Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-01-2011) 21-04-2011, n. 16006 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- S.F. propone ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona, del 16 aprile 2010, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro, del 7 luglio 2009, che lo ha ritenuto colpevole – in concorso con L.E., separatamente giudicato – dei delitti: a) di detenzione e cessione a M. A., in numerose occasioni, di sostanza stupefacente del tipo cocaina ricevendo, a titolo di corrispettivo, denaro, beni mobili e prestazioni sessuali, anche in favore di terzi; b) di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione della stessa M.; il S., ancora; c) di furto aggravato di un carnet di assegni sottratto alla stessa M.; d) di estorsione ai danni di P.S., costretta a consegnare somme di denaro per evitare che i familiari fossero informati dallo stesso imputato della relazione esistente tra i due e dei rapporti sessuali che la donna intratteneva con altre persone; e) di cessione alla stessa P., in più occasioni, di sostanza stupefacente del tipo cocaina; f) di violazione delle norme sulla disciplina dell’immigrazione, avendo falsamente affermato che L.E. e Mi.Sp., di nazionalità albanese, lavoravano alle dipendenze della ditta di cui l’imputato era titolare.

All’affermazione di responsabilità è seguita la condanna alla pena di dodici anni di reclusione e 52.000,00 Euro di multa, esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, con la recidiva contestata e ritenuta la continuazione tra i reati.

La corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell’imputato, richiamando le testimonianze rese dalle parti offese, M. e P., ritenute riscontrate in atti.

Avverso tale decisione ricorre, dunque, il S., che deduce:

1) Nullità ex artt. 177 e 178 c.p.p. per carenza delle condizioni di capacità del giudice, ex art. 33 c.p.p., in relazione alla presenza, nel collegio giudicante di primo grado, di un giudice onorario del tribunale;

2) Violazione di legge con riguardo all’ipotesi delittuosa avente ad oggetto la cessione a P.S. di sostanze stupefacenti, laddove si era trattato di semplice consumo di gruppo, non punibile;

3) Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di estorsione continuata ai danni della P., stante l’assoluta assenza di prove;

4) Vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di furto del carnet di assegni di proprietà della M.;

5) violazione di legge quanto alla responsabilità dell’imputato per i delitti di cessione di sostanze stupefacenti alla M., nonchè di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione della stessa, affermata, secondo il ricorrente, solo sulla base delle inattendibili dichiarazioni della M..

-2- Il ricorso deve essere rigettato.

1) Infondato è il primo dei motivi proposti.

In realtà, questa Corte ha ripetutamente affermato che la trattazione in dibattimento, da parte del giudice onorario, di procedimenti penali non rientranti tra quelli indicati nell’art. 43 bis ord. giud., comma 3, lett. b), e dunque relativi a reati non previsti dall’art. 550 c.p.p., non è causa di nullità. Ciò perchè, come emerge dalla stessa formulazione letterale, detta disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione del lavoro tra giudici ordinari ed onorari (Cass. nn. 41998/06, 13573/09).

2) Manifestamente infondati sono i motivi di ricorso relativi alle condotte estorsive di cui è rimasta vittima P.S. ed alla cessione alla stessa, in due diverse occasioni, di cocaina.

Sul punto, a conferma delle accuse rivolte dalla donna all’imputato, la corte territoriale ha richiamato i contenuti di diverse telefonate, intercorse tra i due, che hanno confermato non solo i rapporti sessuali, anche con terze persone, intrattenuti dalla P., ma anche la cessione alla stessa, da parte del S., di cocaina; altre telefonate hanno confermato le minacce estorsive alla donna di svelare ai genitori ed al compagno i rapporti sessuali dalla stessa intrattenuti anche con terze persone.

Accuse e conversazioni legittimamente e motivatamente ritenute dai giudici del merito significative in tesi d’accusa, a fronte delle quali l’imputato ha articolato generici, oltre che manifestamente infondati, motivi di censura, generalmente riproducenti doglianze già proposte ai giudici del merito e da questi respinte, e dunque non più deducibili nella sede di legittimità.

Quanto al tema della riconducibilità all’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, delle cessioni di stupefacenti alla P., ove tale punto si ritenga oggetto di specifico motivo di doglianza (l’articolazione del motivo lascia dubbi in proposito), osserva la Corte che il riconoscimento di tale attenuante è stato giustamente escluso dalla corte territoriale, alla luce della obiettiva gravità dei fatti, inseriti in un più ampio e preoccupante contesto criminale.

3) Manifestamente infondati sono, infine, anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso, relativi alle vicende che hanno coinvolto M.A., sopra specificate sub a)- b) – c).

Anche in relazione a tali vicende, la corte territoriale ha ribadito la responsabilità del S., richiamando le dichiarazioni rese dalla donna in ordine ai suoi rapporti con l’imputato e con il suo complice, L.E.. Rapporti nell’ambito dei quali i due uomini avevano ripetutamente ceduto alla donna dosi di cocaina, ricevendone, quali corrispettivo, denaro (procuratosi dalla donna attraverso un finanziamento), beni mobili (acquistati con il denaro ottenuto in prestito) e prestazioni sessuali, anche verso terzi.

Dichiarazioni ritenute credibili, anche perchè confortate da elementi esterni di riscontro – più dettagliatamente indicati nella sentenza di primo grado, alla quale il giudice del gravame ha espressamente rinviato – rappresentati: a) dal prestito di 8.000,00 Euro effettivamente contratto dalla M. con una società finanziaria; denaro in parte consegnato al S. ed al L. in pagamento dello stupefacente da essi cedutole, in parte utilizzato per l’acquisto di beni (un televisore, due telefoni cellulari) consegnati ai due uomini (circostanze confermate da N.M., titolare del negozio presso il quale i tre hanno acquistato il televisore ed i telefoni cellulari, questi ultimi subito consegnati al S. ed al L.); b) dal rinvenimento, in casa del L., di un televisore di proprietà della M., a conferma della cessione di beni ai due uomini da parte della donna; c) dai contenuti di diverse conversazioni telefoniche, dalle quali era emerso che i due erano soliti procacciare prostitute a loro amici e clienti;

circostanza che è stata giustamente ritenuta significativa in termini di conferma delle dichiarazioni della M., che ha sostenuto che l’imputato ed il suo complice le chiedevano prestazioni sessuali in favore di terze persone in cambio di denaro e di stupefacente. Ulteriore conferma delle dichiarazioni della donna, seppure indiretta, è stata rinvenuta nelle dichiarazioni di C. J., la quale ha riferito che il S. le aveva proposto di trasportare, per suo conto, dello stupefacente da (OMISSIS) dietro corrispettivo di 5.000,00 Euro; testimonianza giustamente ritenuta significativa, in quanto confermava l’inserimento dell’imputato in ambienti dediti al traffico di droga.

Anche l’accusa di furto ha trovato precisa conferma nell’accertata negoziazione, da parte dell’imputato, di un assegno facente parte del carnet rubato alla M..

A fronte di quanto su tali vicende hanno argomentato i giudici del merito, l’imputato ha svolto censure del tutto inconsistenti per la loro genericità, generalmente ripetitive di considerazioni già poste all’attenzione dei giudici del merito, e da questi motivatamente ritenute prive di pregio, e comunque tendenti ad una inammissibile rilettura degli elementi fattuali correttamente posti dai giudici del merito a sostegno delle loro decisioni.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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