Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-03-2011) 21-04-2011, n. 16054 Igiene degli abitati e delle abitazioni Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 26 luglio 2010, il Tribunale di Chieti rigettava la richiesta di riesame presentata, nell’interesse di C. D., avverso il sequestro preventivo di uno scarico non autorizzato di reflui provenienti da un insediamento esercente l’attività vitivinicola con recapito finale in pubblica fognatura e per i quali risultava accertato il superamento dei limiti di legge per il parametro relativo al rame, ipotizzandosi così la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, commi 1 e 5, eseguito in via d’urgenza dalla polizia giudiziaria e successivamente convalidato dal G.I.P..

Avverso tale provvedimento il C. proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 321 c.p.p., rilevando l’illegittimità del sequestro in quanto eseguito d’iniziativa dalla polizia giudiziaria in assenza del requisito dell’urgenza richiesto dal comma 3 bis della menzionata disposizione poichè, a suo dire, all’atto del sequestro nessuno scarico era in corso di effettuazione ed al momento del campionamento l’impianto di depurazione non era in funzione.

Con un secondo motivo di ricorso rilevava la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, in quanto l’originaria autorizzazione allo scarico non era mai stata sospesa o revocata ed era stata oggetto di puntuali richieste di rinnovo non riscontrate dall’amministrazione competente, cosicchè lo scarico poteva comunque ritenersi lecitamente effettuato in ragione di quanto disposto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 (erroneamente indicato in ricorso come art. 214).

Osservava, inoltre, che lo scarico non poteva essere qualificato come industriale per essere lo stesso assimilabile, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, alle acque reflue domestiche in quanto attinente ad una delle attività contemplate dalla disposizione richiamata.

Contestava, inoltre, la regolarità del prelievo di campioni effettuato per attestare il superamento dei limiti tabellari avvenuto ad impianto di depurazione fermo e, comunque, presso un pozzetto di ispezione posto all’interno dell’impianto medesimo e lontano dal punto di immissione in fognatura, nonchè senza rispettare la metodologia richiesta che avrebbe previsto l’effettuazione del "campionamento medio".

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va in primo luogo rilevato che l’art. 321 c.p.p., comma 3 bis stabilisce, con riferimento al sequestro preventivo eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria, che lo stesso può essere effettuato, nel corso delle indagini preliminari, in tutti i casi in cui una situazione di urgenza impedisca di attendere l’intervento del Pubblico Ministero.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza per la polizia giudiziaria di fronteggiare una eventuale situazione imprevista legittima l’esecuzione del sequestro non solo nei casi in cui il personale di polizia agisca di iniziativa, ma anche qualora l’intervento sia effettuato nell’ambito di attività delegata dall’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 36174, 22 settembre 2003; Sez. 2, n. 3460, 31 luglio 1995).

Si richiede, pertanto, che sussista il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati e che non sia possibile attendere nel frattempo il provvedimento del Pubblico Ministero.

Va conseguentemente affermato che, in materia di inquinamento delle acque, la presenza di uno scarico in assenza di autorizzazione, con superamento dei limiti di legge o comunque con modalità tali da determinare pericolo per la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente possa configurare quella condizione di urgenza che la norma richiede per l’immediato intervento della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 3 bis.

Nella fattispecie, risulta dal provvedimento impugnato che l’intervento del personale del Corpo Forestale era stato sollecitato dal tecnico gestore dell’impianto di depurazione della pubblica fognatura, nella quale lo scarico si immetteva, in quanto la concentrazione dei reflui provenienti dall’insediamento del ricorrente era tale da compromettere la funzionalità del depuratore.

Il personale intervenuto presso lo stabilimento verificava che lo scarico era in atto e dal depuratore dell’azienda si immetteva nella rete fognaria.

In tale frangente, dunque, era indubitabile la condizione d’urgenza che legittimava pienamente l’applicazione della misura poi convalidata dal G.I.P..

L’ordinanza impugnata è poi immune da censure anche per quanto riguarda la riconosciuta mancanza di autorizzazione allo scarico.

Viene evidenziato, infatti, che l’unico atto abilitativo conseguito dall’insediamento era un’autorizzazione datata 23 febbraio 1996, con validità fissata in quattro anni e mai rinnovata, anche se veniva esibito un sollecito diretto all’amministrazione comunale il 28 giugno 2005 e rimasto senza riscontro.

