Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-04-2011, n. 2438 Concorrenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 2900 del 2010, il T.A.R. per il Lazio ha riunito e respinto i ricorsi proposti da W. T. s.p.a. e T. I. s.p.a. avverso il provvedimento n. 17131 con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in data 3 agosto 2007, ha deliberato che le condotte poste in essere dalle società ricorrenti, configurabili come pratiche discriminatorie nei rispettivi mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione sulle proprie reti, e consistenti nell’applicazione alle proprie divisioni commerciali di condizioni tecniche e/o economiche per la terminazione delle chiamate fissomobili sulle proprie reti più favorevoli rispetto a quelle praticate ai propri concorrenti, costituiscono distinti abusi di posizione dominante, in violazione dell’articolo 82 del Trattato CE, conseguentememente irrogando le sanzioni amministrative pecuniarie di 20 milioni di Euro per T. e 2 milioni di euro per W..

Giova sin d’ora considerare che, come ricostruito in fatto dal giudice di primo grado, T. I. e W., al pari di V. (inizialmente coinvolta nel procedimento conclusosi con l’irrogazione delle sanzioni in solo danno di T. e W.), sono operatori di rete mobile (Mobile Network Operator o MNO) c.d. integrati, fornendo servizi di comunicazione mobile attraverso infrastrutture di rete che utilizzano sulla base di risorse radio (frequenze) ad essi assegnate in via esclusiva.

Accanto agli operatori di rete integrati, agiscono sul mercato figure alternative che possono fornire servizi di comunicazione mobile agli utenti finali anche senza il possesso di un’infrastruttura di rete, utilizzando quella di uno o più gestori ospitanti.

Tali operatori possono essere suddivisi in due categorie principali.

Su un primo versante, vengono in rilievo gli MVNO (Mobile Virtual Network Operator), soggetti che, pur non titolari di frequenze radio, offrono servizi di telecomunicazioni al pubblico sfruttando le funzioni e gli elementi della rete di uno o più gestori: si tratta, quindi, di operatori autonomi che, entrano in rapporto di concorrenza diretta, del tipo interbrand, con il gestore ospitante, presentandosi al pubblico con un proprio marchio e con una propria politica commerciale.

Su un secondo fronte, vengono in considerazione tutte le altre tipologie di fornitori alternativi i quali si limitano a rivendere servizi mobili sulle reti degli operatori ospitanti per conto di questi ultimi, così sviluppando forme di concorrenza prevalentemente intrabrand nell’ambito dei servizi di comunicazione mobile (ESP, Enanced Service Provider, ATR, Air Time Reseller, ecc.).

Ciò chiarito, giova anche ricostruire lo sviluppo procedimentale all’esito del quale è stato adottato il citato provvedimento n. 17131.

L’istruttoria è stata avviata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in data 23 febbraio 2005 a seguito delle denunce presentate dalle società TELE2 Italia S.p.A., T. W. C. I. S.p.A., Startel S.p.A. e ReteItaly S.r.l..

Nel provvedimento di avvio del procedimento, relativo alla presunta infrazione degli artt. 81 e 82 del Trattato Ce, si ipotizzava che T. I. mobile s.p.a., V. O. n.v. e W. T. s.p.a.., in posizione dominante collettiva nel mercato all’ingrosso dell’accesso alle reti mobili, avessero reiteratamente e ingiustificatamente negato ad altri soggetti, potenziali concorrenti nel mercato finale, di negoziare l’accesso alle rispettive reti per operare servizi di MVNO (Mobile Virtual Network Operator), ESP (Enhanced Service Provider), ATR (Air Time Reseller), cosi rendendo impossibile l’ingresso di fornitori alternativi per l’offerta di servizi mobili finali all’utenza residenziale e business, nonché ostacolando qualsiasi forma di concorrenza nella rivendita all’ingrosso di traffico mobile (in particolare per la componente fissomobile).

Con Comunicazione delle risultanze istruttorie del 28 luglio 2006 venivano contestati alle tre suindicate società:

o un abuso di posizione dominante "collettiva" nel mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile;

o tre abusi di posizione dominante "individuale" nei mercati della terminazione sulle rispettive reti mobili.

Nel dettaglio, gli addebiti contestati hanno riguardato due distinte violazioni dell’art. 82 del Trattato, consistenti in:

o un abuso di posizione dominante "collettiva" da parte di Tim e W. (oltre che di V.) nel mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile, nella forma di rifiuto ingiustificato opposto agli operatori richiedenti l’accesso alle reti mobili per lo svolgimento di attività di operatori mobili virtuali (MVNO), fornitori avanzati di servizi (ESP) e rivenditori di traffico su rete mobile (ATR);

o tre abusi di posizione dominante "individuale" da parte di ciascuno dei suddetti gestori nei mercati della terminazione sulle rispettive reti mobili, consistenti nell’attuazione di pratiche discriminatorie a favore delle proprie divisioni commerciali (anche tramite l’utilizzo di particolari soluzioni tecniche come le connessioni PABZMSC e/o apparati GSM Box) volte ad escludere i propri concorrenti dai mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione e dal connesso mercato al dettaglio dei servizi di telefonia fisso – mobile per la clientela aziendale.

A quest’ultimo riguardo, l’Autorità ha ritenuto che sussistano tanti mercati dei servizi di terminazione quante sono le reti mobili e che, di conseguenza i MNO siano dominanti ciascuno con riferimento alla propria rete.

A tale esito, l’Autorità è fondamentalmente pervenuta tenendo conto di due aspetti fondamentali che connotano l’offerta dei servizi di telefonia al dettaglio:

o l’applicazione del principio Calling Party Pays (chi chiama paga), in forza del quale il soggetto chiamante è differente dal soggetto il quale, sottoscrivendo l’abbonamento, sceglie su quale rete terminare la chiamata;

o l’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, per cui una chiamata destinata al terminale mobile di un determinato utente non può essere sostituita con una chiamata destinata ad un altro utente. Ciò implica che un operatore che vuole fornire ad un proprio cliente il servizio di telefonia deve disporre necessariamente del servizio di terminazione sulla rete del chiamato.

L’Autorità ha quindi ritenuto che la titolarità di ciascuna rete in capo ad un solo gestore, in uno all’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, fa sì che ciascun gestore detenga una quota pari al 100% dell’offerta di servizi di terminazione sulla propria rete.

Proseguendo nella ricostruzione dell’iter procedimentale, non è consentito non dare sin d’ora atto che, in data 10 novembre 2006, V. presentava un impegno ai sensi dell’articolo 14ter della legge n. 287/90.

Ebbene, dopo aver respinto, con delibera del 4 aprile 2007, tale proposta, ritenendolo inidonea a far venir meno i profili anticoncorrenziali oggetto di istruttoria, la stessa Autorità, pronunciandosi su istanza di riesame presentata da V. il 10 aprile 2007, adottava lo schema di provvedimento di accoglimento dell’impegno, inviato alla Commissione Europea, ex art. 11.4 del Reg. n. 1/2003, e all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per la fase di consultazione.

Il subprocedimento relativo agli impegni V. si concludeva, infine, con l’adozione del provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007, con il quale l’Autorità deliberava:

o di rendere obbligatorio l’impegno ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90 nei confronti di V. O.;

o di chiudere il procedimento nei confronti della medesima società senza accertare le infrazioni, ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90.

A tanto l’Autorità si determinava tenendo conto in specie della intervenuta stipulazione di un contratto definitivo con B. I. s.p.a., con il quale detta società acquisiva il diritto di accesso, in qualità di ESP (Enanced service provider) alla rete di V., al fine di offrire autonomamente alla clientela italiana servizi di comunicazione mobile

L’Autorità ha in particolare ritenuto che "il contratto sottoscritto in data 7 aprile 2007 con B. I., definitivamente vincolante per le parti, rappresenta un elemento di novità decisivo, in quanto segna concretamente ed effettivamente l’apertura del mercato dell’accesso wholesale alle reti mobili italiane."

Quanto al mercato della terminazione, ha evidenziato "che le condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Il procedimento principale (A 357) proseguiva, quindi, nei soli confronti di T. e W., concludendosi con il citato provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007.

All’illustrazione delle determinazioni assunte con il provvedimento da ultimo citato, giova anteporre taluni chiarimenti di tipo concettuale e terminologico.

In specie, per terminazione fissomobile si intende la terminazione della chiamata che origina dalla rete fissa terminando su quella mobile; per terminazione mobilemobile, invece, si intende la terminazione della chiamata che origina dalla rete mobile e termina sul rete mobile. Quanto alle chiamate mobilemobile, vanno distinte quelle originate e terminate sulla rete dello stesso operatore (terminazione on net) da quelle originate e terminate tra utenti che fanno capo allo stesso contratto aziendale, ossia i c.d. gruppi chiusi di utenti (terminazione intercom).

Ciò posto, con il provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007, accantonata l’ipotesi "accusatoria" relativa all’esistenza di un abuso di posizione dominante "collettiva" nel mercato dell’accesso alle reti mobili (cfr. in particolare la sezione XI del provvedimento finale, parr. 358 – 367), l’Autorità, con riguardo al solo mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione sulle rispettive reti, ha ritenuto che "Tim e W. hanno posto in essere condotte volte ad escludere i propri concorrenti sia dai mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione, sia dal connesso mercato al dettaglio dei servizi di fonia FM per la clientela business. Più precisamente, tali comportamenti dei due gestori mobili, titolari anche di licenza per operare servizi di telefonia su rete fissa, sono consistiti nell’applicazione di condizioni economiche per la terminazione FM delle chiamate su numerazioni mobili on net e intercom più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto ai corrispondenti prezzi di terminazione (tariffe regolamentate, per Tim, e prezzi liberamente fissati per W. fino al settembre 2005, quando anche questa società è stata notificata, con provvedimento cautelare, come operatore con SMP nel mercato della terminazione sulla propria rete (…)) praticati ai propri concorrenti, anche attraverso l’impiego di particolari soluzioni tecniche, tra cui connessioni PABXMSC e/o apparati GSM Box, in assenza di una corrispondente offerta wholesale per i propri concorrenti".

