Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-01-2011) 21-04-2011, n. 16071 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

elio Roberto.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 25.3.09, il tribunale di Genova ha confermato la sentenza 20.3.08 del giudice di pace della stessa sede, con la quale P.P.I. è stata condannata alla pena di Euro 200 di multa, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile, perchè ritenuta colpevole del reato di diffamazione in danno di G.L..

La P. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 24 Cost. e art. 108 c.p.p. , in quanto all’udienza 10.3.09, la ricorrente ha revocato il mandato al difensore di fiducia e il tribunale ha nominato l’avv. Enrica Giordano, quale difensore di ufficio, rinviando il processo all’udienza 24.3.09 e disponendo la notifica della nomina all’avv. Giordano. Quest’ultima -contattata il 13 marzo dall’interessata- depositava in data 17.3.09 istanza di ulteriore differimento per pregressi impegni professionali e il giudice differiva all’udienza del 25 marzo, con provvedimento notificato il 23 marzo. Secondo la ricorrente, il difensore, pur presente all’udienza, è stato posto nell’impossibilità di svolgere la sua funzione, in violazione del diritto di difesa, ex art. 24 Cost., e in violazione dell’art. 108 c.p.p., che assegna al nuovo difensore un termine congruo, di norma non inferiore a 3 giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento.

2. violazione di legge in riferimento agli artt. 525 e 526 c.p.p.:

nel verbale dell’udienza 25.3.09, si da atto che, esaurita la discussione, il giudice si era ritirato in camera di consiglio.

Invece il giudice non si è allontanato dall’aula e ha letto immediatamente il dispositivo. Sono state quindi violate le norme ex art. 525 e 526 c.p.p., che impongono l’isolamento del giudice ,per evitare che lo stesso sia raggiunto da elementi di cognizione successivi alla chiusura del dibattimento. Tale principio è derogabile solo in caso di assoluta necessità con ordinanza motivata e in camera di consiglio non è ammessa la presenza di persone diverse dal giudice, con l’eccezione di cui all’art. 528 c.p.p..

3. all’udienza del 25.3.09, il difensore ha depositato lista testimoniale ex art. 555 c.p.p., ma il giudice non ha ammesso i testi, sebbene fossero indicati testimonianze assolutamente necessarie, la cui audizione andava comunque disposta ex art. 507 c.p.p., trattandosi di persone che avevano constatato le carenza dell’opera dell’architetto G. e i gravissimi errori professionali, che avevano indotto la ricorrente a inviare al consiglio dell’ordine degli architetti la lettera, a cui è seguito il presente processo. Da queste testimonianze possono derivare gli elementi soggettivi e oggettivi legittimanti il riconoscimento dell’esimente ex art. 59 c.p.p., comma 2, nonchè l’indeterminatezza dei criteri seguiti nel quantificare l’entità del danno, di cui è stato disposto il risarcimento.

4. vizio di motivazione in relazione al mancato esercizio del potere istruttorio integrativo, previsto dall’art. 507 c.p.p.: il giudice non ha acquisito tutta la documentazione che avrebbe dimostrato i ritardi, le carenze, i problemi di fatturazione concernenti l’opera del G., che hanno determinato lo stato d’ira, ex art. 599 c.p., comma 2, che non è stato considerato dal giudice.

In una memoria depositata il 29.12.10, la ricorrente ribadisce le sue argomentazioni, precisando che:

a) il giudice ha concesso un termine di cinque giorni dal deposito della domanda di un termine a difesa e di sette giorni dal deposito della nomina, riducendo così i termini previsti dalla legge;

b) non ritirandosi nella camera di consiglio, il giudice ha violato sia gli artt. 525 e 526 c.p.p., anche l’art. 125 c.p.p., comma 4, secondo il quale il giudice decide in camera di consiglio, senza la presenza dell’ausiliario e della parti, e la sua deliberazione è segreta. Pertanto la decisione adottata nell’aula di udienza è invalida;

c) con le censure sulla motivazione della sentenza, si è inteso rilevare che il giudice non ha adempiuto l’onere motivazionale, essendosi limitato a una valutazione frazionata e parziale della prova. E’ stato quindi dedotto il vizio di travisamento della prova, in quanto il giudice di merito ha fondato il proprio convincimento su un risultato di prova diverso da quello reale.

Il ricorso non merita accoglimento.

Quanto alla censura sul mancato rispetto del termine a difesa, si rileva che il giudice ha concesso il termine di sette giorni con decorrenza dal 17 marzo, data di deposito dell’istanza di concessione del termine a difesa, pertanto nel pieno rispetto del disposto dell’art. 108 c.p.p., che stabilisce, nel caso in esame la concessione di un termine "non inferiore a sette giorni". Il principio di tassatività delle nullità e l’assenza di alcuna sanzione processuale collegata al mancato rispetto della disposizione ex art. 525 c.p.p., rende del tutto infondata la censura formulata dalla ricorrente, in relazione alla non immediatezza della deliberazione della decisione. Non sussiste poi alcun elemento fattuale, legittimante la censura concernente la violazione del disposto ex art. 526 e 125 c.p.p., risultando, invece, che il giudice ha utilizzato per la decisione solo elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale e che nessun fattore esterno ha turbato la correttezza formale e sostanziale della deliberazione.

L’asserita violazione del segreto della camera di consiglio non è comunque sanzionata da nullità e quindi, per il principio della tassatività di cui all’art. 177 c.p.p., non influisce in ogni caso sulla validità della pronuncia giudiziale (sez. 1, n. 8737 del 13.12.02, rv 223695). Sulle carenze probatorie e sul vizio di motivazione, le argomentazioni della ricorrente sono manifestamente infondate, in quanto le decisioni dei giudici di merito si sono basate su un’attenta e completa analisi di prove dichiarative e documentali, che rendono del rutto irrilevante e superflua l’acquisizione di ulteriori fonti conoscitive. Le nette e lineari conclusioni che ne sono state tratte sono del tutto insindacabili in sede di giudizio di legittimità, in quanto hanno condotto, con assoluta razionale conformità al consolidato orientamento interpretativo, a ritenere la violazione, da parte della P., dei limiti di un corretto esercizio del diritto critica. Le accuse all’architetto G. di carente competenza e professionalità, le allusioni alla cattiva fama e alla funzione supplente della furbizia e della fantasia hanno determinato una non giustificata lesione del credito culturale e professionale del G., da ritenere fondamentale nell’ambito dei suoi rapporti personali e lavorativi. La certezza conseguita dal giudice di appello non è stata correttamente incrinata dalle mere ipotesi di alternativa forza dimostrativa, prospettate dalla difesa.

Sulla mancata applicazione dell’esimente ex art. 599 c.p., comma 2, il giudice di appello ha messo in luce l’intervallo temporale (circa sette mesi) tra data della fine del mandato dell’architetto G. e la data dell’esposto al consiglio dell’Ordine degli Architetti.

Correttamente è stato ritenuto che, pur nell’elasticità del concetto dell’espressione "subito dopo" contenuta nel citato articolo, nel caso in esame, il decorso di tanto tempo esclude il rapporto causale tra fatto ingiusto e stato d’ira e induce a riferire la reazione ad un sentimento di lucido e radicato rancore, inidoneo a elidere l’antigiuridicità della condotta offensiva.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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