Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-07-2011, n. 15944 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza del 19.3.2009, dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla Casa di Cura epigrafata avverso l’ordinanza per il pagamento di somma, regolata dall’art. 423 c.p.c.. Sosteneva la Corte territoriale che il provvedimento impugnato non era suscettibile di divenire giudicato e non era soggetto a reclamo, potendo essere proposte obiezioni avverso la stessa ordinanza dinanzi a giudice competente a valutare se il titolo esecutivo sia valido e quindi efficace.

Propone ricorso per cassazione la Casa di Cura, con due motivi.

Resiste con controricorso il D.P., mentre l’AUSL di Avezzano e Sulmona è rimasta intimata.
Motivi della decisione

Con il primo dei motivi di ricorso, la società denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 323, 339 e 423 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3), sul rilievo che il provvedimento con cui sia stato intimato, in corso di causa, il pagamento di somma non contestata ha natura decisoria e che lo stesso, in quanto tale, è appellabile, specie considerando che il Tribunale era pervenuto, nella fattispecie in esame, alla condanna di somme, ritenendo la sussistenza della legittimazione passiva della casa di cura, erroneamente ed immotivatamente decidendo e risolvendo questioni pregiudiziali di merito. A conclusione della parte argomentativa, la ricorrente formula specifico quesito, domandando se, avendo il Tribunale deciso sulla legittimazione passiva, il provvedimento possa essere qualificato come mera ordinanza ex art. 423 c.p.c., privo di carattere decisorio o se, viceversa, abbia per tale parte natura decisoria e come tale sia suscettibile di essere impugnato con appello.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, e l’omessa motivazione sui motivi di appello afferenti la legittimazione.

I due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni sollevate, sono infondati.

E’, invero, pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte che, qualora il giudice del lavoro, nell’esercizio delle facoltà conferitegli dall’art. 423 cod. proc. civ., commi 1 e 2, senza eccedere dai limiti della tutela interdittale, e senza esaurire in tutto o d in parte a controversia, disponga il pagamento di un debito per la somma non contestata, ovvero per la somma nei cui limiti ritenga accertato il corrispondente diritto, il relativo provvedimento endoprocessuale, a cognizione sommaria e con finalità cautelari, e privo di decssorietà, non preclude il riesame delle questioni con esso affrontate ed è revocabile e modificabile, da parte dello stesso giudice che lo ha emesso in corso di causa, sia da parte del giudice che decide la causa, con la sentenza che definisce il processo. Conseguentemente, i vizi afferenti tale provvedimento, ivi compresi quelli derivanti dalla mancanza dei presupposti sostanziali e processuali, possono essere fatti valer in prosieguo di causa per conseguire detta revoca, ovvero in sede di impugnazione della sentenza che decide la causa. L’ordinanza non è, pertanto, vincolante in ordine alla debenza delle somme delle quali viene ordinato il pagamento, poichè solo la sentenza che definisce il giudizio determina l’ammontare del debito, in relazione al quale il debitore può agire in restituzione, "ex" art. 2033 cod. civ., per le maggiori somme eventualmente corrisposte (Cfr. Cass., s.u., 26 settembre 1997 n. 9479; conf. Cass. s. u. 3466/19 98, cui adde Cass. 25 maggio 2005 n, 11023).

Non rileva, poi, neanche, ai fini della relativa impugnabilità, alla luce dei principi affermati, che il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 423 cod. proc. civ., commi 1 e 2, contenga una implicita od esplicita pronunzia su questioni pregiudiziali o afferenti aspetti preliminari della controversia, dal momento che tale pronunzia non comporta l’attribuzione del carattere di decisorietà al provvedimento che eventualmente la contenga.

Nella specie, la pronunzia sulla legittimazione passiva della Casa di Cura non vale, dunque, a conferire natura di sentenza all’ordinanza in questione, avendo, come già detto, il provvedimento che la contiene natura endoprocessuale e come tale essendo lo stesso suscettibile di essere revocato o modificato sia in corso di causa che nella sentenza che definisce la causa.

Per le ragione esposte, la sentenza impugnata si sottrae a tutte le censure che le sono state mosse per essere supportata da una motivazione congrua, priva di salti logici e per avere fatto corretta applicazione della normativa da applicare alla fattispecie in esame.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della società ricorrente, nella misura indicata in dispositivo, per quanto attiene a quelle sostenute dal D. P., laddove nulla va statuito nei confronti dell’A.U.S.L., rimasta intimata.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ia ricorrente al pagamento, in favore del D.P., delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, in Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Nulla per le spese nei confronti dell’A.U.S.L..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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