Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-02-2011) 21-04-2011, n. 16034 Incompetenza per materia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

io, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 27 luglio 2010, ha respinto la richiesta di riesame (e di sostituzione della misura applicata con quella degli arresti domiciliari) del provvedimento del G.I.P. presso il Tribunale di Pesaro in data 12 luglio 2010 che aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere di M.C., indagato per i reati di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p. e art. 609 ter c.p., u.c., e all’art. 81 cpv. c.p., art. 600 ter c.p., e art. 600 sexies c.p., comma 1 (commessi in (OMISSIS), in epoca antecedente il (OMISSIS)), per avere scattato foto e girato filmini pedopornografici contenenti immagini di bambini di circa cinque anni, identificati nei figli della sorella della fidanzata, nudi e nell’atto di compiere sullo stesso indagato atti sessuali.

Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione avverso tale ordinanza e avverso l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Ancona in data 17 luglio 2010, che ha applicato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere al M., ex art. 27 c.p.p., motivando per relationem quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, per i seguenti motivi:

1. Violazione art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 274 c.p.p., n. 1, lett. c), e art. 275 c.p.p. Secondo il Tribunale (e il G.I.P.) gli arresti domiciliari presso la casa dei genitori non escluderebbero l’elevatissimo pericolo di reiterazione di reati della stessa specie; ma nell’ordinanza impugnata non sono stati illustrati gli elementi (comportamenti o atti concreti o precedenti) che renderebbero concreto tale pericolo, che non può essere ricavato dalle parole con cui M. si autodefinisce in sue conversazioni con Ma. (coindagato, arrestato a (OMISSIS)). Agli arresti domiciliari il M. non potrebbe certo ripetere i comportamenti di violenza sessuale contro minori e nemmeno potrebbe continuare ad usufruire mediante internet di filmati pedopornografici, sia perchè i siti pedopornografici in internet possono venire oscurati, sia perchè nell’abitazione dei genitori non è possibile collegarsi a internet (e, comunque, l’ordinanza potrebbe contenere il divieto di farne uso).

2. Violazione art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 274 c.p.p., n. 1, lett. a), e art. 275 c.p.p., n. 1. Il Tribunale del Riesame e il G.I.P. hanno ritenuto che M., se posto agli arresti domiciliari, potrebbe contattare i genitori dei minori ovvero le minori stesse ed in qualche modo inquinare le prove. Ma anche tale pericolo non risulta concreto, perchè le (eventuali) dichiarazioni dei minori sarebbero, nel caso, del tutto inconferenti ai fini della prova dei reati, già esistente in forza delle dichiarazioni confessore, delle sessioni di chat recuperate dalla P.G. e dalla chiavetta USB. 3. Violazione art. 606 c.p.p., lett. e), per mancante o comunque contraddittoria o illogica motivazione. Le motivazioni del Tribunale e del G.I.P. non indicano quali elementi concreti facciano ritenere che l’imputato possa, verificandosi l’occasione, commettere reati rientranti nella previsione dell’art. 274 c.p.p..

4. Violazione art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 274 c.p.p., lett. b). Non è mai esistito e non esiste (concreto) pericolo di fuga; per dimostrare tale concretezza il tribunale è ricorso a formule di stile. Il ricorrente è lavoratore dipendente con modesti guadagni, non ha possibilità economiche di mantenersi in latitanza ed è anche incensurato, egli ha inoltre reso ampie dichiarazioni confessorie dimostrando non solo spirito collaborativo ma anche sincero rimorso e consapevolezza del disvalore di quanto commesso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Il provvedimento di custodia cautelare disposto dal giudice per le indagini preliminari che, contestualmente, si dichiari incompetente viene, a tutti gli effetti, sostituito dalla ordinanza pronunciata nel termine di venti giorni previsto dall’art. 27 c.p.p..

Di conseguenza, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’indagato ha interesse ad impugnare l’ordinanza originaria solo ai fini della eventuale futura richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, deducendo cioè la mancanza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico al momento della emissione e durante la limitata efficacia della medesima, mentre deve ritenersi preclusa ogni diversa censura, poichè la pregressa ordinanza è ormai priva di qualsivoglia incidenza, in quanto il titolo della custodia cautelare è fondato sulla ordinanza emessa dal giudice competente (Cfr. Sez. 5, Ord. n. 4270 del 2/2/2006, Di Napoli, Rv. 233627, e anche Sez. 2, n. 19718 del 16/5/2008, Caccavale, Rv. 239800).

Nella fattispecie concreta, invece, le doglianze non hanno riguardato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma hanno investito innanzitutto la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari – quanto al profilo dell’adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere – della ordinanza ormai sostituita e, in secondo luogo, il fatto che le argomentazioni poste a base di tali esigenze, illustrate nella prima ordinanza, sono state richiamate per relationem dall’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Ancona, provvedimento che rappresenta il nuovo titolo della detenzione cautelare del ricorrente e che è stato impugnato innanzi a questa Corte per saltum. In relazione a tale seconda impugnazione, va ribadito, innanzitutto, che il ricorso immediato per cassazione avverso l’ordinanza di applicazione di una misura cautelare è consentito solo per violazione di legge, perciò è deducibile la totale mancanza di motivazione e non anche la sua insufficienza, incompletezza od illogicità (Cfr, da ultimo, Sez. 6, n. 41123 del 4/11/2008, Melechì, Rv. 241363).

Quanto all’impugnazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona in sede di riesame, la stessa risulta non ammissibile in applicazione dei principi appena enunciati, in quanto relativa ai soli profili di adeguatezza della disposta custodia cautelare in carcere rispetto alle esigenze cautelari ritenute sussistenti.

