T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 19-04-2011, n. 3433 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Occorre premettere in fatto che la ricorrente ha chiesto, previa presentazione di un Piano di Utilizzazione aziendale (PUA) redatto ai sensi dell’art. 57 della LR 22.12.1999, n. 38, il permesso di costruire un immobile per civile abitazione a servizio dell’attività agricola dalla stessa gestita nonché della ristrutturazione di un annesso agricolo.

Dopo alcune richieste istruttorie, l’amministrazione comunicava in data 3.8.2009 all’istante il preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90 e poi il provvedimento di definitivo diniego, del 8.9.2009, prot. 6578, impugnato con il ricorso principale.

Tale provvedimento si fondava sull’asserita impossibilità di riconoscere la deroga di cui all’art. 57 della l.r. 38/99 per la realizzazione di strutture abitative e sulla insussistenza, nel caso di specie, delle condizioni previste dall’art. 55, comma 6, l.r. n. 38/99, ovvero la disponibilità di una superficie continua di almeno 30.000 mq.

A seguito dell’accoglimento, ai fini del riesame, della istanza cautelare della ricorrente, il comune ha emanato un secondo atto, del 17.2.2010, recante comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente impugnava quindi il provvedimento del 5.5.2010, con cui il comune, in esecuzione dell’ordinanza del TAR, ribadiva il diniego di concessione del richiesto permesso di costruire.

Tale diniego era motivato con riferimento alla inidoneità del PUA presentato a derogare prescrizioni relative al lotto minimo ed alle dimensioni degli annessi agricoli di cui all’ articolo 55, in quanto esso non raggiungerebbe una superficie complessiva superiore al lotto minimo, corrispondente nel caso di specie a 30.000 mq, dal momento che il comune non ha provveduto alla individuazione delle unità aziendali ottimale e minima di cui all’art. 52, comma 3 e D.G.R. del 12.12.2000, n. 2503.

Sostiene, di contro, la ricorrente, nel secondo motivo di ricorso, che il comune resistente aveva fissato nel proprio PRG l’unità aziendale minima in 15.000 mq. e che pertanto il comune non poteva far riferimento alla superficie minima indicata dall’art. 55, l.reg. 38/99 giacché detta norma riguarda solo il caso di mancata fissazione di una unità minima aziendale.

Deduce inoltre la ricorrente, sempre nel secondo motivo, disparità di trattamento per essere stati rilasciati nell’anno 2008 altri permessi di costruire aventi ad oggetto superfici inferiori al lotto minimo. Analoga disparità di trattamento si ravvisa in relazione a note predisposte dal comune nel mese di febbraio del 2010 e concernenti interventi analoghi a quello non assentito alla ricorrente, su superfici addirittura minori.

Nel primo motivo, inoltre, la ricorrente lamenta la violazione dell’art.20 del TU edilizia non avendo l’amministrazione concluso nel termine previsto il procedimento.

Il comune di Canale Monterano si è costituito e ha depositato una memoria per chiedere il rigetto del ricorso perché infondato.

All’udienza dell’11.1.2011, il collegio pronunciava una ordinanza collegiale istruttoria, con la quale chiedeva chiarimenti al comune resistente circa l’individuazione del lotto minimo.

Il comune depositava una nota esplicativa alla quale la ricorrente ribatteva con una memoria difensiva per l’udienza, ritualmente depositata.

All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.

La questione oggetto del presente giudizio, all’esito dell’ultima delle determinazioni del comune ( provvedimento del 5.5.2010), che consente di ritenere superato il precedente atto di diniego, impugnato con il ricorso originario (il quale pertanto va dichiarato improcedibile), è se debba o meno applicarsi al caso di specie la previsione di cui all’art. 55, comma 6, l. r. 38/99, secondo il quale in mancanza di individuazione da parte del comune della "unità aziendale minima", il lotto minimo per consentire l’edificazione di immobili ad uso abitativo è fissato dalla legge in 30.000 mq.