Ha soggiunto l’Autorità che "I comportamenti descritti sono stati rafforzati dalla risoluzione da parte dei due MNO dei contratti business – o da un innalzamento repentino e sproporzionato dei prezzi tale da indurre le controparti a recedere dagli stessi – utilizzati dagli operatori di comunicazioni concorrenti (come BT, TELE2, TISCALI, RETEITALY, ecc.), in alternativa ai contratti di interconnessione, al fine di acquistare i servizi di terminazione alle condizioni retail particolarmente favorevoli in essi previste e, comunque, tali da consentire offerte FM alla clientela business competitive con quelle dei due gestori di rete. Come sottolineato dai denuncianti (…) alla risoluzione dei contratti in questione, formalmente motivata dall’impiego di GSM Box in violazione di clausole contrattuali, non è seguita da parte dei due MNO, nonostante le reiterate richieste dei concorrenti, alcuna offerta di servizi di terminazione all’ingrosso a condizioni economiche e tecniche tali da consentire a questi ultimi di formulare offerte di fonia FM competitive con quelle dei gestori medesimi.

Infatti, poiché in molti casi i prezzi finali praticati alla clientela business dai due gestori per la direttrice di traffico fissomobile sono inferiori ai prezzi di terminazione, l’offerta standard di servizi di interconnessione per la terminazione del traffico fissomobile di T.come modificatasi nel corso del tempo (…) – e l’offerta di W. – superiore all’offerta standard di TIM e fissata, dal settembre 2005, in via regolamentare – non possono considerarsi un’alternativa economicamente sostenibile per i concorrenti (…)".

L’Autorità ha quindi richiamato la speciale responsabilità che incombe sull’impresa in posizione dominante – nel caso di specie, su Tim e W., dominanti ciascuno nel mercato della terminazione sulla propria rete – e al divieto fatto alla predetta impresa "di discriminare a favore delle proprie divisioni commerciali nell’offerta di servizi intermedi necessari ai propri concorrenti per competere nei servizi finali" (sul punto richiamando Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2006, n. 1271).

Tale divieto è rafforzato dalla circostanza che i due MNO sono notificati quali operatori "con notevole forza di mercato: Tim dal settembre 1999 e W. dal settembre 2005". L’Autorità ha rimarcato altresì (par. 265) che, "nell’ambito della normativa comunitaria del settore delle comunicazioni elettroniche, gli obblighi di trasparenza, non discriminazione e controllo dei prezzi, ivi compreso l’orientamento ai costi, già sanciti in capo alle imprese che dispongono di un notevole potere di mercato dalla Direttiva 97/33/CE (Open Network Provisions, cd. ONP), e recepiti dal D.P.R. 318/97 (articolo 4, comma 7), sono stati poi ripresi dal nuovo quadro regolamentare comunitario per le comunicazioni elettroniche ( Dir. 2002/21/CE e Direttive collegate), recepito in Italia dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche (…)".

A livello nazionale ha ricordato altresì che l’AGCOM, a conclusione della procedura di valutazione del mercato n. 16 – mercato della terminazione di chiamate vocali su singole reti mobili – con delibera n. 3/06/CONS, ha ulteriormente sancito gli obblighi di trasparenza e non discriminazione in capo a Tim e V., estendendoli anche a W. e H3G, anch’essi notificati come operatori in possesso di notevole forza di mercato nei mercati della terminazione sulle rispettive reti. I primi tre operatori sono stati destinatari anche di un intervento di controllo del prezzo massimo di terminazione, restando per ora esclusa da tale misura H3G, a causa della base utenti ancora ridotta.

L’Autorità ha infine sottolineato che "l’ambito di applicazione dell’obbligo di non discriminazione, previsto dall’articolo 47 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, è stato dettagliatamente esplicitato prima in fase di consultazione pubblica (delibera n. 465/04/CONS) e poi nella delibera di chiusura dell’analisi di mercato (delibera n. 3/06/CONS), evidenziando che possono essere garantite a tutti gli operatori le medesime condizioni concorrenziali nel mercato al dettaglio solo se i servizi di terminazione mobile sono offerti agli operatori terzi alle stesse condizioni tecniche ed economiche alle quali i gestori offrono tali servizi alle proprie divisioni commerciali (c.d. obbligo di non discriminazione internoesterno (…))".

Di particolare rilievo, secondo l’Autorità, è "la circostanza che tale obbligo sia imposto indistintamente a tutti e quattro i gestori, a prescindere dalla quota detenuta da ciascuno di essi nel mercato a valle – che rileva solo ai fini dell’imposizione di un tetto al prezzo di terminazione – proprio a sottolineare come il controllo di una risorsa disponibile solo ai gestori (la terminazione sulla propria rete mobile) e non anche agli operatori terzi, può potenzialmente avere un’elevata valenza anticompetitiva con effetti sia sui concorrenti sia sui clienti finali.".

Nel respingere i ricorsi proposti avverso tale provvedimento, il T.A.R.:

1. ha respinto il motivo di ricorso con cui W. ha lamentato che l’Autorità sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 11 del Regolamento CE n. 1/2003 non attivando la fase di consultazione obbligatoria della Commissione Europea sulla decisione finale;

2. ha disatteso il motivo di ricorso con cui W. ha dedotto l’illegittima applicazione dell’art. 82 CE nei confronti di una società (quale la stessa W.) non avente posizione dominante nel mercato a valle dei servizi finali di fonia fissamobile;

3. ha respinto le censure dedotte con riguardo all’assunto, sostenuto dall’Autorità, secondo cui esistono tanti mercati dei servizi di terminazione quante sono le reti mobili e che, di conseguenza, i tre MNO sono dominanti ciascuno con riferimento alla propria rete del mercato rilevante della terminazione;

4. ha, inoltre, disatteso le censure relative alla valutazione svolta dall’Autorità circa il carattere abusivo delle condotte prese in considerazione;

5. ha respinto le censure con cui è stata dedotta l’assunta disparità di trattamento riservata dall’Autorità alle due società ricorrenti rispetto a quanto statuito, con riguardo a V., con il citato provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007;

6. ha infine respinto le censure relative alle modalità seguite dall’Autorità in sede di quantificazione delle sanzioni pecuniarie applicate.

Avverso la sentenza n. 2900 del 2010 con cui il T.A.R. per il Lazio ha respinto i due ricorsi proposti avverso il provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007 propongono distinti appelli principali W. T. s.p.a. e T. I. s.p.a.

Avverso la stessa sentenza propone appello incidentale E. s.p.a. limitatamente al passaggio della sentenza con cui il giudice di primo grado ha escluso che sussista un rapporto di autonomia tra il procedimento ordinario conclusosi con il provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007 e la decisione con impegni n. 16871 del 24 maggio 2007, sostenendo che quest’ultima può costituire un utile modello di raffronto in ordine al contenuto delle misure comportamentali che le imprese sanzionate (T. e W.) possono adottare per ottemperare alla decisione di infrazione; con la conseguenza per cui, in assenza di specifiche misure "positive" imposte dall’Autorità con il provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007, anche l’offerta di contratti aventi efficacia analoga a quelli che hanno formato oggetto dell’impegno di V. può considerarsi idonea ad assicurare la dovuta ottemperanza alla decisione di infrazione.

In primo grado ha costituito oggetto di separato contenzioso il citato provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007, con il quale l’Autorità deliberava di rendere obbligatorio l’impegno ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90 nei confronti di V. O..

Il citato provvedimento è stato invero impugnato, con distinti ricorsi, da W. T. s.p.a., T. I. s.p.a. e E. S.p.a.: ricorsi riuniti e respinti dal T.A.R. per il Lazio con sentenza n. 2902 del 2008.

Avverso quest’ultima propongono distinti appelli W. T. s.p.a., T. I. s.p.a. e E. S.p.a.

All’udienza del 15 marzo 2011 le cause sono state introitate per la decisione.
Motivi della decisione

1. Vanno preliminarmente riuniti gli appelli proposti avverso le sentenze nn. 2900 e 2902 del 2008, attesa la connessione oggettiva e soggettiva delle questioni controverse.

2. Prendendo le mosse dagli appelli riguardanti la sentenza n. 2900 del 2010, vanno in primo luogo disattesi i motivi di ricorso con cui si contestano le conclusioni cui l’Autorità è pervenuta in sede di identificazione dei mercati rilevanti: conclusioni condivise e confermate dal giudice di primo grado.

2.1. Come osservato, l’Autorità ha ritenuto che sussistano tanti mercati dei servizi di terminazione quante sono le reti mobili e che, di conseguenza i MNO siano dominanti ciascuno con riferimento alla propria rete.

A tale esito, l’Autorità è fondamentalmente pervenuta tenendo conto di due aspetti fondamentali che connotano l’offerta dei servizi di telefonia al dettaglio:

o l’applicazione del principio Calling Party Pays (chi chiama paga), in forza del quale il soggetto chiamante è differente dal soggetto il quale, sottoscrivendo l’abbonamento, sceglie su quale rete terminare la chiamata;

o l’assenza di sostituibilità da lato della domanda, per cui una chiamata destinata al terminale mobile di un determinato utente non può essere sostituita con una chiamata destinata ad un altro utente. Ciò implica che un operatore che vuole fornire ad un proprio cliente il servizio di telefonia deve disporre necessariamente del servizio di terminazione sulla rete del chiamato.

L’Autorità ha quindi ritenuto che la titolarità di ciascuna rete in capo ad un solo gestore, in uno all’assenza di sostituibilità dal lato della domanda, fa sì che ciascun gestore detenga una quota pari al 100% dell’offerta di servizi di terminazione sulla propria rete.

Ebbene, il primo giudice, nel respingere le censure dedotte con riguardo a tale apprezzamento dell’Autorità, ha disatteso:

o la censura, dedotta da T., secondo cui, per i Gruppi chiusi di utenti, il principio CCP (chi chiama paga) perde rilevanza essendo così possibile configurare un unico mercato destinato ad includere tutte le reti mobili su cui tali servizi sono prestati;

o la censura, sempre dedotta da T., relativa all’assunta contraddizione rinvenibile tra la definizione di mercato rilevante data dall’Autorità nel provvedimento n. 17131 e quella assuntamente desumibile dall’accettazione degli impegni V., i quali farebbero esclusivo riferimento ai c.d. "Gruppi chiusi di utenti";

o la censura con cui si è dedotto che l’Autorità, nell’individuare il mercato rilevante, avrebbe omesso di considerare il rilevante potere contrattuale esercitato dalla clientela business (c.d. countervailing market power);

o la censura, dedotta da W., secondo cui, rispetto alle offerte on – net, non sarebbe neanche possibile ipotizzare l’esistenza di un mercato in quanto si tratterebbe di attività in house.

