Cass. civ. Sez. III, Sent., 20-07-2011, n. 15902 Opposizione al precetto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Sulla base di una sentenza di merito possessorio resa dal Tribunale di Lucera – sez. dist. di Rodi Garganico (n. 33 del 27 gennaio 2003) D.B.G. intimò a R.M. di reintegrarlo nel possesso del terrazzo posto all’ultimo piano del loro condominio, eliminando pure ogni opera compiuta per accedere al terrazzo di esso intimante; ma il R. si oppose dinanzi al medesimo Tribunale, con atto notificato il 10.5.05 ed iscritto al n. 146/c/05 r.g., deducendo di avere già adempiuto al comando contenuto nella sentenza, da intendersi ricognitiva di un compossesso anche in capo a lui e non già di un possesso esclusivo in capo all’intimante.

1.2. Il D.B. depositò ricorso ex art. 612 cod. proc. civ. ed il R. chiese ed ottenne la sospensione del procedimento esecutivo conseguito, iscrivendo a ruolo la separata opposizione ad esecuzione intrapresa (n. 205/c/05 r.g.).

1.3. Le due cause furono riunite ed unitariamente decise dal richiamato Tribunale con sentenza n. 25/09, pubblicata il 28.1.09, con la quale, interpretato il titolo esecutivo sulla base delle risultanze della motivazione, si ritenne essere in quello stato escluso il riconoscimento di un possesso esclusivo in capo al D. B. e si stabilì che la realizzazione della scala di accesso al terrazzo da parte del R. integrasse un mero e consentito atto di estrinsecazione del proprio compossesso: con la conseguenza che, esclusa peraltro per mancanza di prova sulla consistenza del danno la fondatezza della domanda ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. dispiegata dall’opponente, le opposizioni furono accolte, con declaratoria di nullità del precetto e condanna dell’opposto alle spese dei due giudizi.

1.4. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidandosi ad un unitario motivo, il D.B.; e vi resiste con controricorso il R., il difensore del quale compare pure alla discussione orale della pubblica udienza del 9 giugno 2011.
Motivi della decisione

2. Il ricorrente impugna la gravata sentenza con un unitario motivo (rubricato "violazione degli artt. 615, 132 c.p.c., dell’art. 12 preleggi e segg., con riguardo alle statuizioni della sentenza impugnata concernenti l’interpretazione del titolo esecutivo"), concludendolo col quesito qui di seguito testualmente riprodotto: con riguardo ad un titolo esecutivo costituito da una sentenza, sussiste e va affermata la violazione dei comuni criteri concernenti l’interpretazione del giudicato di cui all’art. 12 disp. gen. e segg. nel caso in cui il giudice dell’esecuzione in luogo di interpretare il titolo sulla base della statuizione di conferma del provvedimento emesso nella fase cautelare del procedimento contenuta nel dispositivo della decisione resa a conclusione della fase del possessorio, abbia compiuto l’operazione ermeneutica sulla base di considerazioni formulate dal giudicante nella motivazione (nella specie, sussistenza di una situazione di compossesso) non correlate in alcun modo all’oggetto della domanda nè dedotte da parte del convenuto che a fronte della richiesta di reintegra del possesso si era limitato a dedurre l’esistenza di un proprio possesso esclusivo.

3. Dal canto suo, il controricorrente chiede il rigetto del ricorso.

4. In via preliminare può ribadirsi che (Cass. 31 marzo 2011, n. 7445):

4.1. va affermato il potere – dovere del giudice dell’esecuzione di verificare, nella determinazione del credito da riconoscere al creditore, anche di ufficio l’esatta consistenza delle singole componenti, tanto riconducendosi alla sua potestà di verificare la sussistenza dei presupposti della domanda ed applicandosi il relativo principio a maggior ragione là dove, come nel processo esecutivo, occorre dare compiuta attuazione non già all’interpretazione personale del titolo come fornita dal creditore nel precetto, ma al comando obiettivo contenuto nel titolo medesimo: eccettuato, beninteso, il caso di quanto possa essere oggetto di una eccezione in senso stretto;