In sostanza, dunque, posto che l’ "unità aziendale minima", disciplinata dall’art. 52, comma 3 della l. reg. 38/99, coincide appunto con il "lotto minimo" di cui all’art. 55, comma 5, della stessa legge, la questione è se l’individuazione del lotto minimo per le zone agricole, effettuato con il piano regolatore generale approvato dal comune di Canale Monterano nel 1997, possa o meno essere considerata come determinazione dell’ "unità aziendale minima" ai sensi dell’art. 52, comma 3 della l. reg. 38/99.

Infatti, in caso positivo, il lotto minimo sarebbe di 20.000 mq in base a quanto previsto dall’art. 21 della NTA del p.r.g. comunale, ovvero addirittura di 15.000 mq in caso di lotti di terreno derivanti dalla suddivisione in quote effettuata dall’università agraria, e non troverebbe applicazione la previsione di cui al sesto comma dell’art. 55 l. 38/99. E’ questa infatti la tesi esposta nell’ultimo ricorso per motivi aggiunti, al secondo motivo.

Viceversa, qualora dovesse giungersi alle opposte conclusioni, dovrebbe applicarsi la previsione di cui al sesto comma dell’art. 55 l. 38/99 e cioè la determinazione legale del lotto minimo in 30.000 mq, così come sostiene il comune resistente.

Ai fini della risoluzione del quesito occorre in primo luogo effettuare un’accurata esegesi del testo della l. Reg. 38/99, onde verificare se la nozione di "lotto mimino" di cui all’art. 21 NTA del PRG comunale possa ritenersi – come sostiene la ricorrente – pienamente sovrapponibile a quella di "unità aziendale minima" di cui all’ articolo 52, comma 3 della l. reg. 38/99.

Occorre premettere che per quanto riguarda la edificazione in zona agricola, la l. n. 38/99 ha un orientamento restrittivo, in quanto intende favorire il recupero del patrimonio edilizio rurale esistente, anziché le nuove edificazioni, le quali sono consentite solo nei limiti di cui all’art. 55, comma 5.

Al fine della regolamentazione della nuova edificazione, oltre a prevedere stringenti limiti di edificabilità per ciascun lotto, la normativa regionale definisce il "lotto minimo" identificandolo appunto – come si è detto – con la "unità aziendale minima" di cui all’art. 52, comma 3.

Secondo quest’ultima norma, la determinazione dell’unità aziendale minima (e dunque del lotto minimo) deve essere effettuata dal PUC o dalle sue varianti, sulla base di parametri di natura agricola ed economica, dovendo essa garantire, in base alle caratteristiche del territorio e soprattutto alle colture ordinariamente praticabili, la convenienza economica dell’esercizio dell’attività agricola "da determinarsi in base all’occupazione non inferiore alla metà del tempo di lavoro ed alla metà del reddito comparabile di un’unità lavorativauomo."

L’ individuazione della unità aziendale minima va effettuata per ciascuna delle sottozone, le quali, ai sensi dell’art. 52, comma 2, devono essere individuate dopo "una rilevazione e descrizione analitica delle caratteristiche fisiche del territorio interessato e delle sue potenzialità produttive", da effettuarsi mediante specifiche indagini sulla morfologia dei luoghi, la natura dei terreni, le caratteristiche socioeconomiche del luogo ecc..

La logica della nuova normativa, pertanto, vede come prius logico, nell’ambito dell’assetto agroforestale del territorio, la determinazione dell’unità aziendale minima, la quale vale anche – ma non solo – a fini edificatori, coincidendo sotto questo profilo con il lotto minimo individuato ai sensi della nuova normativa. Pertanto, se ne deve dedurre che solo mediante la determinazione dell’unità aziendale minima, effettuata secondo le modalità prescritte dall’art. 52 della l. reg. 38/99, il comune potrà derogare alla determinazione legale del lotto minimo di cui all’art. 55, comma 6, di 30mila mq.

