Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-01-2011) 21-04-2011, n. 16029

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Bari, in funzione di giudice del Riesame ex art. 310 c.p.p., in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari avverso l’ordinanza del GIP di quell’Ufficio del 28 gennaio 2010 con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari formulata nei confronti di C.S., S. N. e R.G., indagati per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260, comma 1 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), applicava la detta misura cautelare nei confronti – tra gli altri – di C.S. odierno ricorrente.

Il Tribunale, nel riesaminare il compendio indiziario (compendio che il GIP aveva sostanzialmente trascurato avendo concentrato la propria attenzione esclusivamente sulla sussistenza delle esigenze cautelari, negandola), valorizzava gli indizi esistenti, ritenendoli gravi ed univoci (richiamando a tale fine i vari dati emersi nel corso della complessa attività investigativa) e riteneva poi sussistenti anche le esigenze cautelari non solo in relazione al pericolo – valutato in concreto – di reiterazione di condotte analoghe non superabile – come invece affermato dal GIP – per la formale circostanza dell’intervenuto sequestro cautelare dei mezzi di trasporto adoperati e dell’area sulla quale veniva riversati i rifiuti, ma anche in relazione a condotte successive poste in essere dagli indagati che denotavano l’estrema attualità del pericolo di recidivanza.

Riteneva, poi, il Tribunale che, anche sul piano sanzionatorio, non fosse prevedibile il contenimento della pena entro i limiti della sospensione condizionale in relazione alla ritenuta particolare gravità del fatto ed alla reiterazione della condotta ed escludeva, infine, la possibilità di applicare misure interdittive (in sostituzione di quelle detentive) in quanto ritenute inidonee a neutralizzare il pericolo di reiterazione di condotte analoghe attuabili attraverso compiacenti prestanomi.

Propone ricorso avverso il detto provvedimento C.S. a mezzo dei propri difensori, deducendo articolati motivi riguardanti sia il profilo attinente ai gravi indizi di colpevolezza, sia quello afferente alle esigenze cautelari.

Con riguardo al primo di essi, la difesa, dopo aver ricostruito i passaggi essenziali della vicenda (originata da un intervento dei Carabinieri della Stazione di Stornarella sfociato inizialmente nel sequestro di una discarica abusiva insistente in località "Gavitella", seguito poi dal sequestro di alcuni autocarri di proprietà della società PRODITALY), deduceva violazione della legge processuale penale ( art. 63 c.p.p.) in relazione alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da C.S. ai CC. in data 5 agosto 2009.

Più specificamente rilevava che le dichiarazioni "confessorie" rese da costui, convocato e sentito quale persona informata sui fatti, non potevano essere utilizzate processualmente attesa la specifica qualità del C. al momento della sua audizione e, quand’anche fossero emersi nel corso di tale attività di P.G. indizi a carico del C., ugualmente quelle dichiarazioni sarebbero dovute essere considerate inutilizzabili a tenore dei commi 1 e 2 del menzionato art. 63 c.p.p..

Con un secondo motivo la difesa deduceva vizio di travisamento della prova ed, in ogni caso, contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ricostruzione degli accadimenti come prospettata dai Carabinieri nelle relazioni rimesse all’Autorità Giudiziaria, in quanto sarebbe stata offerta una duplice – ed intimamente inconciliabile – versione dei fatti (desumibile da una annotazione di indagine e da una comunicazione di notizia di reato tra loro asseritamente incompatibili) che il Tribunale avrebbe invece considerato come frutto di due indagini parallele effettuate in fasi diverse.

Più specificamente, la scoperta casuale della discarica abusiva nella località "Gavitella" oggetto della primigenia informativa ex art. 347 c.p.p., avrebbe potuto condurre ad una contestazione della fattispecie contravvenzionale, mentre i risultati della capillare attività investigativa poi culminati nel sequestro preventivo dei mezzi adoperati per il trasporto e del sito in cui avveniva il versamento, avevano poi determinato la contestazione della fattispecie delittuosa, a giudizio del ricorrente illegittimamente effettuata.

Con altro motivo viene denunciata contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alle dichiarazioni rese da alcuni agricoltori ( CU.Do. e M.G.) i cui terreni erano confinanti con quello sede della discarica e da un autista (tale SI.Fe.) di uno dei mezzi di trasporto adoperati dall’impresa dell’indagato, segnalandosi o l’imprecisione di tali testimonianze o addirittura i risultati favorevoli all’indagato nascenti dalle dichiarazioni dell’autista, anche in termini di estraneità dell’indagato stesso ai fatti contestati: dati che il Tribunale aveva, in modo del tutto contraddittorio ed illogico, valutato per giustificare la gravità del compendio indiziario per il quale difettavano anche elementi individualizzanti.