Ciò posto, deve rilevarsi che, con riferimento allo scarico in questione, doveva applicarsi la disciplina transitoria fissata dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 62, comma 11 che, per l’adeguamento degli scarichi esistenti alla data di entrata in vigore del decreto, muniti o meno di autorizzazione, prevedeva termini specifici ormai scaduti all’atto del controllo da parte della polizia giudiziaria.

Correttamente, dunque, il Tribunale ha ritenuto lo scarico non autorizzato, ai fini della valutazione della legittimità della misura reale, a nulla rilevando la presentazione di reiterate istanze di rinnovo, rimaste senza esito, di un’autorizzazione rilasciata da oltre un decennio.

Non poteva inoltre ritenersi applicabile, nella fattispecie, il disposto dell’art. 124, comma 8, che consente il mantenimento provvisorio degli scarichi per i quali sia stato tempestivamente richiesto il rinnovo dell’autorizzazione.

Il rilascio del titolo abilitativo, invero, presuppone una serie di adempimenti quali, ad esempio, il versamento della somma di cui all’art. 124, comma 11, e l’indicazione delle caratteristiche dello scarico e di controlli che caratterizzano lo specifico procedimento amministrativo che non può certo ritenersi neppure iniziato in presenza di una generica richiesta di rinnovo o di un mero sollecito.

Il Tribunale ha inoltre fatto buon uso delle disposizioni e dei principi applicati riconoscendo la regolarità del campionamento.

A prescindere dal fatto che la legittimità dell’operato degli accertatori potrà essere oggetto di esame nel giudizio di merito, va ricordato che anche le disposizioni vigenti, nell’indicare le modalità di campionamento, non stabiliscono alcun criterio legale di valutazione della prova, limitandosi a specificare che la metodica normale è quella del campionamento medio ma non escludendo che l’organo di controllo possa procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, in situazioni particolari.

Infatti il D.Lgs. n. 152 del 2006, nell’Allegato 5, specifica che le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono, di norma, riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore, ma precisa che l’autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuarlo su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze, quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc).

Tale giustificazione, anche sommaria, dovrà consentire di verificare che il campione prelevato sia comunque rappresentativo delle condizioni reali dello scarico secondo la valutazione dell’organo accertatore.

Detta valutazione, come risulta chiaramente dal testo in precedenza richiamato, non attiene esclusivamente ad aspetti tecnici, riferendosi anche alle condizioni dello scarico ed alla tipologia dell’accertamento, con la conseguenza che sarà fondata sull’insieme di tali elementi, globalmente considerati, poichè è di tutta evidenza che se l’accertamento riguarda scarichi effettuati in assenza di autorizzazione o superando i limiti tabellari, richiederà modalità ben diverse da quelle di un controllo di routine presso un insediamento che svolge regolarmente la propria attività.

Nella fattispecie, lo scarico in atto, l’assenza di titolo abilitativo ed il pericolo di compromissione dell’impianto di depurazione della pubblica fognatura legittimavano, senz’altro, l’espletamento del campionamento con la metodica seguita che assicurava la tempestività del prelievo e la rappresentatività del campione in relazione alle condizioni attuali.

Per quanto riguarda, infine, la pretesa assimilabilità dei reflui scaricati alle acque reflue domestiche, la stessa è stata giustamente esclusa dal Tribunale non ricorrendo, nella fattispecie, le condizioni di legge.

Invero, il ricorrente invoca l’applicabilità del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 2 riferendosi, evidentemente, alla lett. c), ove è stabilito che sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura o ad allevamento di bestiame che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità.

Il tenore letterale della norma è inequivoco nell’indicare i requisiti richiesti per l’assimilabilità.

In particolare, l’attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola presuppone che l’impresa eserciti esclusivamente l’attività agricola (o di allevamento) e che, nell’ambito della stessa, in presenza di un rapporto di stretta connessione funzionale, proceda poi alla trasformazione ed alla valorizzazione del prodotto utilizzando, inoltre, materia prima lavorata che deve pervenire in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui l’impresa disponga a qualsiasi titolo.

Nella fattispecie si versa, al contrario, in una ipotesi in cui l’insediamento dal quale proviene lo scarico esercita l’attività di produzione vitivinicola senza alcun rapporto di complementarietà funzionale con l’attività agricola che, peraltro, non viene svolta direttamente.

Si tratta, in altre parole, di un insediamento in cui si svolge la produzione di beni ed i cui reflui sono certamente qualificabili come industriali ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74, lett. h).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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