuta (Sez. 4, n. 10690, 18 marzo 2010; Sez. 4, n. 25901, 19 giugno 2009;

Sez. 4, n. 26388,9 luglio 2007).

Così delimitato l’ambito di operatività del giudizio di legittimità in tema di riparazione per ingiusta detenzione, va posta l’attenzione sul fatto che, secondo un indirizzo ormai consolidato, la quantificazione del danno attraverso il calcolo aritmetico viene effettuata sulla base della somma ricavata dal rapporto tra la somma massima prevista dall’art. 315 c.p.p., comma 2 e la durata massima della custodia cautelare, pari ad Euro 235,82 per ciascun giorno di detenzione, che può essere anche dimezzata nel caso di detenzione domiciliare in ragione della sua minore afflittività.

Si è tuttavia precisato (Sez. 4, n. 38266, 30 settembre 2009) che tale sistema di calcolo costituisce soltanto un criterio di base volto ad assicurare una certa uniformità ed oggettività di giudizio sottraendo la determinazione dell’indennizzo a valutazioni meramente soggettive e che le somme così individuate possono comunque essere aumentate o diminuite in considerazione delle dimostrate contingenze del caso concreto (fermo restando il limite massimo fissato dal menzionato art. 315 c.p.p.).

Si è anche aggiunto che tale valutazione, di evidente natura discrezionale, richiede da parte del giudice una congrua, ancorchè sintetica, motivazione, tale da rendere conto dei dati probatori valorizzati e delle conseguenti valutazioni, in modo tale da poter ripercorrere l’iter logico seguito per pervenire alla decisione.

Ciò posto, deve rilevarsi che l’impugnato provvedimento rende adeguatamente conto delle circostanze considerate ai fini della liquidazione.

Segnatamente, con riferimento alla durata complessiva della detenzione, individua il numero complessivo di giorni distinguendo il periodo di detenzione inframuraria e domiciliare, richiamando, con riferimento a quest’ultima, la minore afflittività.

Tale richiamo evidenzia, con riferimento ai menzionati parametri di indennizzo giornaliero, che la somma determinata non appare inferiore a quella quantificabile aritmeticamente come lamentato dal ricorrente, il quale ha effettuato il calcolo semplicemente moltiplicando l’importo massimo stabilito per la detenzione in carcere per l’intero periodo sofferto.

Viene poi considerato lo stato di incensuratezza del ricorrente e la particolare afflizione ricavata dalla privazione della libertà personale, nonchè la gravità e la natura delle imputazioni ed il danno all’immagine conseguente, ampliato peraltro dalla diffusione, attraverso la stampa, di notizie sulla vicenda giudiziaria.

Altrettanto puntualmente vengono indicate le ragioni per le quali non si ritiene di riconoscere un pregiudizio di natura patrimoniale, in quanto il ricorrente non ha fornito alla Corte territoriale alcun elemento atto a comprovare l’esercizio di un’attività lavorativa al momento dell’arresto nè, tantomeno, l’entità di eventuali guadagni dalla stessa derivanti, così come risultava non dimostrato il superamento delle prime prove per l’ingresso nell’Arma dei carabinieri, poi precluso a seguito del patito arresto.

La correttezza delle argomentazioni poste a sostegno della impugnata ordinanza risulta evidente sulla base della semplice considerazione che si tratta di circostanze le quali avrebbero potuto essere agevolmente documentate dall’interessato e che, giustamente, la Corte d’Appello ha ritenuto non provate sulla base della mera esibizione di due articoli di stampa che le menzionavano.

In definitiva, il provvedimento impugnato non presenta i vizi di legittimità denunciati, avendo il giudici del merito fatto buon uso delle disposizioni normative applicate ed esponendo in modo coerente e privo di cedimenti logici le ragioni poste a sostegno della valutazione equitativa del quantum liquidato.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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