T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 20-04-2011, n. 350 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre la società in epigrafe per avversare gli atti ed i provvedimenti dell’Autorità con i quali sono stati attestati a suo carico rischi di infiltrazioni mafiose e per avversare, altresì, i provvedimenti con i quali la Provincia di Reggio Calabria ed il Comune di Palmi hanno disposto di risolvere i contratti di affidamento di opere pubbliche medio tempore stipulati, in esecuzione delle misure interdittive scaturenti dalla informazione antimafia.

Con il ricorso e con i motivi aggiunti deduce articolate censure in fatto ed in diritto avverso i provvedimenti impugnati, facendone valere l’illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 DL 629/1982, 4 del dlgs 490/1994 e 10 del DPR 252/1998, violazione e falsa applicazione della Circ. Ministero dell’Interno n. 559/1998, dell’art. 24 della Costituzione per illegittima soppressione del diritto alla difesa, per eccesso di potere per assenza di istruttoria, travisamento dei fatti, irragionevolezza e carenza di motivazione. Chiede altresì il risarcimento del danno.

Si è costituita l’Amministrazione dell’Interno che resiste al ricorso di cui chiede il rigetto.

Si sono altresì costituiti la Provincia di Reggio Calabria ed il Comune di Palmi che resistono al ricorso di cui chiedono il rigetto per inammissibilità e infondatezza.

Alla camera di consiglio del 1 dicembre 2010 è stata concessa la misura cautelare della sospensione degli effetti degli atti impugnati (ord.320/2010).

Alla pubblica udienza del 23 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

I) Preliminarmente, il Collegio rileva che il contraddittorio è integro: invero, i motivi aggiunti, rivolti contro atti che la difesa del Ministero dell’Interno ha depositato in giudizio in occasione della camera di consiglio del 6 ottobre 2010, sono stati notificati alle Amministrazioni territoriali locali presso la loro sede e non presso il loro domicilio eletto. Tuttavia, il Comune di Palmi e la Provincia di Reggio Calabria, nel costituirsi in difesa rispetto ai motivi aggiunti nella camera di consiglio del 3 novembre 2010, hanno espressamente dichiarato di accettare il contraddittorio, così consentendo di ritenere sanato l’errore di notifica.

II) Va respinta la prima eccezione processuale dedotta dalla difesa della Provincia, secondo la quale sfuggirebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulla controversia relativa alla risoluzione dei contratti di appalto con l’impresa destinataria di informativa antimafia, in forza di una asserita natura paritetica della volontà amministrativa di recesso negoziale. Come è stato chiarito in giurisprudenza, infatti, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle controversie relative allo scioglimento del contratto di appalto a seguito di informativa antimafia, trattandosi quest’ultima di una scelta estranea alla sfera del diritto privato ed espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto dall’art. 11, comma 2, d.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 (Cassazione civile, sez. un., 29 agosto 2008, n. 2192; cfr. anche T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 24 giugno 2010, n. 2519 e Cassazione civile, sez. un., 28 novembre 2008, n. 28345).

III) Nel merito, si deve osservare che, a base del provvedimento che attesta la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’azienda ricorrente, la Prefettura ha assunto il rapporto informativo fornito dall’Arma dei Carabinieri con la nota del 30.06.2010, oggetto di gravame con motivi aggiunti.

Da essa, sostanzialmente, si traggono i seguenti elementi di valutazione circa la posizione dell’ impresa ricorrente.

1) Un primo elemento è costituito da risalenti precedenti giudiziari del titolare, quali ammenda di lire 150.000 per porto d’armi ex art. 4 L. 110/75 (anno 2000); 1 mese di arresto per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni (anno 2004); 4 mesi di arresto per gestione rifiutri non autorizzata (anno 2007).

2) Un secondo elemento è costituito dalla parentela del suo titolare, il sig. B., con il suocero, P.P., deferito all’A.G. per più tipologie di reati, tra i quali omicidio, tentata estorsione, ed associazione di tipo mafioso e ritenuto gravitare unitamente al fratello Domenico – zio della moglie del titolare dell’impresa ricorrente – ed alla sorella Giuseppina (accomandataria di altra ditta attiva nel commercio all’ingrosso di materiali da costruzione ed attinta da informazione antimafia del 2002, nonché moglie di M. Giuseppe, ritenuto capo dell’omonima cosca mafiosa e "interessato da varie vicende giudiziarie") nell’ambito della cosca mafiosa M..