Per quanto riguarda il secondo dei profili citati (quello afferente alle esigenze cautelari) il ricorrente deduce violazione della legge processuale ( art. 274 c.p.p.) e vizio di motivazione, in quanto illogica e/o contraddittoria, dato che da parte del Tribunale non è stata compiuta la valutazione in concreto ed in termini di attualità, del pericolo di reiterazione di condotte analoghe, bensì in astratto ed in termini di mera eventualità, tralasciando di considerare il fatto che l’intervenuto sequestro dei mezzi e dell’area rendeva sostanzialmente impossibile la reiterazione e che l’eventuale ricorso ad altri mezzi e prestanomi, come ipotizzato dal Tribunale, veniva comunque considerata come una mera possibilità.

Inoltre, secondo il ricorrente, altro vizio motivazionale risiedeva nella illogica valutazione da parte del Tribunale di alcuni dati positivi successivi legati alla regolarizzazione dell’attività: dati che quel giudice aveva ritenuto non decisivi o inequivocamente sintomatici della resipiscenza e conseguente insussistenza del pericolo di reiterazione, anche sotto il profilo della sua attualità.

Con l’ultimo motivo la difesa denuncia violazione della legge processuale penale ( art. 33 c.p.p.) e contraddittorietà della motivazione in quanto da parte del Tribunale è stata utilizzata ai fini del giudizio di attualità e concretezza del pericolo di recidivanza, la nota del Nucleo Ecologico dei Carabinieri del 3 febbraio 2009, successiva, però, al provvedimento di rigetto da parte del GIP della richiesta di applicazione della misura cautelare e, come tale, non utilizzabile in quanto riguardante non già il medesimo fatto contestato con l’originaria richiesta ma un fatto ulteriore suscettibile, al più, di autonoma iniziativa penale da parte del P.M..

Gli articolati motivi di ricorso inducono ad una preliminare riflessione incentrata sul primo problema prospettato dalla difesa del ricorrente che, in quanto significativamente incidente sul piano della necessaria gravità indiziaria quale primo presupposto per l’applicazione della misura cautelare, va esaminato prioritariamente in quanto assorbente rispetto agli altri motivi. Il riferimento è alla asserita inutilizzabilità – di tipo patologico – che affligge l’ordinanza impugnata relativa alle dichiarazioni rese dal ricorrente C.S. alla P.G. in data 5 agosto 2009.

E’ processualmente certo che costui è stato sentito dai Carabinieri che stavano effettuando indagini quale persona informata sui fatti, pur esistendo a suo carico indizi di reità in merito alla vicenda che lo riguardava.

Il Tribunale ha ritenuto utilizzabili tali dichiarazioni sia contra se che contra alios basandosi sulla circostanza che il C. ha reso dichiarazioni spontanee rese da indagato alla P.G. pur in assenza del difensore, senza che nel corso di esse fossero state poste domande da parte dei verbalizzanti o che fosse stato interrotto il verbale.

A ben vedere, però, essendo incontestabile che il C. è stato sentito quale persona informata sui fatti, e non quale soggetto indagato, non solo le sue dichiarazioni non potevano essere utilizzate nei suoi confronti per esplicito divieto di cui all’art. 63 c.p.p., comma 1 (in tal senso, Cass. Sez. 3, 24.2.2004 n. 15476, Mesanovic, rv 228546) ma neanche erga omnes, non già perchè si trattava di persona sentita in quel momento come informata sui fatti e dunque rivestente la qualità di testimone, ma per la assorbente ragione che in realtà egli, essendovi indagini in corso proprio sull’impresa del C., avrebbe dovuto essere sentito come indagato emergendo già sin da allora indizi di reità a suo carico (in tal senso, tra le tante, Cass. Sez. 6, 18.3.1999 n. 3569, rv.

212944; Cass. Sez. 4, 29.7.1997 n. 7456, rv. 208550; Cass. SS.UU. 13.12.1996 n. 1282).

Il divieto di utilizzabilità di dichiarazioni rese da soggetto che sin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentito quale indagato vige – come è accaduto nel caso in esame – quando già i reati sono stati già consumati nel momento in cui la persona viene sentita, dovendosi quindi verificare la qualità del soggetto indagato secondo criteri non di tipo formale, ma sostanziale in rapporto alla situazione esistente nel momento in cui avviene la dichiarazione (in termini Cass. Sez. 4, 6.2.2004 n. 4867, rv. 229377; Cass. Sez. 6, 2.6.2000 n. 6605, rv. 217556).

Stante la presenza del vizio denunciato e rilevata la decisiva incidenza di tali dichiarazioni nella economia della intera vicenda traendosi proprio da quelle dichiarazioni quella gravità indiziaria ritenuta dal Tribunale, appare superfluo affrontare gli altri articolati motivi del ricorso, imponendosi l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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