Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-02-2011) 21-04-2011, n. 16082 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Bologna, con provvedimento emesso in data 14 ottobre 2010, ha rigettato l’istanza di B.E., indagata per concorso con l’ex marito L.G., resosi irreperibile, nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione al fallimento della Rimini Yacht spa, intesa ad ottenere la restituzione di quanto sequestrato in via preventiva dalla Guardia di Finanza.

L’ipotesi di reato prospettata era costituita dal fatto che la B. aveva ricevuto una ingente somma di danaro proveniente dalle casse della fallita società dall’ex marito L. ed impiegata per l’acquisto simulato di un immobile della B. da parte della società Gestioni ricettive Ferrara, società che cedette subito dopo le quote alla Cortevecchia, la cui titolare sarebbe stata proprio la B..

Le esigenze cautelari erano individuate nel pericolo concreto di un depauperamento del patrimonio dei creditori della fallita società.

E’ necessario ulteriormente precisare che la B. aveva rilasciato una garanzia fideiussoria a banche creditrici della fallita società.

Con il ricorso per cassazione B.E., dopo avere ricostruito la vicenda, deduceva:

1) la violazione delle regole legali di valutazione probatoria – violazione art. 192 c.p.p., commi 1 e 2 e art. 111 Cost. – con conseguente manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione perchè, posto che la ricorrente non poteva accedere alle casse sociali, sarebbe stato necessario dimostrare la esistenza di un accordo con il L. e, quindi, la consapevolezza del fatto che la somma provenisse dalla fallita. La B. non negava di avere ricevuto la somma di danaro in discussione dal L. e chiariva che si trattava della restituzione di una somma indebitamente sottratta dal L. a suo padre;

2) la erroneità della ordinanza impugnata per omesso o insufficiente esame dei motivi di riesame;

3) la erroneità ed insufficienza della motivazione e la violazione degli artt. 43 e 48 cod. pen. con riferimento all’elemento soggettivo del reato non ravvisabile nel caso di specie.

Il ricorso proposto da B.E. è inammissibile.

Manifestamente infondato e di merito è il primo motivo di impugnazione con riferimento alla dedotta violazione delle regole concernenti la prova, mentre improponibile è il vizio di motivazione dedotto.

Quanto a quest’ultimo profilo è sufficiente ricordare che in base all’art. 325 cod. proc. pen. ed alla consolidata interpretazione della giurisprudenza sul punto, il ricorso avverso provvedimenti concernenti misure cautelari reali è proponibile soltanto per violazione di legge, che è ravvisabile con riferimento alla motivazione soltanto nelle ipotesi di mancanza grafica o di mera apparenza della stessa, condizioni certamente non ravvisabili nel caso di specie.

Quanto alla dedotta violazione di legge, devesi osservare che in effetti la ricorrente ha censurato la valutazione degli elementi probatori esistenti compiuta dai giudici del merito sollecitando la Corte di Cassazione ad una rivalutazione, cosa non consentita dalla legge.

In ogni caso va detto che il provvedimento impugnato ha ben messo in evidenza che la somma di Euro 195.000,00, prelevata dal L. dal conto corrente della fallita società, transitò, dopo alcuni passaggi chiaramente descritti dal tribunale, quasi interamente nel conto corrente della B..

Ed è pure rimasto accertato che la somma fu impiegata per l’acquisto di un immobile della B. da parte di altra società, che poi cedette l’immobile ad una società riconducibile alla B.;

siffatta complessa operazione, ha spiegato il tribunale, fu effettuata al fine di sottrarre la somma di Euro 195.000,00 dalle legittime pretese dei creditori della fallita e l’immobile dalle pretese delle banche, avendo la B. prestato fideiussione a favore dell’ex marito L.. Una tale ricostruzione degli eventi, che integra senz’altro il reato contestato, è fondata oltre che sulla tracciabilità del percorso del danaro compiuta dalla Guardia di Finanza, sull’esame dei contratti di compravendita concernenti l’immobile, ritenuti simulati in base alle dichiarazioni rese da N.L., R.D. e R.M..

Alla fine la ricorrente non ha negato di avere ricevuto danaro dal suo ex marito e di avere ceduto fittiziamente l’immobile, ma ha chiarito che pensava che il danaro fosse dell’ex marito, debitore di suo padre, e non della società e che quanto all’immobile voleva sottrarlo alle pretese delle banche. Mancava, quindi, la prova dell’accordo con l’ex marito e la prova del dolo. All’evidenza si tratta di deduzioni di merito perchè il tribunale proprio dalle modalità delle operazioni descritte e dalle dichiarazioni rese dalle persone già indicate, nonchè dalla inconsistenza della tesi difensiva della B. sfornita di qualsiasi elemento di prova, ha dedotto la consapevolezza della B. della illecita provenienza della somma di danaro.

Trattasi di una valutazione di merito non censurabile in questa sede di legittimità. Dagli argomenti esposti risulta anche la manifesta infondatezza del terzo motivo di impugnazione.

Da tutto quanto detto, infine, emerge con chiarezza la – sussistenza del fumus commissi delicti, necessario per la emissione delle misure cautelari reali, che non richiedono la gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. proc. pen..

Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di impugnazione, con il quale la ricorrente si è doluta del mancato o insufficiente esame dei motivi di riesame.

Il tribunale ha esaminato in modo approfondito tutta la vicenda, come risulta dalla motivazione dello stesso, ed ha esposto con chiarezza le ragioni della decisione.

Ciò era tenuto a fare il tribunale per disposizione di legge, non essendo prevista la confutazione esplicita in motivazione di tutti gli argomenti difensivi, dovendosi ritenere implicitamente rigettati quelli incompatibili con la decisione adottata, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte.

Per le ragioni indicate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma, liquidata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del procedimento ed a versare la somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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