Le questioni così esaminate dal primo giudice sono integralmente riproposte dalle società appellanti nei rispettivi atti di gravame.

2.1.1. Deducono, in specie, che, nell’attendere alla indicata definizione del mercato rilevante, non si sarebbe tenuto adeguatamente conto del rilevante potere contrattuale esercitato dalla clientela business (c.d. countervailing market power), in grado di reagire ad un eventuale aumento dei prezzi minacciando di passare ad altro fornitore.

L’assunto sostenuto è quello in forza del quale i clienti business dispongono di un tale potere contrattuale da innescare una vera e propria gara al ribasso, mettendo in concorrenza tra loro le offerte dei diversi gestori mobili, così non più in condizioni di tenere un comportamento indipendente rispetto agli stessi clienti business oltre che dai concorrenti.

A riprova si rimarca che un numero sempre maggiore di clienti business ricorre a meccanismi d’asta per l’acquisto di servizi di comunicazione mobili e fissi, in tal modo relegando gli MNO al ruolo di price taker.

Si tratta di avviso che non persuade il Collegio.

Non può non condividersi, in primo luogo, che l’intera impostazione è priva del benché minimo supporto probatorio atteso che, anche nell’atto di gravame, T. non ha dimostrato né la consistenza del riferito potere negoziale dei clienti business né la attitudine dello stesso ad incidere concretamente sulla capacità degli MNO di comportarsi in modo indipendente dagli OLO e dalla clientela.

Si tratta, peraltro, di una deficit probatorio ancor più grave se si considera che la tesi della società ricorrente, relativa alla titolarità in capo alla clientela business di un robusto potere contrattuale, appare al più riferibile alla clientela di grandi dimensioni, non già certo alla restante parte del mercato, rappresentato da utenti di medie se non piccole dimensioni, difficilmente in grado di condizionare le strategie commerciali dei gestori al punto da relegarli al ruolo di price taker.

A ciò si aggiunga, infine, che, comunque, anche ad ipotizzare l’esistenza di un potere contrattuale esercitato dalla clientela business, non risultano certo esclusi né ridimensionati gli effetti dell’abuso contestato alle società appellanti in danno degli operatori concorrenti, discriminati "a montè per effetto dello sfruttamento posto in essere dai c.d. MNO del vantaggio competitivo correlato alla proprietà dell’infrastruttura di rete mobile.

2.1.2. Va parimenti disattesa la censura con cui si deduce che, per i Gruppi chiusi di utenti, il principio CCP (chi chiama paga) perde rilevanza essendo così possibile configurare un unico mercato destinato ad includere tutte le reti mobili su cui tali servizi sono prestati.

Giova, sul punto, considerare che, per le chiamate mobilemobile, occorre distinguere tra quelle originate e terminate sulla rete dello stesso operatore (terminazione on net) da quelle originate e terminate tra utenti che fanno capo allo stesso contratto aziendale, ossia i c.d. gruppi chiusi di utenti (terminazione intercom).

Secondo l’assunto sostenuto da T., il principio "chi chiama paga" -in uno a quello della non sostituitibilità dal lato della domanda dall’Autorità posto a fondamento della tesi secondo cui sussistono tanti mercati dei servizi di terminazione quante sono le reti mobili- non trova applicazione nel caso dei Gruppi chiusi di utenti, atteso che in tale ipotesi il chiamante sceglie anche la rete su cui terminare la chiamata: il che renderebbe le reti degli MNO pienamente sostituibili tra loro e, pertanto, parte di un unico mercato in seno al quale nessun gestore detiene una posizione dominante.

La tesi va disattesa alla stregua di plurime ragioni.

Su un primo versante, non può il Collegio non considerare che, come osservato dalla stessa Autorità, le chiamate interaziendali costituiscono una quota delle chiamate on – net compresa tra il 10% e il 30%, non tale da influenzare le scelte dei clienti aziendali rispetto all’intera direttrice on net.

Si tratta, peraltro, di un segmento del mercato privo di alcuna autonomia, se solo si considera che, diversamente da quanto si registra in altri Paesi (in specie in Inghilterra), non esiste un’offerta specifica né a livello retail, né a livello wholesale, le chiamate interaziendali costituendo soltanto una componente, normalmente prezzata a livelli più favorevoli, di un pacchetto più consistente.

Come condivisibilmente osservato dal primo giudice, quindi, le stesse, lungi dal costituire un mercato a sé stante, sono solo una componente della domanda delle aziende, avente tuttavia ad oggetto l’intera direttrice on – net.

2.1.3. Non può neanche essere condivisa l’ulteriore censura dedotta da T. relativa alla presunta contraddittorietà tra l’indicata definizione del mercato rilevante compiuta dall’Autorità e la posizione assunta con l’adozione del provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007, con il quale con il quale la stessa Autorità ha deliberato:

o di rendere obbligatorio l’impegno ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90 nei confronti di V. O.;

o di chiudere il procedimento nei confronti della medesima società senza accertare le infrazioni, ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90.

Secondo l’appellante, invero, l’impegno assunto da V. produrrebbe effetti con riguardo alle sole offerte destinate a Gruppi chiusi di utenti attestati sulla rete BT; accettando tale impegno, quindi, l’Autorità avrebbe implicitamente riconosciuto che il mercato rilevante ai fini dell’ipotizzato abuso contestato a V. è quello relativo ai Gruppi chiusi di utenti, non già quello dei servizi di terminazione sulla rete dello stesso operatore.

Senza esaminare le censure dedotte con gli appelli proposti avverso la distinta sentenza n. 2902 del 2008, giova al riguardo considerare che all’adozione del citato provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007 l’Autorità si è determinata tenendo conto in specie della intervenuta stipulazione di un contratto definitivo con B. I. s.p.a., con il quale detta società acquisiva il diritto di accesso, in qualità di ESP (Enanced service provider) alla rete di V., al fine di offrire autonomamente alla clientela italiana servizi di comunicazione mobile

L’Autorità ha in particolare ritenuto che "il contratto sottoscritto in data 7 aprile 2007 con B. I., definitivamente vincolante per le parti, rappresenta un elemento di novità decisivo, in quanto segna concretamente ed effettivamente l’apertura del mercato dell’accesso wholesale alle reti mobili italiane."

Quanto al mercato della terminazione, la stessa Autorità ha evidenziato "che le condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Come rimarcato dal primo giudice, pertanto, il contratto stipulato con B. I. consente alla controparte di formulare offerte alla clientela aziendale, relativamente all’intera direttrice on – net, non già soltanto limitatamente alla componente Intercom; il che è sufficiente ad escludere che l’Autorità sia incorsa nella contraddizione lamentata dalla società appellanti.

2.1.4. Non meritano miglior sorte le censure con cui W. contesta che illegittimamente le è stata riconosciuta la titolarità di una posizione dominante, sulla sola base della quota di mercato espressa in relazione ai servizi di terminazione.

Ad avviso della società appellante, in specie, non sarebbe consentito riconoscerle posizione dominante non avendo la stessa la capacità di determinare in modo indipendente da altri soggetti attivi sul mercato le proprie strategie imprenditoriali.

Nel dettaglio, secondo W., le sue scelte, lungi dall’essere indipendenti, sono vincolate dalla necessità di tener conto delle reazioni degli altri MNO.

A ciò deve aggiungersi -sostiene W.- che nel mercato finale dei servizi di fonia fissomobile, la sua quota è di poco superiore al 10% a fronte del 70% riconducibile a T..

Si tratta di assunto già esaminato e disatteso dal primo giudice, dalle cui ragionevoli conclusioni il Collegio non ha alcuna ragione di discostarsi.

E’ sufficiente considerare che, per quanto integrati o collegati, devono essere distinti il mercato a monte dei servizi di terminazione da quello a valle dei servizi di comunicazione.

Non vi è dubbio, del resto, che, se è vero che sussistono tanti mercati dei servizi di terminazione quante sono le reti mobili, è inevitabile che ciascun MNO debba essere considerato dominante con riferimento alla propria rete.

D’altra parte, in caso di mercati integrati, o comunque collegati, l’illiceità di un comportamento tenuto nel mercato "a monte" non può essere esclusa per il solo fatto della mancanza di una posizione dominante in quello "a valle" (Corte di Giustizia del 6 marzo 1974, Commercial Solvents, cause 67/73 R, Racc. 1974, pag. 261; 3 ottobre 1988, CBEM, Racc. 1988, pag. 311; 3 luglio 1991, Akzo, Racc. 1991, pag. I3405; 1° aprile 1993, BPB Industries & British Gypsum, Racc. 1994, pag. IV38).

Come osservato dal primo giudice, invero, anche in tali ipotesi, il potere di leva può essere sfruttato per "estendere" su questo mercato la posizione detenuta nel mercato a monte.

Non è consentito non considerare, al riguardo, che l’Autorità ha addebitato a W. non solo il fatto di praticare una politica di discriminazione di prezzo, quanto che le offerte scontate sui servizi finali on – net alla clientela aziendale sono rese possibili dai "sussidi" derivanti dai profitti conseguiti attraverso la più elevata tariffa di terminazione praticata ai concorrenti a livello wholesale.

Condotta i cui effetti lesivi ben si apprezzano avendo riguardo, non già agli altri MNO, quanto piuttosto agli operatori terzi, non infrastrutturati, cui si impedisce "di partecipare al confronto concorrenziale" (par. 288 del provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007).

2.2. Con un secondo gruppo di motivi di ricorso si contesta la sentenza n. 2900 del 2008 nella parte in cui ha confermato la valutazione espressa dall’Autorità in merito alla natura abusiva delle condotte contestate a T. e W..

E’ utile considerare che con il provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007, l’Autorità, con riguardo al mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione sulle rispettive reti, ha ritenuto che "Tim e W. hanno posto in essere condotte volte ad escludere i propri concorrenti sia dai mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione, sia dal connesso mercato al dettaglio dei servizi di fonia FM per la clientela business. Più precisamente, tali comportamenti dei due gestori mobili, titolari anche di licenza per operare servizi di telefonia su rete fissa, sono consistiti nell’applicazione di condizioni economiche per la terminazione FM delle chiamate su numerazioni mobili on net e intercom più favorevoli alle proprie divisioni commerciali rispetto ai corrispondenti prezzi di terminazione (tariffe regolamentate, per Tim, e prezzi liberamente fissati per W. fino al settembre 2005, quando anche questa società è stata notificata, con provvedimento cautelare, come operatore con SMP nel mercato della terminazione sulla propria rete (…)) praticati ai propri concorrenti, anche attraverso l’impiego di particolari soluzioni tecniche, tra cui connessioni PABXMSC e/o apparati GSM Box, in assenza di una corrispondente offerta wholesale per i propri concorrenti".