3) Terzo ed ultimo elemento è dato dalla circostanza che l’impresa ricorrente ha conferito in subappalto ad altra impresa, I.G., una quota di lavori ottenuti in appalto dal Comune di Delianuova per la ristrutturazione dell’Istituto scolastico Corrado Alvaro, tra il finire del 2009 e l’inizio del 2010. Il titolare di tale impresa subappaltatrice, risulta essere a sua volta elemento di cosca mafiosa e tratto in arresto nel corso dell’operazione "META"; peraltro, la stessa impresa da lui condotta risulta essere destinataria di informazione antimafia.

III a) Dal quadro di riferimento appena esposto, la Prefettura ha tratto il giudizio circa la possibilità di rischi di influenza mafiosa: in particolare, secondo le difese dell’Avvocatura, in forza della circostanza appena esposta il giudizio dell’Autorità è da ritenersi immune dalle censure dedotte, in quanto, secondo l’"id quod plerumque accidit", in un contesto sociale ed economico come quello della Piana di Gioia Tauro, il subappalto dovrebbe essere ordinariamente considerato come un indice rivelatore della cointeressenza/contiguità/soggiacenza di un’impresa ad altra impresa mafiosa e dunque un modo neppure tanto indiretto, di agevolare le organizzazioni mafiose, conseguendo lo scopo di far partecipare agli appalti pubblici imprese non sottoposte a quel particolare e preventivo esame relativo al possesso dei requisiti soggettivi necessari a contrarre con la PA, in sede di gara.

III b) Sebbene non prive di una loro forza argomentativa, le tesi difensive dell’Avvocatura, ad attenta riflessione, non sono persuasive e non consentono di respingere il gravame, che, infatti, è fondato e come tale va accolto, confermando in questa sede l’orientamento già anticipato a conclusione del giudizio cautelare nell’ordinanza nr. 320/2010 pronunciata inter partes (e che non risulta essere stata appellata).

III c) Giova premettere che secondo la giurisprudenza, in tema di informative antimafia interdittive ai sensi dell’art. 10 comma 7 lett. "c", del DPR 252/98 è necessario e sufficiente, ai fini della loro adozione, la concomitanza di un quadro di oggettiva rilevanza, dal quale desumere elementi che, secondo un giudizio probabilistico, o anche secondo comune esperienza, possano far presumere non una attuale ingerenza delle organizzazioni mafiose negli affari, ma una effettiva possibilità che tale ingerenza sussista o possa sussistere (ex multis, da ultimo, Consiglio Stato, sez. VI, 03 marzo 2010, n. 1254; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 01 marzo 2010, n. 248; TAR Reggio Calabria, 20 ottobre 2010, nr. 943). In tal senso, a titolo esemplificativo, è stata ritenuta rilevante la circostanza che un numero congruo di dipendenti di una Cooperativa sociale sia direttamente ricollegato o ricollegabile a sodalizi criminali operanti nel territorio e che tali sodalizi siano essenzialmente omogenei tra loro (TAR Reggio Calabria, 23 marzo 2011, nr. 192); sono state ancora ritenute rilevanti fattispecie nelle quali venivano accertati interessi comuni nella gestione di affari (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 aprile 2009, n. 2276), offerte di lavoro rivolte dall’imprenditore a soggetto controindicato (TAR Reggio Calabria 7 aprile 2009, nr. 224), una stratificata situazione di parentele dirette tra gli amministratori della società e partecipanti di organizzazione camorristica tratti in arresto (Consiglio di Stato, sez. IV, 02 ottobre 2006, n. 5753), compartecipazioni sociali o societarie (TAR Reggio Calabria, 20 ottobre 2010, nr. 943; TAR Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, nr. 66; Consiglio di Stato, sez. VI, 21 ottobre 2005, n. 5952), più situazioni tra quelle descritte concorrenti tra loro (TAR Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, nr. 66, che tratta una fattispecie nella quale due soci accomandatari dell’impresa ricorrente versavavano in una serie di stretti legami parentali con soggetti pluripregiudicati, l’impresa era socia accomandataria di altra impresa attinta da certificazione antimafia, un altro socio accomandatario risultava gravato da più precedenti penali). Questo Tribunale ha anche avuto modo di chiarire che nell’analisi del contesto imprenditoriale, va tenuta presente la dimensione ed il contesto aziendale (TAR Reggio Calabria, 19 novembre 2010, nr. 1339), ed altri elementi obiettivi, quali la eventuale disponibilità di mezzi dell’impresa, una condizione di interrelazioni tra i soggetti frequentati, qualora risultino, ad esempio, essere tutti affiliati ad una medesima famiglia o contesto mafioso, e dunque associati o comunque contigui tra di loro (TAR Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, nr. 54), o ancora l’ambito finanziario dei rapporti tra soggetti notati o controllati, posto che ai fini del condizionamento mafioso di una impresa è certamente significativo l’approvvigionamento di mezzi finanziari, il rapporto tra impresa e beni impiegati appartenenti ai terzi, come i noli, o le modalità dell’impiego degli utili e dei proventi e così via (per tutti, si veda TAR Reggio Calabria 28 gennaio 2011, nr. 60).