2. Restano quindi da esaminare i motivi di ricorso presentati a censura dell’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Ancona.

Il ricorrente ha lamentato innanzitutto che il G.I.P. che ha emesso l’ordinanza ex art. 27 c.p.p. abbia fatto integrale rinvio alla precedente ordinanza quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari. Orbene, a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 17 del 21/9/2000, Primavera e altri, Rv.

216664), è stato stabilito che la motivazione per relationem di un provvedimento è legittima quando: 1) venga fatto riferimento, recettizio o quale semplice rinvio, ad un atto legittimo del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione necessaria e specifica del provvedimento assunto; 2) venga fornita la dimostrazione che il giudice abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento, l’abbia meditato e ritenuto coerente con la propria decisione; 3) l’atto richiamato, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, deve essere conosciuto (od almeno conoscibile) dall’interessato, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione. E’ stato correttamente osservato che il rispetto di tali condizioni presuppone che la motivazione per relationem rinvii ad altri provvedimenti dello stesso procedimento, atteso che solo in tal caso è possibile per il giudice dell’impugnazione controllare l’iter logico e giuridico che sorregge la decisione impugnata attraverso l’esame degli atti del fascicolo (in tal senso Sez. 3, 25 maggio 2001, n. 33648, Cataruzza).

Naturalmente l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è particolarmente rigoroso nel consentire il ricorso alla motivazione per relationem da parte del tribunale del riesame in riferimento al contenuto dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare impugnata, in quanto è stata sottolineata la necessità che il giudice del riesame non accolga acriticamente le valutazioni già effettuate, anche perchè deve dare conto, e dare risposta, alle doglianze avanzate dalle parti (si veda Sez. 2, n. 44378 del 16/12/2010, Schiavulli, Rv. 248946, del resto le S.U. con la sentenza n. 919 del 19/1/2004, Gatto, Rv. 226488, hanno dichiarato l’illegittimità del provvedimento conclusivo del giudizio di impugnazione cautelare genericamente motivato con un rinvio al provvedimento impugnato, "giacchè in tale procedimento la motivazione "per relationem" può svolgere una funzione integrativa, inserendosi in un contesto che disattende i motivi di gravame con un richiamo ad accertamenti e ad argomenti contenuti nel provvedimento impugnato, ma non può costituire una sostanziale vanificazione del mezzo di impugnazione attraverso un generale e generico rinvio a quel provvedimento").

Al di fuori dei rapporti, per così dire, "verticali", tra provvedimenti, la visione cambia completamente, in caso di provvedimenti, motivati per relationem, che si trovino invece in un rapporto di tipo "orizzontale" con il provvedimento richiamato. E’ stato affermato, infatti, che proprio in caso di motivazione dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, l’obbligo di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, è soddisfatto anche mediante l’esplicito riferimento a precedente ordinanza coercitiva che sia divenuta inefficace per vizio di forma, in quanto tale provvedimento è rimasto pur sempre valido nei suoi contenuti sostanziali (in tal senso, Sez. 1, n. 1533 dell’11/1/2008, Nitrica, Rv. 238816) ed anche che "nulla impedisce al giudice competente di motivare per relationem con riferimento alla ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente, sempre che non sia mutata la contestazione in diritto o la rappresentazione degli elementi di fatto nella richiesta del pubblico ministero" (si veda Sez. 5, ord. n. 23781 del 21 giugno 2010, Guardino e altro, non mass. ed anche Sez. 1, n. 7991 del 21 febbraio 2008, Torino, non mass.).

Questo Collegio condivide tale indirizzo e ritiene quindi che si debba affermare il principio di diritto che l’art. 27 c.p.p. impone al giudice competente (ossia "naturale e precostituito per legge") di esprimersi – nel termine di venti giorni dopo la pronuncia del giudice dichiaratosi incompetente – in maniera autonoma su tutti i presupposti per l’adozione del titolo restrittivo, ma consente allo stesso di motivare facendo rinvio alle valutazioni già espresse dal precedente giudice, sempre che tale rinvio risulti consapevole e che consenta al destinatario del provvedimento di controllare l’iter logico e giuridico mediante il quale il giudice è pervenuto alla decisione adottata.

Nel caso di specie trova piena conferma la sussistenza dei requisiti che fanno ritenere legittima la motivazione per relationem.

Quindi risulta destituita di fondamento la pretesa mancanza di motivazione dell’ordinanza quanto ai profili relativi alla sussistenza delle esigenze cautelari.

3. Il ricorrente ha poi censurato plurimi profili di violazione di legge dell’ordinanza del G.I.P., quanto alle argomentazioni poste a fondamento del giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari e alla valutazione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere per soddisfarle.

Ma tali motivi risultano infondati.

Come è noto, la Corte di cassazione, per i limiti del suo sindacato sulla legittimità dei provvedimenti de liberiate, non può rivalutare le condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, in quanto si tratta di apprezzamenti di merito che rientrano nell’esclusiva competenza del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità deve quindi essere circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).

Non si ravvisa, quindi, dalla motivazione dell’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Pesaro, richiamata dall’ordinanza impugnata del G.I.P. presso il Tribunale di Ancona, alcuna carente esplicazione circa la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a), b) e c), soprattutto in riferimento agli elementi acquisiti alle indagini che evidenziano la "concretezza" del pericolo, sia per quanto attiene l’inquinamento probatorio, che per quanto attiene la possibilità di fuga, che per quanto afferisce alla reiterazione dei reati per i quali è processo. Lo stesso deve dirsi quanto al giudizio di adeguatezza della misura applicata al M..

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Deve inoltre essere trasmessa copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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