Ha soggiunto l’Autorità che "I comportamenti descritti sono stati rafforzati dalla risoluzione da parte dei due MNO dei contratti business – o da un innalzamento repentino e sproporzionato dei prezzi tale da indurre le controparti a recedere dagli stessi – utilizzati dagli operatori di comunicazioni concorrenti (come BT, TELE2, TISCALI, RETEITALY, ecc.), in alternativa ai contratti di interconnessione, al fine di acquistare i servizi di terminazione alle condizioni retail particolarmente favorevoli in essi previste e, comunque, tali da consentire offerte FM alla clientela business competitive con quelle dei due gestori di rete. Come sottolineato dai denuncianti (…) alla risoluzione dei contratti in questione, formalmente motivata dall’impiego di GSM Box in violazione di clausole contrattuali, non è seguita da parte dei due MNO, nonostante le reiterate richieste dei concorrenti, alcuna offerta di servizi di terminazione all’ingrosso a condizioni economiche e tecniche tali da consentire a questi ultimi di formulare offerte di fonia FM competitive con quelle dei gestori medesimi.

Infatti, poiché in molti casi i prezzi finali praticati alla clientela business dai due gestori per la direttrice di traffico fissomobile sono inferiori ai prezzi di terminazione, l’offerta standard di servizi di interconnessione per la terminazione del traffico fissomobile di T.come modificatasi nel corso del tempo (…) – e l’offerta di W. – superiore all’offerta standard di TIM e fissata, dal settembre 2005, in via regolamentare – non possono considerarsi un’alternativa economicamente sostenibile per i concorrenti (…)".

Ebbene, il primo giudice, nel respingere le censure al riguardo dedotte in primo grado:

o ha ritenuto infondato il rilievo di T. secondo cui il c.d. "contratto di interconnessione" previsto dal Codice delle Comunicazioni elettroniche sarebbe l’unica tipologia contrattuale astrattamente lecita ai fini della rivendita del servizio di terminazione;

o ha escluso la liceità della risoluzione dei contratti business utilizzati da operatori di rete fissa e service provider per terminare le chiamate da rete fissa su rete mobile;

o ha confutato l’assunto secondo cui il test di replicabilità andrebbe effettuato confrontando i costi di terminazione e raccolta con le corrispondenti offerte finali formulate alla clientela aziendale con riferimento sia alla componente FM onnet che off net;

o ha escluso che l’Autorità sia incorsa in errore nel calcolare il prezzo dell’offerta denominata "1038";

o ha escluso l’invocabilità, in funzione esimente, della teoria della meeting competition defence.

Le questioni così esaminate dal primo giudice sono riproposte dalle società appellanti nei rispettivi atti di gravame.

2.2.1. Va in primo luogo respinto il motivo di ricorso con cui, per vero ribadendo quanto sostenuto in primo grado, si osserva che l’unico strumento previsto dalla disciplina di settore per la fornitura del servizio di terminazione è costituito dal contratto standard di interconnessione ex art. 41 del Codice delle Comunicazioni elettroniche, frutto di un equo contemperamento tra gli interessi degli operatori e gli interessi dei legittimi proprietari della rete: sicché del tutto legittimamente si sarebbe atteso alla risoluzione degli atipici contratti multibusiness.

Come correttamente osservato dal T.A.R., il contratto di interconnessione costituisce solo uno standard minimo, che ben possono le parti sostituire o affiancare con altre tipologie contrattuali.

Né certo può invocarsi, a sostegno dell’assunto, la decisione assunta dall’AgCOM nel caso B.B.Bell, società alla quale Tim aveva negato un accesso wholesale per la fornitura del traffico f/m e che aveva richiesto l’intervento dell’Autorità di regolazione per imporre a Tim la negoziazione di un contratto ex art. 2 della delibera n. 544/2000.

E’ sufficiente osservare, invero, che l’Autorità ha respinto l’istanza suddetta affermando che il proprio potere di intervento si riferisce solo agli accordi di interconnessione e di accesso di cui all’art. 40 del d.lgs. n. 259 del 2003, così definendo solo un profilo di competenza, senza entrare nel merito della questione concernente la astratta possibilità di concludere contratti diversi.

Nel merito, non può il Collegio non tener conto della ragionevolezza dell’assunto, sostenuto dall’Autorità, in forza del quale poiché in molti casi i prezzi finali praticati alla clientela business dalle due società ora appellanti per la direttrice di traffico fissomobile sono inferiori ai prezzi di terminazione, l’offerta standard di servizi di interconnessione per la terminazione del traffico fissomobile di T.come modificatasi nel corso del tempo (…) – e l’offerta di W. – superiore all’offerta standard di TIM e fissata, dal settembre 2005, in via regolamentare – non possono considerarsi un’alternativa economicamente sostenibile per i concorrenti.

2.2.2. Non convince, affatto, l’assunto secondo cui, nel verificare se, per effetto dei prezzi di terminazioni praticati agli altri operatori, agli stessi è stato di fatto precluso di replicare l’offerta dell’MNO, è necessario confrontare i costi di terminazione e raccolta con le corrispondenti offerte finali formulate dall’MNO alla clientela aziendale con riferimento sia alla componente FM onnet che off net.; il che sarebbe necessario per dimostrare che nessun altro operatore sarebbe in grado di formulare un’offerta concorrente.

Si tratta di impostazione non condivisibile se solo si considera che diversamente dalla componente off – net, per la quale ciascuno degli MNO subisce il prezzo praticato dagli altri MNO, il costo di terminazione sulla propria rete, di cui gli MNO hanno invece il monopolio, è quello sul quale gli stessi possono intervenire per praticare prezzi discriminatori a livello wholesale, oltre che per proporre, a livello retail, offerte complessivamente non replicabili dai concorrenti non dotati di infrastruttura di rete mobile.

Che è quanto ragionevolmente ha osservato l’Autorità rimarcando che l’apprezzamento della discriminatorietà dell’offerta appare "corretta, e necessaria, con riferimento alla sola direttice FM on net, ovvero quella su cui incide il costo della relativa terminazione, risorsa sulla quale TIM detiene una posizione di dominanza individuale e il cui prezzo è definito su base regolamentare. Né potrebbe essere diversamente, essendo sempre possibile altrimenti per un operatore integrato, in monopolio nell’offerta di un determinato input intermedio, effettuare una discriminazione a danno dei propri concorrenti – ed in particolare degli operatori terzi che non sono proprietari di una rete mobile né hanno accesso ad essa in qualità di ESP o MVNO – sussidiandola con i ricavi derivanti da altri servizi, con l’effetto, nel caso specifico, di eludere il principio di non discriminazione internoesterno nell’offerta dell’input intermedio".

2.2.3. Vanno pure disattese le censure con cui T. deduce che l’Autorità sia incorsa in errore nel calcolare i prezzi applicati da T. per il servizio f – m: errore assuntamente desumibile dalle modalità di calcolo del prezzo dell’offerta denominata "1038".

Non può, invero, non condividersi quanto osservato dal T.A.R. laddove ha posto in risalto che la tariffa di terminazione presa a riferimento da T. nel condurre il calcolo e la verifica di replicabilità dell’offerta praticata (pari a 9,97 Euro/Cent/min) è in vigore soltanto dal 1° luglio 2007 ed è pertanto del tutto irrilevante ai fini della valutazione della predatorietà di un’offerta commercializzata da Tim già nel 2004; né pare ragionevole l’assunto secondo cui venendo in rilievo contratti pluriennali occorre tener conto dell’atteso decalage, posto che il raffronto va fatto tra prezzi praticati e costi sostenuti nell’anno di riferimento.

Correttamente, quindi, l’Autorità e il giudice di primo grado hanno osservato, con specifico riguardo all’offerta 1038, che, anche seguendo l’ipotesi di calcolo proposta da T., il prezzo risulta sempre inferiore al solo costo di terminazione (pari, nel periodo di validità dell’offerta, dapprima a 14, 95Euro/Cent/min e, dal settembre del 2005, a 12,10 Euro/cent/min) e quindi a quello di terminazione e raccolta (rispettivamente 15,95 e 13,10 eurocent/min).

2.2.4. Piena condivisione merita, peraltro, la sentenza gravata nella parte in cui ha escluso l’invocabilità, in funzione esimente, della teoria della meeting competition defence.

L’assunto, riproposto in appello, è quello secondo cui, anche ad ammettere la non replicabilità delle offerte praticate dalle due società appellanti, la condotta sarebbe stata comunque imposta dall’esigenza di fronteggiare la pressione esercitata dagli altri operatori concorrenti, in specie V..

Giova, al riguardo, considerare che, in seno al procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato in primo grado, l’Autorità, nel disattendere l’invocabilità, in funzione esimente, della teoria della meeting competition defence, ha sostenuto che, nella fattispecie, non è in discussione "la giusta reazione a comportamenti posti in essere da operatori concorrenti, che miri a tutelare nei confronti di tali concorrenti i legittimi interessi commerciali dell’impresa dominante" quanto un comportamento che sostanzialmente " si riassume nell’inseguire i gestori concorrenti (…) sul piano degli abusi perpetrati ai danni di operatori terzi, che risultano così pregiudicati nella loro capacità di competere".

Ritiene il Collegio di condividere l’impostazione seguita dall’Autorità, oltre che dal giudice di primo grado.

Perché, invero, l’azione contestata all’impresa in posizione dominante possa essere considerata in termini di allineamento difensivo è necessario che la stessa sia rivolta contro gli autori dell’aggressione, non già, come pacificamente si è verificato nel caso di specie, in danno di operatori terzi.

Non vi è dubbio, invero, che, in astratto, a fronte di un illecito antitrust da parte di un concorrente, non è invocabile, in funzione esimente, la teoria della meeting competition defence per giustificare condotta analogamente anticompetitive dirette a sortire effetti pregiudizievolmente escludenti rispetto ai terzi, l’operatore assuntamente danneggiato dal primo illecito potendo solo denunciare l’abuso alla competente Autorità antitrust ed eventualmente azionare pretese risarcitorie di tipo civilistico.