Infine, è stato recentemente ritenuto insufficiente, ai fini dell’istituto in esame, un contesto di informazioni risalente nel tempo, rendendosene necessaria una congrua attualizzazione (TAR Reggio Calabria, 28 gennaio 2011, nr. 53).

III d) Alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale che si è appena richiamata, i presupposti da cui ha preso le mosse l’Autorità con i provvedimenti impugnati si rivelano insufficienti a sostenerne il contenuto precettivo.

d 1) Quanto ai precedenti del titolare dell’impresa ricorrente, se ne deve ritenere l’irrilevanza ai fini dell’istituto in esame, sia in considerazione della loro risalenza nel tempo (TAR RC 53/2011 cit.) sia in considerazione della loro intrinseca asintomaticità, trattandosi di illeciti relativi a circostanze o fattispecie di minore entità o comunque non espressive di una appartenenza a circuiti malavitosi di natura mafiosa. In questo senso, l’unica circostanza che potrebbe assurgere ad elemento rivelatore di sudditanza o cointeressenza con contesti ambientali significativi è la condanna per la gestione dei rifiuti non autorizzata: ma tale situazione, lungi dal sostenere la legittimità degli atti impugnati, mancando ogni riscontro circa eventuali collegamenti tra la gestione dei rifiuti non autorizzata e la cosca mafiosa cui si ipotizza la vicinanza dell’imprenditore, può essere annoverata solo tra quegli elementi che, come si vedrà meglio oltre, richiedono un migliore approfondimento di indagine da parte dell’Autorità.

d 2) Stando a quanto riferisce l’Arma nella sua relazione del 30 giugno 2010, il principale elemento considerato dalla Prefettura nell’atto impugnato è costituito dalla parentela dell’imprenditore con il suocero che è radicato nel contesto mafioso della cosca M.. Tale circostanza è, di per sé, priva di immediata ed autonoma significazione, perché, così come è già stato recentemente ritenuto in una fattispecie similare (v. Consiglio di Stato, nr. 5880/2010 e TAR RC, 19 novembre 2010, nr. 1342), essa rappresenta solamente una situazione in cui è il suocero a gravitare nella cosca mafiosa di riferimento, non il titolare dell’impresa ricorrente: in relazione a quest’ultimo (ed in relazione alla moglie o in capo a parenti conviventi) non emergono, infatti, dagli accertamenti svolti, riferimenti di alcun genere circa rapporti significativi, né risalenti, né attuali, con il contesto della cosca M. (quali frequentazioni qualificate, cointeressenze economiche o finanziarie, rapporti d’affari, utilizzazione di mezzi economici o finanziari e simili).