Non sembra pertanto possibile ritenere, in base alla disciplina vigente, che la precedente definizione di lotto minimo da parte del PRG del comune resistente, effettuata addirittura prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 38/99 e dunque giocoforza in mancanza della definizione della "unità aziendale minima" ai sensi dell’art. 52 della stessa legge (che peraltro tuttora il comune non ha effettuato), possa essere ritenuta idonea ad impedire l’applicazione della disciplina residuale dettata dal legislatore all’art. 55, comma 6, per il caso di mancata individuazione da parte dei comuni della "unità aziendale minima".

Una tale ricostruzione, infatti, svuoterebbe in sostanza di contenuto innovativo la nuova disciplina e finirebbe per sottrarre del tutto i comuni dall’obbligo di uniformarsi ad essa.

Viceversa, appare evidente che la nuova disciplina regionale ha inteso appunto dare specifiche indicazioni per la modifica degli strumenti urbanistici comunali (come dimostra il tutolo del capo I: "indirizzi per la redazione degli strumenti urbanistici"), imponendo ai comuni di adeguarli alla sopravvenuta disciplina e prevedendo nel contempo delle misure temporanee da applicarsi fino a che i comuni non si siano uniformati ai dettami della nuova legge.

A tal fine, è illuminante l’art. 65 bis (articolo aggiunto dall’articolo 2 della L.R. n. 28 del 04092000 e poi in parte modificato dall’articolo 285 della L.R. n. 10 del 10052001 e successivamente dall’articolo 1 della L.R. n. 17 del 03082001) che reca "Disposizioni transitorie per le zone agricole" e prevede: "1. Ai fini degli adempimenti comunali di cui all’articolo 52, la Giunta regionale, entro il 15 dicembre 2000, con propria deliberazione, detta appositi criteri ed indirizzi per la definizione della diverse aree produttive del Lazio. 2. Entro il 31 dicembre 2001, i comuni provvedono ad indicare l’unità aziendale ottimale e l’unità aziendale minima ai sensi dell’articolo 52, comma 3. 3. Fino alla scadenza del termine di cui al comma 2, in deroga a quanto disposto nell’articolo 51, comma 2, alle zone agricole definite all’interno degli strumenti urbanistici vigenti continuano ad applicarsi le disposizioni previste negli strumenti stessi. Decorso il termine suddetto alle zone agricole definite all’interno degli strumenti urbanistici vigenti si applicano le disposizioni di cui al Titolo IV."

Dunque, la lettura complessiva e sistematica delle norme della l. 38/99 consente di affermare che la determinazione della unità aziendale minima debba essere effettuata dai comuni, unicamente, ai sensi dell’art. 52, comma 3 e che pertanto la determinazione del lotto minimo contenuta in precedenti strumenti urbanistici non possa ritenersi equipollente a tale obbligatorio adempimento.

Il comune di Canale Monterano non risulta aver ancora individuato l’unità aziendale minima secondo quanto prescritto dall’art. 52 comma 3, né avere ancora adeguato gli strumenti urbanistici alle indicazioni del legislatore regionale.

Pertanto, il PRG comunale approvato nel 1997 e quindi prima dell’entrata in vigore della l. 38/99, con cui il comune ha individuato il "lotto minimo" per le zone agricole, sottozona E1, non può più trovare applicazione, essendo decorsi i termini di cui all’art. 65 bis, sopra riportato.

Deve invece farsi applicazione diretta delle norme di cui al titolo IV della l. 38/99 e tra queste, in particolare, dell’art. 55, comma 6, il quale prevede – come si è già detto – che in mancanza della individuazione della unità aziendale minima (ovvero fintanto che tale individuazione non verrà effettuata), il lotto minimo è fissato ex lege in 30mila metri quadri.