2.3. Con ulteriori motivi di ricorso si deduce l’erroneità della sentenza gravata laddove ha disatteso la censura relativa alla lamentata disparità di trattamento riservata dall’Autorità alle due società ricorrenti rispetto a quanto statuito, con riguardo a V., con il citato provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007.

Come già chiarito, con il provvedimento indicato l’Autorità ha deliberato:

o di rendere obbligatorio l’impegno ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90 nei confronti di V. O.;

o di chiudere il procedimento nei confronti della medesima società senza accertare le infrazioni, ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90.

A tanto l’Autorità si è determinata tenendo conto in specie della intervenuta stipulazione di un contratto definitivo con B. I. s.p.a., con il quale detta società acquisiva il diritto di accesso, in qualità di ESP (Enanced service provider), alla rete di V., al fine di offrire autonomamente alla clientela italiana servizi di comunicazione mobile.

L’Autorità ha in particolare ritenuto che "il contratto sottoscritto in data 7 aprile 2007 con B. I., definitivamente vincolante per le parti, rappresenta un elemento di novità decisivo, in quanto segna concretamente ed effettivamente l’apertura del mercato dell’accesso wholesale alle reti mobili italiane."

Quanto al mercato della terminazione, la stessa Autorità ha evidenziato "che le condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Ebbene, secondo l’impostazione seguita nei motivi di appello che si esaminano, allorché oggetto dell’istruttoria siano, come sarebbe nel caso in esame, illeciti plurisoggettivi ovvero condotte monosoggettive tuttavia tra loro strettamente connesse, il procedimento deve essere chiuso, non solo nei confronti dell’impresa che ha presentato l’impegno, ma anche in favore delle altre.

Più nel dettaglio, si sostiene che la procedura prevista dall’articolo 14ter della l. n. 287/90, mutuata dal diritto comunitario, risponde ad esigenze di economia procedimentale e di sollecita rimozione dei problemi concorrenziali in termini più rapidi di quelli necessari per portare a termine la procedura antitrust.

Consegue -secondo la tesi sostenuta in appello- che, qualora l’istruttoria in corso abbia ad oggetto un’infrazione plurisoggettiva, l’accoglimento dell’impegno presentato da una sola delle parti deve comportare la chiusura del procedimento anche nei confronti delle altre, l’impegno dovendo essere idoneo a rimuovere il problema concorrenziale nella sua interezza e complessità.

Ebbene, ritiene il Collegio che l’intera impostazione sopra riportata non considera che, prima che intervenisse la decisione sull’impegno assunto da V., l’Autorità, con Comunicazione delle risultanze istruttorie del 28 luglio 2006, ha contestato a T., W. e V., due distinte tipologie di abuso:

o un abuso di posizione dominante "collettiva" nel mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile;

o tre abusi di posizione dominante "individuale" nei mercati della terminazione sulle rispettive reti mobili.

Nel dettaglio, gli addebiti contestati hanno riguardato due distinte violazioni dell’art. 82 del Trattato, consistenti in:

o un abuso di posizione dominante "collettiva" da parte di Tim e W. (oltre che di V.) nel mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile, nella forma di rifiuto ingiustificato opposto agli operatori richiedenti l’accesso alle reti mobili per lo svolgimento di attività di operatori mobili virtuali (MVNO), fornitori avanzati di servizi (ESP) e rivenditori di traffico su rete mobile (ATR);

o tre abusi di posizione dominante "individuale" da parte di ciascuno dei suddetti gestori nei mercati della terminazione sulle rispettive reti mobili, consistenti nell’attuazione di pratiche discriminatorie a favore delle proprie divisioni commerciali (anche tramite l’utilizzo di particolari soluzioni tecniche come le connessioni PABZMSC e/o apparati GSM Box) volte ad escludere i propri concorrenti dai mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione e dal connesso mercato al dettaglio dei servizi di telefonia fisso – mobile per la clientela aziendale.

A quest’ultimo riguardo, come ripetutamente osservato, l’Autorità ha ritenuto che sussistano tanti mercati dei servizi di terminazione quante sono le reti mobili e che, di conseguenza, i MNO siano dominanti ciascuno con riferimento alla propria rete.

Ebbene, in conseguenza della decisione assunta sull’impegno di V., è certo venuta meno la contestazione dell’illecito plurisoggettivo anche nei confronti di W. e T., alle quali, invero, con provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007, l’Autorità ha addebitato le fattispecie abusive (non concorsuali o plurisoggettive) relative ai soli mercati della terminazione sulle rispettive reti mobili: fattispecie monosoggettive, quindi, singolarmente contestate a ciascun operatore, scindibili l’una dall’altra.

Del tutto legittimamente, quindi, l’Autorità non ha esteso a T. e W. gli effetti del provvedimento di accoglimento dell’impegno presentato da V..

Né a diversa valutazione può pervenirsi sul rilievo della similarità delle condotte contestate ai tre MNO ovvero sulla considerazione della relativa convergenza nel produrre il lamentato effetto escludente.

E’ sufficiente, sul punto, ribadire che nel provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007, l’Autorità ha addebitato a T. e W. condotte discriminatorie autonomamente tenute da ciascuna in danno dei rispettivi clienti business.

2.3.1. Non può sostenersi, in chiusura, che, per effetto dell’impegno di V., siano venuti meno gli effetti escludenti conseguenti alle condotte abusive dei tre MNO, complessivamente considerate.

Ed invero, ciò che l’Autorità ha contestato a W. e T. è di aver abusato delle posizione dominanti "individuali" distintamente proprie di ciascuna delle due società nei mercati della terminazione sulle rispettive reti mobili, consistenti, come ripetutamente osservato, nell’attuazione di pratiche discriminatorie a favore delle proprie divisioni commerciali (anche tramite l’utilizzo di particolari soluzioni tecniche come le connessioni PABZMSC e/o apparati GSM Box) volte ad escludere i propri concorrenti dai mercati all’ingrosso dei servizi di terminazione e dal connesso mercato al dettaglio dei servizi di telefonia fisso – mobile per la clientela aziendale.

Gli effetti escludenti addebitati dall’Autorità, pertanto, sono correlati a condotte diverse e individuali di ciascun MNO, come peraltro confermato dalla circostanza sopra rimarcata per cui la stessa analisi relativa alla replicabilità delle offerte è stata condotta dall’Autorità avendo riguardo, quale parametro di raffronto, alle condizioni offerte per la terminazione su ciascuna singola rete.

2.3.2. Va peraltro disatteso quanto dedotto a proposito dell’idoneità della prosecuzione dell’accertamento nei confronti degli altri MNO a compromettere l’utilità della decisione ex art. 14ter, comma 1, della legge n. 287/90, adottata nei confronti di V. O..

Il Collegio condivide appieno quanto al riguardo ritenuto dal primo giudice laddove, evidenziato che, dopo l’accettazione degli impegni, alcun ulteriore accertamento o approfondimento è stato effettuato nei confronti di V. la cui posizione è stata perciò completamente stralciata, ha comunque osservato che, in generale, la decisione con impegni non comporta infatti alcuna immunità sul piano civilistico ma rende solo più difficile il proficuo esperimento delle azioni risarcitorie.

2.3.3. Va parimenti disatteso l’assunto secondo cui con l’accettazione degli impegni proposti da V. l’Autorità avrebbe implicitamente ma necessariamente concluso per la qualificazione di "non gravità" dell’illecito e, conseguentemente, per la non sanzionabilità dell’abuso anche nei confronti delle appellanti.

Sullo sfondo l’assunto secondo cui condizione perche l’Autorità possa concludere la procedura antitrust mediante l’accoglimento di un impegno è che oggetto della stessa non siano infrazioni "gravi", che giustifichino l’applicazione di una sanzione.

A tale esito l’appellante T. perviene osservando che la previsione di diritto interno contenuta nel citato art. 14ter, comma 1, della legge n. 287/90, si ispira all’articolo 9 del Reg. CE 1/2003 in forza del quale, allorché intenda adottare una decisione volta a far cessare un’infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese.

Ebbene, il tredicesimo considerando dello stesso regolamento comunitario citato puntualizza che le decisioni concernenti gli impegni non sono "opportune" nei casi in cui la Commissione intende irrogare un’ammenda.

Come è consentito desumere dalla stessa formulazione testuale del considerando citato, la Commissione dispone dunque di un notevole margine di discrezionalità nel valutare se accettare le misure proposte dalle imprese renderdo obbligatoria una decisione ai sensi dell’art. 9 del Reg. n. 1/2003.

Convisibilmente, il giudice di primo grado ha quindi sostenuto che la valutazione preliminare di "gravità" dell’abuso costituisce unicamente un limite di opportunità da apprezzare nel valutare se adottare la decisione con impegni, non già, viceversa, un vincolo imposto ex lege, la Commissione e le ANC disponendo di ampia discrezionalità nell’individuazione delle proprie priorità di intervento.

Che è quanto riconosciuto ripetutamente sul piano comunitario.

Sul versante giurisprudenziale, merita di essere citata la sentenza 11 luglio 2007, Alrosa c. Commissione, con cui il Tribunale di primo grado ha sostenuto che "la Commissione non è mai tenuta, in forza dell’art. 9, n. 1 del regolamento n. 1/2003 a decidere di rendere obbligatori degli impegni piuttosto che ad agire ai sensi dell’art. 7 del medesimo regolamento. Non è pertanto tenuta a fornire le ragioni per le quali degli impegni non le sembrano idonei ad essere resi obbligatori in modo da concludere il procedimento" (punto 130).

Nella stessa decisione il Tribunale di I grado ha anche affermato "che l’obiettivo dell’art. 7, n. 1 del regolamento n. 1/2003 è lo stesso di quello perseguito dall’art. 9, n. 1, e coincide con l’obiettivo principale del regolamento n. 1/2003, che è quello di garantire un’efficace applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato" (punto 95) e che "Per il conseguimento di tale obiettivo la Commissione dispone di un margine di valutazione discrezionale nella scelta offertale dal regolamento n. 1/2003 di rendere obbligatori gli impegni proposti dalle imprese interessate e di adottare una decisione ai sensi dell’art. 9 o di seguire la via prevista dall’art. 7, n. 1 del medesimo regolamento, che esige l’accertamento di un’infrazione" (punto 96).

Sentenza, in parte qua, non contraddetta dalla sentenza 29 giugno 2010, Commissione c. Alrosa Company Ltd, con cui la Corte di giustizia ha viceversa ribadito la sussistenza, in capo alla Commissione, di un ampio margine discrezionale nel determinarsi ai sensi dell’art. 9 del regolamento n. 1/2003.