In altri termini, manca, nel quadro indiziario e di analisi, un effettivo elemento che consenta di ritenere il ricorrente inserito in un contesto familiare rilevante o di inserire la parentela in un contesto di fatti ed atti significativi che ne sostanzino in maniera oggettiva il contenuto di asserito pericolo

d 3) Nel quadro esposto dalla relazione dei Carabinieri e ritenuto dalla Prefettura a fondamento della misura impugnata, è il subappalto concesso dal B. all’impresa I.G. che è – sostanzialmente – deputato ad assolvere il ruolo di elemento significatore di una interessenza economica con un contesto mafioso o comunque esposto a condizionamenti mafiosi, e nelle difese dell’Avvocatura è presentato come un indicatore tale da necessariamente orientare l’interpretazione degli altri elementi già considerati nel senso di dover far ritenere la legittimità dell’informativa.

Tuttavia, il subappalto è di certo un elemento che imporrebbe un migliore approfondimento di indagine (specie alla luce del rilievo che l’arresto del predetto imprenditore nell’ambito dell’operazione denominata "META" rappresenta), ma, allo stato, è parimenti privo di significazione autonoma e specifica.

D 3.1) Infatti, in quanto contratto occasionale di collaborazione tra due imprese, il subappalto esaurisce in una sola operazione economica una relazione tra operatori che, di per sé, non implica alcuna cointeressenza reciproca a natura permanente o comunque tale da generare effetti durevoli di collaborazione (come nelle ipotesi di cogestione di società, o di assunzione di personale gravato da pregiudizi penali e simili, ipotesi tutte considerate nella giurisprudenza cui si è fatto riferimento in precedenza). A riprova di ciò, si consideri che, in fattispecie di ben più radicale complessità sotto il profilo della collaborazione tra aziende, il codice degli appalti prevede una soluzione normativa che non può che orientare l’interprete anche nella fattispecie considerata: a norma dell’art. 37, commi 18 e 19 del Dlgs 163/06, che disciplinano la costituzione di raggruppamenti temporanei di imprese ai fini della gara, "….nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto;……nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire".

Quando, dunque, una misura interdittiva antimafia colpisce il mandante o il mandatario di un RTI, la legge consente all’Amministrazione di proseguire il rapporto di appalto con l’impresa superstite (naturalmente, alle condizioni esposte): il che sancisce normativamente l’impossibilità di estendere l’effetto interdittivo tipico dell’informativa antimafia relativa ad una delle imprese associate alle altre imprese del raggruppamento, rendendo cioè illegittima qualsiasi "automatica" considerazione della sussistenza di rischi di infiltrazione mafiosa in capo ad una impresa per il solo fatto che si sia associata ad altra impresa ritenuta controindicata.

Tanto più irrilevante di per sé diventa, allora, ai fini dell’istituto delle misure interdittive antimafia, quello specifico legame, occasionale e quindi di ben minore intensità, che si crea tra due imprese nel caso del subappalto, essendo limitato l’oggetto del contratto ad una quota di lavori e mancando sia il coinvolgimento dell’impresa associata nella gestione dell’intero appalto, sia ogni tipo di ingerenza dell’associata nell’associante, in relazione a quello specifico appalto, o nella prospettiva di una più lunga gestione di affari.

d 3.2) Inoltre, è da respingersi la tesi difensiva dell’Avvocatura secondo cui il subappalto sarebbe di per sé uno strumento di ingerenza di imprese controindicate, poiché così esse sfuggirebbero ai rigorosi controlli della pubblica gara: il subappalto è soggetto ad una chiara normativa di controllo che è data dall’art. 118 del codice degli appalti, il quale (commi 2 e 3, nn. 4 e 5) autorizza il ricorso al subappalto entro rigorosi limiti qualiquantitativi e nel rispetto dell’accertato possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal codice in relazione alla prestazione subappaltata, e dei requisiti generali di cui all’articolo 38, oltre che all’accertamento dell’insussistenza di "alcuno dei divieti previsti dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni".

