Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 24-02-2011) 21-04-2011, n. 16036 Consegnatario e luogo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bologna, con ordinanza dell’11 febbraio del 2010, respingeva la richiesta di rimessione nel termine per proporre opposizione avverso il decreto penale di condanna n 102 del 2000 avanzata nell’interesse di R.F..

A fondamento della decisione osservava che il decreto penale di condanna era stato consegnato alla moglie del condannato con lui convivente e che, per la convivenza coniugale, si poteva presumere che il condannato avesse avuto conoscenza del provvedimento.

Ricorre per cassazione l’interessato per mezzo del proprio difensore deducendo:

1) la violazione dell’art. 460 c.p.p., comma 3 in relazione all’art. 157 c.p.p., comma 2, perchè il decreto era stato notificato mediante consegna alla moglie in una regione diversa da quella dove all’epoca si trovava il condannato per ragioni di lavoro e che nessuna notificazione era stata all’epoca effettuata al difensore di fiducia o d’ufficio, perchè allora non prevista; che all’epoca era noto il luogo dove l’imputato dimorava e quindi la notificazione poteva essere effettuata alla persona;

2) la violazione dell’art. 175 c.p.p., comma 2, poichè, anche nell’ipotesi di regolarità formale della notificazione, il condannato ha diritto alla rimessione nel termine se non v’è la prova dell’effettiva conoscenza del provvedimento. A tal fine non rileva la colpa come tale dell’imputato ma occorre che gli abbia tenuto una condotta diretta a sottrarsi volontariamente alla conoscenza degli atti del processo.

Con memoria del 18 febbraio del 2011 ha posto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 460 c.p.p., nella parte in cui in base al diritto vivente consente che l’atto sia notificato a soggetti diversi dal condannato, per la violazione degli artt. 117 e 111 Cost. e art. 6 CEDU.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perchè infondato Con riferimento al primo motivo ossia alla dedotta irritualità della notificazione, si rileva che a norma dell’art. 460 c.p.p., comma 3, copia del decreto penale di condanna deve essere comunicata al pubblico ministero e notificata con il precetto al condannato, al difensore d’ufficio ed a quello di fiducia eventualmente nominato nonchè alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.

La norma, parlando genericamente di notificazione, non impone una particolare forma di consegna dell’atto. Di conseguenza sono applicabili tutte le forme di notificazione previste dalla legge purchè idonee a garantire tendenzialmente la conoscenza effettiva dell’atto, circostanza questa che si desume dalla previsione legislativa della revoca del decreto e della trasmissione degli atti al pubblico ministero in caso d’irreperibilità del destinatario nonchè dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 504 del 2000, con la quale si è statuito che la revoca del decreto deve essere dichiarata anche nell’ipotesi in cui, essendo divenuta impossibile la notificazione al domicilio dichiarato, la notifica stessa venga effettuata mediante consegna al difensore. Nella fattispecie esaminata dalla Corte Costituzionale, divenuta impossibile la notificazione del decreto nel domicilio dichiaratola stato nominato un difensore d’ufficio per la ricezione dell’atto. La Corte costituzionale ha ritenuto che tale forma di notificazione rendeva estremamente probabile la mancata conoscenza effettiva dell’atto.

La consegna dell’atto a mani proprie non è però l’unica forma di notificazione idonea a garantire la conoscenza effettiva dell’atto, la quale può essere garantita anche dalla consegna del decreto nella mani della moglie dell’interessato,convivente e capace.

La mancata previsione della consegna personale come unifica forma di notificazione valida non viola i principi del giusto processo di cui all’art. 6 della CEDU nè quello del contraddittorio, sia perchè, come accennato, la consegna a mani proprie non è l’unica modalità di notificazione idonea ad assicurare la conoscenza dell’atto (peraltro la stessa consegna a mani proprie non è idonea in assoluto a garantire la conoscenza effettiva dell’atto allorchè il soggetto non sa leggere), sia perchè nel processo per decreto è rimessa all’interessato la scelta di richiedere il contraddittorio mediante l’opposizione. D’altra parte, prevedere come unica forma di notificazione valida la consegna a mani proprie equivarrebbe a rimettere all’arbitrio del condannato, il quale potrebbe sempre sottrarsi alla consegna personale, la scelta del rito. La dedotta questione di legittimità costituzionale è pertanto manifestamente infondata.

La consegna del decreto penale alla moglie, convivente e capace, deve ritenersi valida perchè astrattamente idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto.

Stabilito che la notificazione è rituale, con riferimento al secondo motivo del ricorso ed in relazione all’art. 175 c.p.p., comma 2, occorre accertare se l’anzidetta forma di notificazione, in astratto idonea a cagionare la conoscenza effettiva dell’atto, nel caso concreto l’abbia effettivamente determinata. Occorre quindi stabilire se ricorrono i presupposti per l’applicabilità della rimessione nel termine a norma dell’art. 175 c.p.p., comma 2.

Il legislatore,con il comma secondo dell’articolo anzidetto,, nell’ambito dell’impugnazione di una sentenza contumaciale o di opposizione a decreto penale di condanna, ha introdotto una presunzione di non conoscenza del processo a favore del condannato, prevedendo a carico del giudice l’onere di dimostrare ed accertare l’effettiva conoscenza del processo da parte del condannato. La prova dell’effettiva conoscenza del processo si può però fondare anche su presunzioni.

Nella fattispecie la prova è stata fondata da parte del giudice del merito sulla circostanza che il decreto penale di condanna era stato notificato alla moglie dell’imputato capace e convivente. Per il rapporto di convivenza si è desunto che la moglie abbia informato il prevenuto, anche perchè quest’ultimo non ha neppure fatto presente di non avere avuto in quel periodo contatti neppure telefonici con la propria moglie.

Orbene, proprio perchè lo stesso interessato non ha dedotto di non essere stato informato dalla moglie, i giudici del merito hanno ritenuto che il prevenuto avesse comunque avuto effettiva conoscenza del decreto penale di condanna.

Il novellato art. 175 c.p.p. non ha inficiato la presunzione di conoscenza derivante da una rituale notificazione, ma si è limitato ad escluderne la valenza assoluta imponendo al giudice di verificare l’effettività della conoscenza o sulla base delle risultanze processuali o dei dati prospettati dallo stesso interessato. Di conseguenza spetta al giudice dimostrare che dalla ritualità della notificazione deriva non solo una presunzione di conoscenza ma la conoscenza effettiva dell’atto da parte del condannato. Siffatto onere è stato assolto dal giudice del merito con una motivazione che non presenta alcun profilo di inadeguatezza.

Questa Corte, ai fini dell’applicabilità dell’istituto della rimessione nel termine, ha ritenuto idonea a garantire l’effettiva conoscenza dell’atto la consegna a mani del difensore di fiducia proprio per la natura del rapporto che lega il difensore di fiducia al proprio cliente (cfr per tutte. Cass 12 dicembre del 2007, Ciarlantini RV 239207) Tale principio deve ritenersi valido anche per il rapporto coniugale, specialmente quando non si deduca l’interruzione dei contatti anche telefonici con il proprio coniuge convivente nel periodo in cui è stato notificato il decreto.
P.Q.M.

La Corte Letto l’art. 616 c.p.p..

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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