Alla stregua delle esposte ragioni va anche disattesa, quindi, la richiesta di rinvio pregiudiziale formulata in appello.

2.3.4. Infondato risulta al Collegio il motivo di appello (formulato anche da E. nell’appello incidentale) con cui si deduce l’erroneità della sentenza gravata laddove -nell’escludere che siano prospettabili possibili effettivi distorsivi in conseguenza della lamentata difformità tra il contenuto che Tim e W. hanno attribuito alla diffida adottata dall’Autorità e gli impegni assunti da V.- ha sostenuto che il rapporto tra procedimento ordinario e decisione con impegni non sia di totale e assoluta autonomia in quanto entrambi nascono dal medesimo problema concorrenziale, con la conseguenza per cui la decisione con impegni adottata in favore di V. può costituire un utile modello di raffronto in ordine al contenuto delle misure comportamentali che Tim e W., sanzionate con il provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007, possono adottare per ottemperare alla decisione di infrazione.

Giova dapprima considerare quanto lo stesso T.A.R., con la sentenza n. 2902 del 2008, ha sostenuto con riguardo al contenuto e agli effetti del provvedimento con cui l’Autorità ha reso obbligatorio l’impegno di V..

Come chiarito, al provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007, l’Autorità si è determinata tenendo conto in specie della intervenuta stipulazione di un contratto definitivo con B. I. s.p.a., con il quale detta società acquisiva il diritto di accesso, in qualità di ESP (Enanced service provider) alla rete di V., al fine di offrire autonomamente alla clientela italiana servizi di comunicazione mobile

L’Autorità ha in particolare ritenuto che "il contratto sottoscritto in data 7 aprile 2007 con B. I., definitivamente vincolante per le parti, rappresenta un elemento di novità decisivo, in quanto segna concretamente ed effettivamente l’apertura del mercato dell’accesso wholesale alle reti mobili italiane."

Quanto al mercato della terminazione, ha evidenziato "che le condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Ebbene, il giudice di primo grado ha al riguardo osservato che "nel contratto stipulato con B. I. non figurano clausole di esclusiva né risulta che una simile esclusiva sia stata assicurata in via di fatto. In tale contratto è anzi rinvenibile una clausola, debitamente valorizzata dall’Autorità, secondo cui V. si è espressamente riservata di fornire a terzi analoghi servizi di accesso wholesale alla propria rete, senza alcuna restrizione. E se è vero, così come evidenziato da E., che dagli impegni assunti da V. non deriva un obbligo generalizzato a contrarre con i terzi, tuttavia un eventuale futuro, ingiustificato rifiuto di V. di concedere ad essi, a parità di impegno tecnico e commerciale, analoghe condizioni di accesso alla propria rete, verrebbe sicuramente a configurarsi quale elusione delle misure concordate, con la conseguente riapertura del procedimento di infrazione. In altre parole l’impegno V. segna, a parere del Collegio, un punto di "non ritorno", perché introduce, quantomeno, un modello di comportamento virtuoso al quale, da ora in poi, la società dovrà adeguarsi nelle negoziazioni relative alla proprie risorse di rete".

Ebbene, questa essendo la portata degli effetti conseguenti all’impegno assunto da V. e accettati dall’Autorità, nessuna distorsione del mercato può riscontrarsi.

Del tutto coerentemente, pertanto, e senza certo sconfinare in area riservata all’Autorità, il primo giudice ha per converso sostenuto, nella sentenza n. 2900 del 2008, che, "poiché le condotte ipotizzate a carico di V., relativamente al mercato della terminazione sono, da un punto di vista oggettivo, assimilabili a quelle successivamente accertate nei confronti di Tim e W., è logico ritenere che, in assenza di specifiche misure "positive" imposte dall’Autorità con il provvedimento finale, anche l’offerta di contratti aventi efficacia analoga a quelli che hanno formato oggetto dell’impegno di V. possa risultare idonea ad ottemperare alla decisione di infrazione".

2.4. Vanno disattesi anche i motivi di appello con cui si deduce l’erroneità della sentenza gravata laddove ha respinto le censure relative alle modalità seguite dall’Autorità in sede di quantificazione delle sanzioni pecuniarie applicate.

2.4.1. Quanto a T., vengono in rilievo le questioni relative:

o alla durata dell’illecito;

o al rilievo assegnato dall’Autorità, in sede di quantificazione dell’importo base della sanzione, alla sua posizione di operatore dominante a livello di gruppo non solo nel mercato a monte dell’offerta di servizi di terminazione sulla propria rete, ma anche nel mercato a valle dell’offerta di servizi fissomobile all’utenza aziendale;

o alla recidiva di cui l’Autorità ha tenuto conto nell’applicare il disposto aumento di 5 milioni di euro.

Quanto alla durata, ritiene il Collegio che non possa sovrapporsi la data di inizio delle condotte illecite con quella di presentazione delle denunce; e, quanto alla prima, non può non condividere quel che ha rimarcato il giudice di prima istanza nel richiamare le evidenze documentali emerse in seno al procedimento antitrust da cui emerge che "TIM sin dal 1999 ha offerto alla propria utenza aziendale servizi di fonia FM, come integrazione ai contratti per servizi mobili, che prevedevano soluzioni tecniche alternative, quali i collegamenti MSCPABX, per la terminazione delle chiamate sulla rete mobile del gestore medesimo (…) Tali soluzioni hanno consentito l’applicazione al cliente finale di condizioni economiche per la direttrice FM on net particolarmente vantaggiose se confrontate con il solo costo dell’input intermedio – terminazione FM – dal medesimo offerto all’ingrosso ai propri concorrenti tramite il contratto standard di interconnessione approvato dall’Autorità di settore".

Parimenti significativa, e non contestata in appello, è la circostanza del rifiuto a contrarre opposto nel 2001 da Tim ad E. e della piena consapevolezza, emersa in capo a Tim, di porre in essere una condotta discriminatoria a favore delle proprie divisioni commerciali.

D’altra parte, anche per quel che attiene al momento di conclusione delle condotte abusive, preme osservare, da un lato, che le offerte "1038", PABXMSC e "Nonsolomobile" non esauriscono l’intero ventaglio delle condotte abusive contestate a T. nel mercato dei servizi wholesale di terminazione, dall’altro, che è emersa prova di nuove offerte discriminatorie praticate anche dopo la comunicazione della Comunicazione delle risultanze istruttorie.

Né può condividersi, a quest’ultimo riguardo, quanto sostenuto da T. in merito all’assunta violazione del principio del contraddittorio conseguente alla considerazione, da parte dell’Autorità, delle offerte praticate da T. dopo la comunicazione della Comunicazione delle risultanze istruttorie.

Da un lato, infatti, queste nuove offerte, lungi dall’essere apprezzate dall’Autorità quale violazioni distinte da quella inizialmente contestata e dal comportare quindi una proposta aggiuntiva di sanzione, hanno costituito solo prova del carattere permanente dell’identico abuso già contestato.

A ciò si aggiunga che, come osservato nella sentenza gravata, delle denunce aventi ad oggetto le citate offerte praticate dopo la CRI T. è stata poi informata, sicché è stata posta in condizione di esercitare il diritto di accesso controdeducendo in sede di audizione finale.

Non merita accoglimento il motivo con cui T. contesta il rilievo assegnato dall’Autorità, in sede di quantificazione dell’importo base della sanzione, alla sua posizione di operatore dominante a livello di gruppo non solo nel mercato a monte dell’offerta di servizi di terminazione sulla propria rete, ma anche nel mercato a valle dell’offerta di servizi fissomobile all’utenza aziendale.

Diversamente da quanto sostenuto in appello, invero, quanto emerso nel corso del procedimento in contestazione testimonia la sussistenza, tra T. e Tim, di una strategia di gruppo volta all’integrazione tra rete fissa e rete mobile: significativo quanto riferito al par. 196 del provvedimento impugnato in primo grado in merito alle considerazioni espresse da T. in occasione della gara Consip per l’anno 2006.

Parimenti, vanno disattese le censure con cui T. si duole dell’applicazione dell’aggravamento conseguente al riconoscimento della recidiva sostenendo che le condotte contestate nei provvedimenti antitrust intervenuti nei suoi confronti hanno avuto ad oggetto condotte discriminatorie diverse da quelle addebitate nel provvedimento n. 17131 del 3 agosto 2007.

E’ sufficiente osservare, al riguardo, che, perché possa ritenersi la recidiva, non è necessario che emerga l’assoluta identità di specie degli illeciti commessi, quanto piuttosto la relativa riconducibilità alla stessa tipologia di illecito antitrust.

Infine, non può essere condiviso il motivo con cui si censura il mancato apprezzamento, ad opera dell’Autorità, del contratto stipulato da T. con Tiscali; è sufficiene osservare, sul punto, che si tratta di contratto della cui conclusione T. ha informato l’Autorità solo in data 27 luglio 2007, appena sette giorni prima della data di notifica del provvedimento impugnato in primo grado, sicché legittimamente l’Autorità ha ritenuto di non valutarlo in sede di quantificazione della sanzione.

Il che rende persino superflua la valutazione di quanto dedotto con riguardo al diverso approccio mostrato dall’Autorità nell’apprezzare il contratto concluso da V. con BT, come rilevato posto a fondamento del provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007.

2.4.2. Quanto a W., invece, la stessa deduce l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha escluso che l’Autorità sia incorsa in errore nel non apprezzare adeguatamente la posizione soggettiva in cui la stessa società versava, in specie la sostenuta assenza di colpa.

A sostegno dell’assunto, W. fa leva su numerose decisioni delle competenti Autorità antitrust (in specie le decisioni della Commissione Europea del 19 gennaio 2001, Enel/FT/W./Infostrada e del 12 settembre 2002 W. T. Blu, nonché le decisioni dell’Autorità del 12 giugno 2003 Enel/W. T. e del giugno 2003, W. T./Delta; nonché, da ultimo, la decisione dell’Autorità del 27 luglio 2005, Enel – Weather Investements II/W. T., adottata in pendenza della procedura in contestazione), rimarcando come le stesse non abbiano mai attestato la sussistenza di criticità relative al potere di mercato acquisito dall’azienda: ad avviso dell’appellante, da ciò consegue l’assenza di ogni consapevolezza circa la sua sottoposizione alla speciale responsabilità che grava su un’impresa dominante.