4.2. ancora, nella giurisprudenza di questa Corte è da tempo stato già affermato il principio che l’interpretazione della sentenza, costituente titolo esecutivo, eseguita dal giudice investito dell’opposizione, è interpretazione del giudicato esterno al giudizio di opposizione e si risolve in un giudizio di fatto, il quale è censurabile in sede di legittimità solo se siano violati i criteri giuridici che regolano l’estensione ed i limiti della cosa giudicata e se il procedimento interpretativo seguito dai giudici del merito non sia immune da vizi logici o errori di diritto (con riferimento alle contestazioni operate in sede di opposizione all’esecuzione: Cass. 24 novembre 1979, n. 4794; Cass. 2 aprile 1992, n. 3996; Cass. 23 gennaio 1995, n. 754; Cass. 22 marzo 1996, n. 2510;

Cass. 3 giugno 1996, n. 5082; Cass. 25 maggio 1998, n. 5212; Cass. 4 aprile 2001, n. 4978; Cass. 21 novembre 2001, n. 14727; Cass. 23 maggio 2006, n. 12117; Cass. 31 marzo 2011, n. 7445; e perfino quando non derivi da una pronuncia passata in giudicato ma consista nella statuizione sulle spese di lite contenuta in un provvedimento cautelare, trattandosi comunque di un titolo di formazione giudiziale contenuto in un provvedimento emesso in un procedimento contenzioso:

Cass. 14 gennaio 2011, n. 760);

4.3. un tale principio deve essere ribadito, perchè l’interpretazione del provvedimento giudiziale, costituente titolo esecutivo, non può essere sottoposta ad una ennesima valutazione in sede di legittimità, la quale si vorrebbe fondata per il solo fatto di essere conforme agli interessi di chi la propone.

5. Ancora (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850, ove più ampi sviluppi ed ulteriori riferimenti giurisprudenziali), qualora a base di una qualunque azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell’esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l’efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo controllare soltanto la persistenza della validità di quest’ultimo e quindi attribuire rilevanza solamente a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività (salvo il caso – che comunque qui manifestamente non ricorre – dell’incolpevole impossibilità, per il debitore, di farli valere in quella unica competente sede).

6. In applicazione di tali principi al caso di specie:

6.1. è noto che l’interpretazione di un giudicato esterno va operata prima di ogni altra cosa sulla base del tenore letterale del titolo giudiziale, complessivamente considerando dispositivo e motivazione (per tutte: Cass. 19 giugno 2002, n. 8941; Cass. 18 gennaio 2007, n. 1093; Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961), potendo sì prendersi successivamente in considerazione pure le medesime domande delle parti, sulle quali il titolo si è formato, ma all’imprescindibile condizione che persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della pronuncia (Cass. 23 novembre 2005, n. 24594);

6.2. correttamente il giudice del merito ha allora dato prevalenza, rispetto all’incongruo capo del dispositivo di conferma dell’interdetto, il cui presupposto era chiaramente il possesso esclusivo in capo al ricorrente, all’estesa argomentazione contenuta nella motivazione della medesima pronuncia, esplicita nel senso della sussistenza -al contrario – soltanto di un compossesso tra le parti anzichè di un possesso esclusivo;

6.3. come reso evidente dalla formulazione del quesito, l’incongruità dell’interpretazione data dal giudice dell’esecuzione nella sua sentenza sull’opposizione all’esecuzione starebbe nel fatto che egli non si sia fatto carico di verificare la corrispondenza della sentenza medesima all’oggetto della domanda su cui essa ha pronunciato, ovvero alle argomentazioni del convenuto;

6.4, ma, attesa l’obiettiva univocità dei passaggi argomentativi della motivazione, ritenuti dal giudice della opposizione prevalenti sull’incongruo capo di dispositivo, non è consentito, ai fini dell’esame del titolo stesso, l’esame degli atti del giudizio conclusosi con quest’ultimo con l’attribuzione a quelli di un senso preciso e ben determinato: attesa l’evidente prevalenza della motivazione, che riconosceva un mero compossesso, sul dispositivo, solo indirettamente presupponente un possesso esclusivo, era onere – rimasto invece inadempiuto – del creditore impugnare la sentenza poi posta a base dell’esecuzione quale titolo esecutivo, ove avesse voluto evitare il passaggio in giudicato della prima affermazione.

7. Pertanto, la correttezza della soluzione in diritto data nella gravata sentenza e la preclusione di ulteriori accertamenti sul contenuto del titolo esecutivo comportano l’infondatezza del ricorso, il quale va rigettato, con condanna del soccombente ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione reputata equa nei sensi di cui in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna D.B.G. al pagamento, in favore di R.M., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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