Sempre nel secondo motivo, deduce inoltre la ricorrente, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento per essere stati rilasciati nell’anno 2008 altri permessi di costruire aventi ad oggetto superfici inferiori al lotto minimo. Analoga disparità di trattamento si ravviserebbe in relazione a note predisposte dal comune nel mese di febbraio del 2010 e concernenti interventi analoghi a quello non assentito alla ricorrente, su superfici addirittura minori.

Anche sotto tale profilo, le doglianze della ricorrente non possono trovare accoglimento.

La giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, infatti, afferma che la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell’Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall’interessato, con la precisazione che la legittimità dell’operato della Pubblica amministrazione non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione. (Consiglio Stato, sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79).

Nel caso di specie, in primo luogo, non si verte in ambito di scelte discrezionali, dal momento che – come si è visto in precedenza – è la legge regionale a richiedere il lotto minimo di 30mila mq come condizione per il rilascio del permesso di costruire. Inoltre, l’eventuale esistenza di precedenti provvedimenti della amministrazione in cui un permesso di costruire sia stato assentito in violazione di legge non può giustificare una ulteriore illegittimità. Non può pertanto ravvisarsi alcun vizio di disparità di trattamento.

Il secondo motivo dell’ultimo dei motivi aggiunti deve dunque essere respinto.

Anche il primo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione degli artt.20 e 21 del TU edilizia, non avendo l’amministrazione concluso nel termine previsto il procedimento, non può essere accolto.

Un provvedimento di diniego di permesso di costruire adottato oltre il termine stabilito dalla legge per la formazione del silenziorifiuto deve considerarsi legittimo, non avendo la p.a. perso il potere di provvedere. Pertanto, non rileva ai fini della legittimità del provvedimento assunto, il fatto che l’Amministrazione abbia provveduto oltre i termini previsti dalla legge di settore. Tali termini assumono, infatti, significato solo al fine di consentire alla parte interessata, eventualmente, di procedere attraverso il particolare ed accelerato procedimento del silenzio, ottenendo un ordine a provvedere da parte del giudice amministrativo. (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 febbraio 2008, n. 1072.e TA.R. Puglia Lecce, sez. III, 26 ottobre 2010, n. 2296).

La tardiva adozione di un provvedimento dovuto può dar luogo, eventualmente, a responsabilità per danno da ritardo; tuttavia, nel caso di specie, essendo stata accertata la legittimità del diniego impugnato, la pretesa risarcitoria dovrebbe essere inquadrata nell’ambito del "danno da ritardo mero" (cfr. A.P, C.d.S. n. 7 del 2005) ovvero ricollegato alla tardiva adozione di un provvedimento negativo e ma legittimo.

Ritiene, tuttavia, il collegio che dalla disamina della complessa questione sulla se possa o meno della risarcibilità del danno da ritardo possa prescindersi dal momento che nessuna prova è stata offerta dalla ricorrente circa l’esistenza di danni sofferti e che si sarebbero potuti evitare se il comune avesse provveduto tempestivamente, ancorché negli stessi termini in cui ha poi fatto e cioè rigettando l’istanza della ricorrente. La ricorrente infatti ha illustrato, senza peraltro provare, il pregiudizio che gli derivava dal mancato rilascio del permesso di costruire ma non i danni cagionati dal mero ritardo nell’adozione del provvedimento ancorché di contenuto negativo.

Per queste ragioni, non può darsi ingresso ad alcuna responsabilitàla pretesa risarcitoria della ricorrente non può essere accolta.

In conclusione, il secondo dei ricorsi per motivi aggiunti, notificato in data 15 giugno 2010, deve essere respinto.

Va invece dichiarato rispettivamente improcedibile il ricorso originario e inammissibile il primo dei ricorsi per motivi aggiunti, in quanto avente ad oggetto un atto infraprocedimentale (la comunicazione di preavviso di rigetto ex art. 10 bis della l. 241/90).

Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile il ricorso originario e inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti nonché respinge il secondo ricorso perterzo dei motivi aggiunti motivi aggiunti.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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