Si tratta di assunto che non può convincere il Collegio per plurime ragioni.

In primo luogo, le decisioni richiamate da W. attengono ad operazioni e a mercati diversi da quelli venuti in rilievo nel procedimento in contestazione, sicché nessun affidamento può dalle stesse essersi ingenerato.

Ma per quel che più conta, a fondare il giudizio di "intenzionalità" di un’infrazione alle norme del Trattato sulla concorrenza è sufficiente la constatazione che la società non potesse ignorare che il suo comportamento aveva come scopo la restrizione della concorrenza, senza che sia anche richiesta la sicura consapevolezza di trasgredire le norme indicate (Cons. St., n. 926/2004 e le decisioni ivi richiamate, Corte Giust. CE, 8 novembre 1983, cause riunite da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ, punto 45; Trib. Ce, 6 aprile 1995, causa T141/89, Trefileurope, punto 176, e 14 maggio 1998, causa T310/94, Gruber + Weber, punto 259; 1272001, British Sugar cit. punto 127).

Ebbene, nel caso in esame, assume rilievo dirimente il fatto che W. è un operatore notificato in ragione della posizione di dominanza determinata dalla detenzione del 100% della propria rete.

A ciò si aggiunga, come opportunamente valorizzato dal giudice di primo grado, che la documentazione acquisita nel corso del procedimento condotto dall’Autorità attesta la piena consapevolezza dei vertici aziendali di W. in ordine agli effetti anticoncorrenziali della strategia relativa alla terminazione mobile.

2.5. Infine, ritiene il Collegio di non condividere quanto dedotto con riguardo all’assunta erroneità della sentenza gravata laddove ha disatteso le censure con cui W. ha in primo grado lamentato che l’Autorità sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 11 del Regolamento CE n. 1/2003 non attivando la fase di consultazione obbligatoria della Commissione Europea sulla decisione finale.

Ad avviso di W., invero, sarebbe mancata la fase di consultazione obbligatoria della Commissione Europea prescritta dall’art. 11 del Regolamento n. 1/2003, l’Autorità avendo provveduto al solo invio della Comunicazione delle Risultanze Istruttorie.

Chiede perciò, in via subordinata, la rimessione alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale, della questione relativa alla corretta interpretazione dell’art. 11 del Regolamento n. 1/2003, in specie se lo stesso imponga che l’Autorità nazionale Antitrust consulti la Commissione sulla decisione finale e non, come invece avvenuto, su un atto meramente preliminare.

Ritiene al riguardo il Collegio di condividere quanto sostenuto dal primo giudice quanto all’inidoneità dell’omissione di una compiuta informativa in ordine alla "decisione prevista" a tradursi in un vizio di legittimità della decisione stessa.

Invero, l’imperfetta "comunicazione" tra gli organi della rete e la violazione del principio di cooperazione sortisce effetti quanto ai rapporti tra Autorità nazionale e Commissione, abilitata -a fronte di una ritenuta violazione delle regole antitrust comunitarie consumata con l’adozione della decisione finale- ad avviare un procedimento di infrazione contro lo Stato membro di appartenenza dell’Autorità nazionale.

A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, l’invio della CRI e dello schema del provvedimento di accettazione degli impegni V., in uno all’inoltro della decisione di proseguire l’istruttoria ordinaria nei confronti di Tim e W., hanno certo consentito alla Commissione di conoscere la decisione che l’Autorità italiana stava progressivamente formando, così potendo esercitare i propri poteri di controllo; non privo di rilievo, peraltro, è il dato della perfetta corrispondenza tra il contenuto della CRI e le conclusioni contenute nel provvedimento finale.

Si consideri, a quest’ultimo proposito, che, come osservato dalla difesa dell’Autorità, si tratta di sviluppo procedimentale coerente con la prassi consolidata di collaborazione con la Commissione all’interno della rete ENC (European Competition Network), oltre che con quanto indicato dalla Comunicazione della Commissione sulla cooperazione nell’ambito della rete delle Autorità garanti della concorrenza.

Al punto 44 della stessa, invero, richiamato l’art. 11, par. 4, del Regolamento Ce 1/2003, si prevede che, "a tal fine esse forniscono alla Commissione, al più tardi 30 giorni prima dell’adozione della decisione, una presentazione del caso in questione, la decisione prevista o, in mancanza, qualsiasi altro documento che esponga la linea di azione proposta".

Alla stregua delle esposte ragioni ritiene il Collegio di disattendere l’illustrato motivo di ricorso, in uno alla domanda di rinvio pregiudiziale.

2.6.. Sulla scorta delle illustrate considerazioni vanno quindi respinti gli appelli principali e incidentali proposti avverso la sentenza n. 2900 del 2008.

3. Non meritano miglior sorte gli appelli proposti avverso la sentenza n. 2902 del 2008 con cui il T.A.R. ha respinto i ricorsi proposti da W. T. s.p.a., T. I. s.p.a. e E. S.p.a. avverso il provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007, con il quale l’Autorità ha deliberato di rendere obbligatorio l’impegno ai sensi dell’articolo 14ter, comma 1, della legge n. 287/90 nei confronti di V. O..

3.1. Va in primo luogo respinto il motivo con cui si deduce che l’Autorità non avrebbe potuto accettare l’impegno di V. attesa la tardività dello stesso e lo stata avanzato in cui si trovava il procedimento A357.

Nel dettaglio l’appellante E. sostiene la tardività dell’impegno presentato da V. in quanto proposto oltre il termine di "tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria", previsto dall’art. 14ter, comma 1, della legge n. 287/90; in particolare deduce l’illegittimità non solo del provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007 con cui l’Autorità ha accettato e reso obbligatorio quell’impegno assuntamente tardivo, ma anche della presupposta delibera del 6 settembre 2006 con cui la stessa Autorità ha esteso ai procedimenti istruttori pendenti alla data di entrata in vigore del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (con cui il citato art. 14ter è stato introdotto) la possibilità di presentare impegni, in disparte lo stato di avanzamento degli stessi.

Giova considerare che l’art. 14ter, L. 287/1990, introdotto dall’art. 14, D.L. 223/2006, come modificato dalla relativa legge di conversione, L. 248/2006, entrata in vigore il 12 agosto 2006, dispone che entro tre mesi dalla notifica dell’apertura di un’istruttoria per l’accertamento della violazione degli artt. 2 o 3 della stessa legge o degli artt. 81 o 82 del Trattato CE, le imprese possono presentare impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria; l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può, nei limiti previsti dall’ordinamento comunitario, renderli obbligatori per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione.

Al momento dell’entrata in vigore della citata previsione legislativa, il termine di tre mesi (decorrenti dalla notifica dell’apertura dell’istruttoria) doveva ritenersi quindi già scaduto.

Senonché, l’Autorità, ritenuta con delibera del 6 settembre 2006 l’applicabilità della novella legislativa anche ai procedimenti in corso, ha indicato quale dies a quo del termine di tre mesi l’entrata in vigore della disposizione.

Ebbene, come già sostenuto dalla Sezione, alla indicata delibera dell’Autorità va riconosciuta natura ricognitiva (non già certo costitutiva) di una facoltà riveniente in capo alle imprese direttamente dalla previsione legislativa (Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1190).

E’ quanto si spiega se si considera che, diversamente opinando, si determinerebbe una irragionevole discriminazione a svantaggio delle imprese per le quali fosse già decorso, al momento dell’entrata in vigore della citata previsione legislativa del 2006, il termine di tre mesi dalla notifica dell’apertura dell’istruttoria,

Peraltro, in disparte quanto già supra osservato in merito all’idoneità degli impegni assunti da V. ad ovviare alle preoccupazioni concorrenziali emerse fino a quella fase procedimentale, non pare al Collegio che l’Autorità abbia esercitato in modo irragionevole l’ampia discrezionalità che le è riconosciuta nel procedimento ex art. 14ter, comma 1, della legge n. 287/90. Come correttamente osservato nella sentenza appellata, invero, sebbene nel procedimento A357 vi fosse già stata la Comunicazione delle risultanze istruttorie, non può da ciò solo dedursi la completezza del quadro probatorio e la sua attitudine ad attestare senz’altro le contestazioni mosse.

3.2. Va parimenti respinto il motivo di ricorso con cui si deduce che erroneamente il primo giudice non avrebbe ritenuto l’illegittimità della gestione che l’Autorità ha nel caso di specie fatto del procedimento ex art. 14ter, comma 1, della legge n. 287/90, in specie laddove ha accolto gli impegni di V., dopo una prima decisione di rigetto, senza procedere ad un nuovo "market test", secondo la procedura delineata dalla stessa Autorità nella Comunicazione in data 12 ottobre 2006, ispirata all’art. 27, comma 4, del Reg. n. 1/2003.

Giova in fatto considerare che l’Autorità, ricevuta la proposta di impegni da parte di V. e valutata la non manifesta infondatezza della stessa, ha disposto la relativa pubblicazione sul sito Internet, dando così avvio alla fase endoprocedimentale del c.d. market test, contemplata a livello comunitario dal citato art. 27, comma 4, del Reg. n. 1/2003.

All’esito di questa fase l’Autorità, peraltro in linea con i rilievi espressi dall’odierna appellante, ha deliberato, in data 4 aprile 2007, il rigetto degli impegni.

A tanto l’Autorità si è determinata rimarcando l’inidoneità del preliminare di contratto con B. I. ad integrare un impegno suscettibile di certa attuazione.

Successivamente, ricevuta ad opera di V. istanza di riesame in data 10 aprile 2007, E., che già aveva partecipato al market test, ha avuto tempestiva comunicazione della formalizzazione della predetta istanza, oltre che della proposta di accoglimento formulata dall’Autorità, ha esercitato il diritto di accesso ai verbali delle sedute dell’Autorità in data 12 e 18 aprile 2007, è stata messa in condizione, con la disposta proroga del termine di chiusura del procedimento principale, fissato per il 30 maggio 2007, di presentare memorie anche in relazione all’accoglimento degli impegni V., partecipando, in data 6 giugno 2007, all’audizione finale.

Non può condividersi, pertanto, quanto sostenuto dalla società appellante in merito alla lamentata violazione del principio del contraddittorio.

