Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-07-2011, n. 15936 contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Che la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con I. M.;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto appello Poste Italiane s.p.a; l’ I. è rimasto intimato;

il lavoratore è stato assunto con contratto a termine in data 1 febbraio 2001 stipulato a norma dell’art. 25, comma 2, del c.c.n.l.

11 gennaio 2001, che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi;

la Corte territoriale ha premesso che il contratto a termine stipulato sulla base della citata previsione collettiva, al fine di non ricadere nella nullità connessa al rispetto del principio di tassatività e tipicità delle ipotesi derogatorie, deve necessariamente contenere precisi riferimenti alle circostanze di fatto che, nella singola realtà lavorativa, diano concretezza alla previsione normativa; in particolare il singolo contratto a termine avrebbe dovuto indicare, con riguardo al concreto ambito territoriale ove il lavoratore doveva essere inserito, il settore interessato, il nuovo servizio sperimentale avviato ovvero il nuovo processo produttivo introdotto, le modifiche organizzative apportate nei vari settori che richiedevano l’assunzione di personale a termine e le eventuali carenze temporanee di organico; rilevato che nel caso di specie il contratto individuale si era limitato a riprodurre la formula contenuta nella sopra riferita norma collettiva e che comunque l’azienda non aveva provato la riconducibilità dell’assunzione a termine all’ipotesi contrattualmente prevista, ha affermato la nullità del termine apposto al contratto in questione;

la suddetta impostazione è stata ampiamente censurata dalla società ricorrente la quale contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito alla citata norma collettiva, da ritenersi erronea nella misura in cui ha introdotto requisiti di legittimità del contratto ulteriori, non previsti dalle parti contrattuali;

la censura è fondata;

questa Corte Suprema (cfr. Cass. 26 settembre 2007 n. 20162) decidendo su una fattispecie sostanzialmente identica a quella in esame, ha cassato la sentenza del giudice di merito che ha dichiarato illegittimo il termine apposto ad un contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata;

ha osservato, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001;

in particolare, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, ha precisato, richiamando molteplici decisioni della S.C. (cfr., ad esempio, Cass. 20 aprile 2004 n. 9245), che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità de mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti;

premesso che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, ha affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali;

siffatta interpretazione è infatti affetta da vizi di violazione dell’art. 1362 cod. civ., e segg., e vizi di motivazione:

in primo luogo, la formulazione letterale della disposizione contrattuale non contiene elementi idonei ad esprimere il riscontrato significato riduttivo;

inoltre il presupposto che è alla base di siffatta interpretazione è che soltanto così intesa la clausola collettiva sarebbe conforme a legge ( art. 1367 cod. civ.); l’interpretazione accolta dai giudici di merito (anche con riferimento specifico al caso in esame) si muove quindi pur sempre nella prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo a potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962; l’interpretazione dell’accordo è stata, perciò, condizionata dal pregiudizio che le parti stipulanti non avrebbero potuto esprimersi considerando le specificità di un settore produttivo (quale deve considerarsi il servizio postale, nella situazione attuale di affidamento ad un unico soggetto) e autorizzando Poste Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni, con giustificazione presunta del lavoro temporaneo; questo "pregiudizio", erroneo alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, determina l’erroneità dell’interpretazione secondo cui l’accordo sindacale avrebbe autorizzato la stipulazione dei contratti di lavoro a termine solo nella sussistenza concreta di un collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di carattere straordinario richiamate per giustificare l’autorizzazione, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni; al riguardo, elementi utili per l’interpretazione si sarebbero potuto ricavare dal successivo (di pochi giorni) accordo 18 gennaio 2001 col quale le OO.SS. … convengono ancora che i citati processi, tuttora in corso, saranno fronteggiati in futuro anche con il ricorso a contratti a tempo determinato, stipulati nel rispetto della nuova disciplina pattizia delineata dal c.c.n.l. 11.1.2001 per ricostruire in modo coerente l’intenzione delle parti quanto alla portata dell’autorizzazione stessa;

il sopra citato orientamento di questa Corte deve essere pienamente confermato;

per le considerazioni svolte, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata; deve considerarsi assorbita l’ulteriore censura avente ad oggetto le conseguenze derivanti dall’illegittimità del termine apposto al contratto de quo;

ritenuto, per le ragioni fin qui esposte, che l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame sia quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi, non è necessario che il contratto individuale contenga specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva e non sussiste, conseguentemente, un onere probatorio sulla riconducibilità dell’assunzione a termine all’ipotesi contrattualmente prevista, viene a cadere la ragione per cui l’apposizione del termine al contratto in esame è stata ritenuta illegittima;

non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto sussistono i presupposti di cui all’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, per decidere la causa nel merito e per l’effetto per rigettare la domanda del lavoratore;

in applicazione del criterio della soccombenza il lavoratore viene condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e decidendo nel merito rigetta la domanda; compensa fra le parti le spese dei gradi di merito e condanna il lavoratore al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 47,00 oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari e oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

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