Pertanto, il subappalto, di per sè, in quanto figura lecita di collaborazione tra operatori economici nel campo degli appalti pubblici, soggetta alle medesime forme di controllo da parte della Stazione appaltante che ordinariamente presiedono alla verifica dei requisiti soggettivi delle imprese concorrenti in una pubblica gara, non può assurgere ad elemento autonomamente significativo di una coazione o ingerenza mafiosa a danno dell’impresa appaltatrice.

d 3.3) Ne consegue che, ai fini dell’istituto in esame, una singola commessa conferita in subappalto ad un operatore controindicato è asintomatica di condizionamento mafioso, in assenza di qualsivoglia riscontro di ulteriori elementi significativi, inerenti, ad esempio, le modalità dell’avvenuta autorizzazione da parte del Comune del subappalto, la cronologia tra l’affidamento in subappalto e l’emissione dell’informativa antimafia a carico della ditta subappaltatrice (o le vicende che l’hanno giustificata), relazioni di natura economica ed imprenditoriale ulteriori e diverse rispetto all’oggetto del subappalto, impiego comune o condiviso di risorse finanziarie, riconducibilità dell’impresa subappaltatrice al medesimo contesto mafioso di riferimento nella cui vicinanza si ipotizzi versare l’imprenditore subappaltante e così via.

Va quindi respinta l’argomentazione difensiva dell’Avvocatura che pure evoca in parte gli aspetti indicati, prospettandoli al fine di revocare in dubbio la legittimità del subappalto nella fattispecie considerata, ma li espone rimanendo pur sempre ancorata a mere congetture, posto che nessuna delle circostanze indicate risulta essere stata indagata né verificata dalle Forze dell’Ordine (né fatta oggetto di una qualsiasi dimostrazione in giudizio).

d 3.4) Tali argomentazioni non sorreggono, dunque, la legittimità del provvedimento impugnato: sono utili, tuttavia, per indurre il Collegio ad evidenziare la necessità da parte della Prefettura di disporre ulteriori accertamenti, sia in relazione agli aspetti appena indicati, sia in relazione alla eventuale sussistenza di specifici e significativi rapporti (economici, tecnici, finanziari, di collaborazione per partecipazione a gare, relativi al settore dello smaltimento dei rifiuti, oppure relativi al personale impiegato, alle provvigioni di materiali e mezzi e così via) tra le due imprese, ossia l’odierna ricorrente e la subappaltatrice, e tra quest’ultima ed i sodalizi criminali del contesto di riferimento del suocero del ricorrente. Ciò consentirebbe di accertarne gli eventuali collegamenti, da cui trarre ulteriori elementi di giudizio per verificare ed apprezzare se il subappalto possa essere stato in concreto una espressione di tacite cointeressenze (o verosimile mezzo di coazione da parte della cosca, o strumento di reciproca convenienza in prospettive di più ampie collaborazioni e così via).

IV) In conclusione, il gravame è fondato, perché il provvedimento impugnato unifica tre diverse tipologie di elementi indiziari, esponendole insieme e considerandole in maniera sintetica, ma senza che tra esse sia evidenziato alcun reale nesso di collegamento, quale la circostanza che o la gestione dei rifiuti illegittima per cui il ricorrente è stato condannato nel 2007 o il subappalto, o entrambi, possano essere ricondotti ad un interesse della cosca M.; oppure, la sussistenza di relazioni interpersonali significative tra il B. e la medesima cosca, diverse dal mero rapporto di parentela, non seguito o accompagnato da frequentazione, e per il (solo) tramite della moglie.

Il ricorso va quindi accolto, disponendo l’annullamento degli atti impugnati con salvezza di ulteriori e motivati provvedimenti dell’Autorità.

V) Quanto alla domanda di risarcimento del danno, essa è infondata e va respinta: invero, già la misura cautelare disposta dal Tribunale ha sospeso gli effetti degli atti impugnati che, dunque, non hanno potuto avere incidenza sui rapporti economici in essere tra le parti. In ogni caso, parte ricorrente non ha offerto alcun genere di prova, né tantomeno di quantificazione dei danni asseritamente patiti, dal che deriva che la domanda è generica e come tale non può essere accolta.

VI) L’esposizione che precede consiglia al Collegio di disporre la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie quanto alla domanda di annullamento e, per l’effetto, annulla gli atti ed i provvedimenti impugnati; lo rigetta quanto alla domanda di risarcimento.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa e manda alla Segreteria giurisdizionale di comunicarne copia alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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