Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-03-2011) 21-04-2011, n. 16019 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 8.7.2008 il GUP presso il Tribunale di Milano dichiarava M.S. responsabile del reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis in concorso con M.S. e F.B. (giudicate separatamente), per aver il M. unitamente a F.B. acquistato e detenuto a fini di spaccio e quindi rivenduto a M. S. 200 grammi di cocaina di cui gr. 116.86 (con 53.983 di principio attivo) sottoposti a sequestro in data 17/1/07. Condannava, pertanto, il M., concesse le attenuanti generiche ed applicata la riduzione per il rito alla pena di anni tre, mesi uno e gg. 10 di reclusione nonchè alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. Questa, in sintesi, la vicenda, quale tratta dall’impugnata sentenza.

In data (OMISSIS) era transitata in entrata in Italia al valico di (OMISSIS), tale F.B. che risultava soggetto con precedenti per ricettazione ed aveva subito controlli di polizia per furto e traffico di stupefacenti. La donna, in tale occasione, aveva confidato alla P.G. che tra il (OMISSIS) altra donna da lei conosciuta ovvero M.S., una trentenne abitante a (OMISSIS), avrebbe introdotto in Italia un considerevole quantitative di cocaina.

Gli operanti, cosi allertati, procedevano, proprio il (OMISSIS), al controllo della Seat Ibiza tg (OMISSIS) condotta da M. S. in transito a (OMISSIS) in entrata alle h. 13,30, trovandola in possesso di circa 130 gr. di cocaina (suddivisa in due involucri – l’uno di 95,6 gr. e l’altro di 33,gr) nonchè di gr. 4,6 di eroina e gr. 1 di marijuana. Sottoposte a sequestro tali sostanze ed arrestata la donna, la stessa, in sede di convalida, si giustificava allegando una relazione sentimentale con un tale A. che la riforniva dell’eroina di cui lei era dipendente e che ad un certo punto aveva chiesto di essere pagato. Non avendone le disponibilità, la Ma. scartando la prospettiva di prostituirsi per l’ A., aveva accettato di introdurre la droga per suo conto in Italia.

L’approfondimento di indagini dopo l’arresto della Ma.Su. e il sequestro di due cellulari portava ad accertare che alle 12,48, poco prima dell’arrivo al valico di frontiera, la donna era stata chiamata da un’utenza intestata a M.S. e che la stessa aveva la disponibilità di foto che la ritraevano insieme alla F.B. e altri due uomini. Sottoposta a nuovo interrogatorio in data 13/2/07 la M.L., dopo avere in prima battuta riconfermato la versione dei fatti già resa, a fronte della contestazione delle circostanze emerse spiegava i rapporti effettivamente esistenti tra lei e la L. e il M., entrambi effigiati sulle foto di cui sopra. Spiegava che la F. – da lei occasionalmente conosciuta ad una fiera di mobili – e il M.S. avevano coabitato per tre anni in Slovenia:

conosciuti entrambi aveva saputo che il M. aveva disponibilità di stupefacenti (di buona qualità quella che circolava a (OMISSIS) come assicuratole dall’uomo) e quindi con la F. era partita dalla Slovenia in data collocata nei mesi finali del (OMISSIS); avevano raggiunto l’abitazione del cugino del S., M.L., e qui avevano come da accordi intercorsi ricevuto un quantitativo di cocaina al prezzo in parte di Euro 70 al grammo – quella migliore – e parte ad Euro 50,00 al grammo che a lei e alla F. era stata consegnata dal M. dopo essersi assentato da casa per qualche tempo. In pagamento era stata consegnata la somma di Euro 12.000,00 al M..

Sempre con la F., aveva fatto ritorno in patria, messo in vendita la coca agli acquirenti sloveni che pero si erano lamentati perchè la stessa non aveva la qualità promessa: aveva girato il reclamo al M. e alla F. che avevano accettato di riprendersi il residuo di droga non smerciato. Per questo il (OMISSIS) avrebbe dovuto riportare la cocaina a (OMISSIS), originariamente insieme alla F. che l’avrebbe dovuta accompagnare come in occasione della venuta per l’acquisto. Ma l’amica l’aveva avvertita all’ultimo che lei si trovava già a (OMISSIS), e che si sarebbero incontrate subito dopo il confine di (OMISSIS). Precisava che l’aveva sentita per telefono poco prima del valico avendo precise istruzioni sul percorso da seguire. La donna apprendeva dagli operanti che era stata l’amica a farla arrestare, non capacitandosi di tale scelta che attribuiva al non voler restituire la somma già introitata dalla coppia M. – F.; spiegava che aveva -ovviamente ignara della segnalazione dell’amica – dato una versione che tenesse al riparo gli interessati destinatari della cocaina rinvenutale. Precisava, ancora, che la F. era andata come interprete insieme al suo difensore a trovarla in carcere, per assicurarsi della versione fornita agli inquirenti. Emergeva, inoltre, da indagini svolte in quel di (OMISSIS), che le foto estratte dal telefonino della M.L. ritraenti sè e i coimputati erano state scattate il giorno del raduno Ferrari a (OMISSIS) ed esattamente il (OMISSIS). Il M., interrogato il 25/3/07, ammetteva di conoscere e di avere una relazione con la B.F. con cui aveva abitato in una località slovena. Ammetteva anche di conoscere la M.S. che la sua donna aveva conosciuto a (OMISSIS) in occasione di una fiera del mobile e a cui la stessa aveva chiesto, ottenendolo, un lavoro (un salone di mobili a (OMISSIS)), da un anno stringendo con lei amicizia. Ammetteva che le due donne erano state ospiti a casa del cugino M.L. e negava tutto quanto attinente alle accuse mossegli circa la disponibilità e le cessioni di cocaina ed il relativo pagamento.

