Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-04-2011) 22-04-2011, n. 16163

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di T.G. propone ricorso avverso la sentenza del 30/05/2010 con la quale è stata confermata la sua condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia.

La donna aveva svolto assistenza durante tutto l’arco della giornata in favore di G.A., tetraplegica, ed era stata denunciata dopo aver svolto la sua attività per un biennio.

Nel ricorso si contesta la violazione di legge, con riferimento agli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti, che si assumono mancanti, in relazione alla caratteristica dell’abitualità del reato e dell’unitarietà di programmazione delle condotte.

2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) ritenendo assente la motivazione sulla natura reiterata e sistematica delle condotte vessatorie e sull’esistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, risultando mera riproposizione dei motivi di gravame, in mancanza di qualsiasi confronto con la motivazione espressa dal giudice di merito che ha compiutamente fatto richiamo alle molteplici testimonianze, in primis della parte lesa e successivamente delle persone entrate con lei costantemente in contatto, che hanno dato conto della presenza di minacce, vessazioni e percosse subite dalla prima a cura della ricorrente, che dovendo attendere alla donna in maniera costante, si svolgevano in maniera abituale, nel senso richiesto dalla disposizione incriminatrice, al punto da produrre un costante stato d’ansia nella parte lesa, riscontrato dal fratello di questa e da altra sua abituale frequentatrice, che è stato superato solo all’atto della cessazione del rapporto di collaborazione.

Nè a diverse conclusioni può giungersi in forza della non corretta evocazione nel provvedimento impugnato ad una comportamento permanente, essendo essenziale, al fine di verificare la correttezza della motivazione, il richiamo in fatto operato dal primo giudice riguardo alle emergenze delle prove assunte, la cui valenza non è neppure posta in dubbio nel ricorso, ove si contesta genericamente la reiterazione delle condotte, non le univoche risultanze delle deposizioni in argomento, analiticamente esaminate nella pronuncia impugnata.

2. Analogamente inammissibile è il rilievo della mancata motivazione dell’elemento soggettivo del reato. Oltre che osservare che il motivo d’appello sul punto era del tutto generico, e che in ragione di ciò è giustificata l’assenza di un’analitica motivazione a riguardo, non può che richiamarsi la natura del dolo richiesto per il reato in esame, per argomentare che la coscienza e volontà dell’azione, neppure posta in dubbio dalla ricorrente, che non ha evocato situazioni di fatto potenzialmente idonee ad escluderla, devono qualificarsi sussistenti, in conformità con quanto motivato nella sentenza impugnata, che si sottrae pertanto alle censure mosse del tutto genericamente.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma in favore della Cassa delle ammende, determinata come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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