Soprattutto, per quel che più conta, è decisivo considerare che con l’istanza di riesame V., lungi dal formulare la proposta di impegni nuovi e aggiuntivi rispetto a quelli che, in precedenza pubblicati, avevano costituito oggetto della svolta fase endoprocedimentale del c.d. market test, ha solo dato atto di una sopravvenuta circostanza di fatto, costituita dalla intervenuta conclusione del contratto definitivo con B. I., di cui era stata trasmessa, con l’originaria e respinta proposta di impegni, versione preliminare.

Ed invero, nel provvedimento contestato in primo grado l’Autorità ha rimarcato che "il contratto sottoscritto in data 7 aprile 2007 con B. I., definitivamente vincolante per le parti, rappresenta un elemento di novità decisivo, in quanto segna concretamente ed effettivamente l’apertura del mercato dell’accesso wholesale alle reti mobili italiane."

3.3. Non persuadono le censure relative all’assunta inidoneità sostanziale degli impegni di V. a far venir meno le preoccupazioni concorrenziali oggetto di istruttoria, in specie relativi, come sopra chiarito, al mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile e a quello della terminazione sulla rete del singolo MNO.

Come chiarito, all’adozione del provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007 l’Autorità si è determinata tenendo conto in specie della intervenuta stipulazione di un contratto definitivo con B. I. s.p.a., con il quale detta società acquisiva il diritto di accesso, in qualità di ESP (Enanced service provider) alla rete di V., al fine di offrire autonomamente alla clientela italiana servizi di comunicazione mobile

L’Autorità ha in particolare ritenuto che "il contratto sottoscritto in data 7 aprile 2007 con B. I., definitivamente vincolante per le parti, rappresenta un elemento di novità decisivo, in quanto segna concretamente ed effettivamente l’apertura del mercato dell’accesso wholesale alle reti mobili italiane."

Quanto al mercato della terminazione, ha evidenziato "che le condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Ebbene, diversamente da quanto sostenuto in appello, l’Autorità ha non irragionevolmente concluso per l’idoneità degli impegni di V. a neutralizzare le preoccupazioni concorrenziali oggetto di istruttoria, in specie relative, come sopra chiarito, al mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile e a quello della terminazione sulla rete del singolo MNO.

Quanto alle prime, afferenti il mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile, ritiene il Collegio che non possa negarsi l’avvio, per effetto dell’impegno di V., di un processo di apertura del mercato dell’accesso wholesale alla rete, con conseguente possibilità, per gli operatori virtuali, di elaborare una propria competitiva offerta commerciale. Se certo, con il provvedimento impugnato in primo grado l’Autorità antitrust non ha imposto a V. la predisposizione di una offerta pubblica wholesale, non è men vero tuttavia che, come condivisibilmente sostenuto dal primo giudice, un eventuale futuro, ingiustificato rifiuto di V. di concedere ad altri operatori, a parità di impegno tecnico e commerciale, analoghe condizioni di accesso alla propria rete, concreterebbe un’evidente elusione delle misure concordate, con la conseguente riapertura del procedimento di infrazione.

Parimenti, quanto all’idoneità degli impegni di V. a neutralizzare le preoccupazioni concorrenziali relative al mercato della terminazione sulla rete gestita dalla stessa V., deve considerarsi che, come puntualmente chiarito dal primo giudice, ciò che alla stessa V. l’Autorità aveva contestato non è di tanto di aver praticato prezzi eccessivamente gravosi a livello wholesale, quanto piuttosto il fatto di aver favorito le proprie divisioni commerciali impedendo ai concorrenti di replicare offerte analoghe nel mercato dei servizi finali all’utenza aziendale, sulla direttrice fisso – mobile, relativamente alla componente on – net e intercom, nonché con riguardo alla rivendita di terminazione a livello wholesale.

Del tutto coerentemente, allora, l’Autorità, nell’accettare l’impegno offerto da V., ha considerato che le "condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Ininfluente è poi quanto sostenuto da E. allorché osserva che anche B. I., per terminare off – net, ossia su rete V., dovrà pagare un prezzo più alto di quello che l’MNO pratica alle proprie divisioni commerciali: si tratta, invero, di evenienza destinata ad incidere sulla terminazione off net, non oggetto dei rilievi mossi dall’Autorità.

3.4. Va infine disatteso il motivo di ricorso relativo all’assunta erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto la censura con cui si è dedotta un’assunta contraddittorietà del provvedimento n. 16871 del 24 maggio 2007 con il parere espresso in seno al procedimento dall’Autorità per le comunicazioni in data 17 maggio 2007

Giova considerare che, come osservato dal T.A.R., l’AgCOM ha espresso parere parzialmente favorevole allo schema di provvedimento concernente la valutazione degli impegni presentati da V..

In particolare, quanto all’idoneità dell’impegno presentato da V. a far venire meno i profili anticoncorrenziali concernenti il mercato dell’accesso alle infrastrutture di rete mobile, l’AGCom ha ritenuto che "… l’accordo tra V. e B. I. rappresenta di certo uno strumento atto ad intensificare il grado di concorrenza nei mercati considerati". In particolare, l’AGCom ha ritenuto"…verosimile che l’efficacia procompetitiva dell’impegno sia idonea a neutralizzare i profili anticoncorrenziali oggetto dell’istruttoria, per quanto di essi fosse proquota imputabile a V., secondo

quanto è sufficiente ai limitati fini dell’articolo 14ter della legge n. 287/90".

Secondo l’AGCom, ancor più nel dettaglio, tale accordo si pone nella direzione già indicata della del. n. 46/06/CONS, dove si rileva, che "la nascita di operatori mobili virtuali costituisce un indubbio fattore di stimolo alla concorrenza che potrebbe arricchire l’attuale contesto competitivo e produrre, di conseguenza, notevoli benefici per i consumatori finali". In tale senso, l’AGCom ha considerato positivo il fatto che, pur se l’accordo tra V. e l’operatore di rete fissa è un accordo di ESP, nel caso in cui quest’ultimo intenda migrare ad altro modello dotato di maggiore autonomia, V. si impegni ad offrirgli quanto necessario all’espletamento di tali servizi e che le parti si impegnino alla conclusione del contratto.

Tutto ciò osservato, "con precipuo riguardo alle proprie competenze di regolamentazione del settore", l’AGCom ha peraltro osservato che i contratti stipulati da V. con B. I. e Carrefour "non sono in grado di superare tutti gli ostacoli che si frappongono allo svolgimento delle dinamiche competitive.".

Come quindi correttamente rimarcato dal primo giudice, l’assunto contrasto tra le due Autorità va spiegato considerando la "distinzione" e "il parallelismo" tra le competenze proprie delle due Autorità, ciascuna chiamata a perseguire obiettivi differenti, ancorché convergenti.

Quanto, invece, al mercato della terminazione, l’AgCOM si è espressa in senso negativo, sostenendo che "le condizioni dell’impegno assunto da V. non sembrano affrontare e risolvere i profili anticoncorrenziali riscontrati con riferimento al mercato della terminazione fissomobile, consistenti nelle condizioni discriminatorie praticate agli operatori rispetto alle divisioni interne".

Sul punto, tuttavia, ritiene il Collegio che l’Autorità per la concorrenza abbia ragionevolmente esplicitato le ragioni che l’hanno condotta a concludere in senso diverso.

Si consideri, preliminarmente, quanto al rapporto tra le due Autorità, che "i compiti attribuiti all’Autorità nazionale di regolamentazione (AGCom) in tema di definizione dei mercati rilevanti e delle posizioni dominanti nel settore delle telecomunicazioni, non hanno fatto venire meno la generale competenza antitrust spettante all’AGCM: quest’ultima deve acquisire il parere della prima, che è obbligatorio e non vincolante, ma dalle cui risultanze l’AGCM può discostarsi con adeguata motivazione" (Cons. St., sez.VI, 10 marzo 2006, n. 1271).

Nello stesso senso si è osservato che "le valutazioni dell’Autorità di settore assumono una valenza diversa a seconda che si riferiscano alla disciplina ed alle caratteristiche del settore regolato rispetto a quelle attinenti l’applicazione delle norme in materia di tutela della concorrenza. In entrambi i casi l’Autorità antitrust dovrà motivare il discostamento dal parere dell’autorità di settore, ma nella prima ipotesi la motivazione dovrà essere particolarmente esauriente a differenza della seconda, in cui le valutazioni attengono direttamente alle competenze attribuite al garante della concorrenza"(Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199 e Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1187).

Ebbene, con riferimento alle perplessità espresse dall’AGCom con specifico riferimento al mercato dei servizi di terminazione, l’Autorità per la concorrenza ha osservato che " le condizioni economiche per la terminazione su rete V. previste nel contratto con B. I. consentiranno a quest’ultima di formulare offerte fissomobile on net alla clientela aziendale in concorrenza con quelle proposte da V.".

Più nel dettaglio, l’AGCM ha osservato che con il contratto citato V. "assume l’obbligo di fornire a B. I. i servizi di accesso alla propria rete wholesale, consentendo a quest’ultima di erogare un’ampia gamma di servizi di comunicazione alla propria clientela in tecnica GSM, GPRS e UMTS ed, in particolare, di competere nell’offerta di servizi integrati FM/MM, in special modo alla clientela aziendale. In esso è altresì previsto che B. I. offrirà tali servizi in modo del tutto indipendente da V., e potrà autonomamente stabilire le modalità commerciali dell’offerta ed i prezzi alla clientela (articolo 4). Le condizioni economiche previste nel contratto con riferimento alla terminazione, inoltre, consentono a B. I. di formulare offerte FM alla clientela aziendale che siano in concorrenza con quelle formulate da V.. Il contratto avrà inoltre una durata significativa, stabilita dalle parti in (omissis), e sarà automaticamente rinnovabile".

Si tratta di valutazioni che non appaiono al Collegio affette da manifesta illogicità tanto più se si considera che, come condivisibilmente osservato da primo giudice, se è certo dagli impegni assunti da V. non deriva un obbligo generalizzato a contrarre con i terzi, tuttavia un eventuale futuro, ingiustificato rifiuto di V. di concedere ad essi, a parità di impegno tecnico e commerciale, analoghe condizioni di accesso alla propria rete, verrebbe sicuramente a configurarsi quale elusione delle misure concordate, con la conseguente riapertura del procedimento di infrazione.

4. Alla stregua delle esposte ragioni, dato atto della rinuncia all’intervento formulata da B. I., vanno riuniti e respinti gli appelli principali e l’appello incidentale.

5. In considerazione della complessità delle questioni involte, sussistono giustificate ragioni per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli principali, li riunisce e li respinge.

Respinge l’appello incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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