Il Tribunale argomentava in dettaglio sull’attendibilità soggettiva della Ma. le cui dichiarazioni auto-etero accusatorie trovavano riscontro adeguato dalle circostanze oggettive acquisite, definendole anche assolutamente prive di rancore e fondava pertanto sulle stesse la condanna del M..

Detta sentenza veniva confermata da quella in data 27.10.2009 della Corte di Appello di Milano che replicava ampiamente ai motivi di gravame concernenti, per la quasi totalità, la pretesa inattendibilità della chiamata in correità e, per il resto, la misura della pena.

Avverso tale ultima sentenza ricorre per cassazione M. S. deducendo i seguenti motivi.

1. La contraddittorietà ed illogicità della motivazione e la violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p.. a) Si duole della mancata rigorosa verifica dell’attendibilità della chiamata di correo effettuata dalla Ma. e contesta, in particolare, l’assenza di una motivazione logica le censure mosse al riguardo con l’atto d’appello e critica tutte le argomentazioni per rispondere alle medesime addotte dalla Corte territoriale che, pur ammettendo incongruenze concernenti i termini dell’accordo, la data di consegna, il prezzo e la quantità dello stupefacente, le modalità dell’accordo e i suoi autori, la prova o assaggio della sostanza, ritiene tali incongruenze particolari di secondaria importanza. Nulla era stato detto in ordine alla coerenza (acquisto di cocaina da parte di tossicodipendente che dice di non usare cocaina) e all’articolazione (nulla si diceva circa la provenienza del denaro). b) Rileva, altresì, l’illogicità della motivazione laddove la Corte aveva ritenuto inconcludente che i fatti verificati effettivi (cioè i riscontri riguardanti il rinvenimento delle foto ritraenti la Ma. con il ricorrente) siano avvenuti prima della chiamata benchè la difesa avesse fatto presente che erano le foto state mostrate dagli operanti alla Ma. prima di essa.

La Corte, inoltre, aveva superato illogicamente il rilievo secondo cui il M. parlava lo sloveno, a fronte di quanto riferito dalla Ma..

Rappresenta la mancata considerazione di circostanze o ipotesi diverse e di altri dati emergenti dalle investigazioni svolte (la F., nell’atto di portare generi alimentari alla Ma. era accompagnata da tale P.M., noto quale spacciatore di cocaina; una lettera scritta dalla Ma. dal carcere nonchè una conversazione telefonica del 9.3.2007 in cui il M. apprende che la Ma. era uscita dal carcere).

2. Il vizio motivazionale in ordine alla misura della pena che, così come determinata, non avrebbe la funzione di emenda prescritta.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Non è inutile ricordare che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito (Cass. pen. Sez. 4, 19.6.2006, n. 38424), giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen., Sez. 4, 12.2.2008, n. 15556, rv.

239533).

Peraltro, quando la censura richiami, per la sua esplicitazione, specifici atti processuali (come l’interrogatorio dinanzi al GIP della Ma. o sue dichiarazioni al P.M.), la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, deve applicarsi, anche in sede penale, il principio della cosiddetta "autosufficienza del ricorso", elaborato dalla giurisprudenza civile di legittimità sulla base della formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, onde è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi in modo da rendere possibile l’apprezzamento del vizio dedotto (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023;

Sez. 1, 22.1.2009, n. 6112 Rv. 24322).

Ma ciò vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., Sez. 2, 24.1.2007, n. 5223, Rv. 236130; 15.1.2008, n. 5994 ed altre successive conformi).

Le minuziose e puntuali risposte (pagg. 5-9 sent.) addotte dalla Corte territoriale alle censure proposte con i motivi d’appello (pagg. 3-4 sent.) s’appalesano tutte perfettamente esaustive e corrette, in alcun modo eludenti i quesiti posti, tutti rivolti a contestare l’attendibilità della chiamata in correità della Ma.Lu. e giudicati inconferenti sia quanto alla credibilità intrinseca della chiamante sia in ordine alla pretesa non valenza dei "ponderosi" riscontri esterni, già in quella sede rilevando che trattavasi di argomenti tesi ad evidenziare contraddizioni su particolari quantitativi o di altro tipo che risultavano spiegati alla luce delle delucidazioni fornite dalla stessa coimputata, esaminata avanti al GIP, proprio in verifica minuziosa da parte del P.M. della credibilità della stessa.

Nè comunque, può ritenersi che le specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi di appello fossero dotate del requisito della decisività, sicchè il loro omesso esame rendesse incompleta la motivazione del giudice d’appello. Invero, quanto ai dedotti "silenzi" in ordine a quelle emergenze fattuali enucleate sub 1 b) (di cui non è nemmeno chiara la determinante rilevanza), va osservato che nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. pen., Sez. 4, 24.10.2005, n. 1149, Rv, 233187). Inoltre, in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa, come nel caso di specie, è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata.

Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Cass. pen. Sez. 2, 19.5.2004 n. 29434 Rv.

229220). E a tanto ha esaurientemente e correttamente adempiuto la sentenza impugnata.

Anche quanto alla seconda censura, relativa alla misura della pena, la motivazione addotta è del tutto esaustiva ed ineccepibile, avendo richiamato la quantità e il tipo dello stupefacente e contro dedotto adeguatamente alla rappresentata attività lavorativa dell’imputato.

Del resto, la valutazione dei vari elementi concernenti in generale la dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice a quo il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p., è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ammette sul punto, addirittura, la c.d. motivazione implicita (Cass. pen. sez. 6, 22.9.2003 n. 36382 Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" (v. Cass. sez. 6, 4.8.1998 n, 9120 Rv. 211583).

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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